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21/07/2013

Caso kazako. Tra servilismo, incapacità e gas

La vicenda del caso di Muktar Ablyazov-Shalabayeva è stata degna di entrare all'onor di cronaca delle maggiori testate giornalistiche solo negli ultimi giorni. Eppure risale alla notte del 29 maggio quando a Roma un ingente gruppo di forze dell'ordine e digos ha fatto irruzione in una casa al cui interno si trovavano la moglie di Ablyazov e la figlia, con un mandato di cattura alla mano per quello che viene definito un "dissidente politico", e il conseguente rimpatrio forzato in Kazakhstan per le due famigliari.

Su Ablyazov pende infatti un mandato di cattura internazionale emesso dal Kazakistan e valido anche in Russia. Considerato il nemico numero uno del presidente del Kazakistan, Nursultan Nazabarayev, Ablyazov è anche ricercato dalla Gran Bretagna dove gode di uno status un po' particolare: da un lato gli è stato riconosciuto l'asilo politico, dall'altra è sotto accusa per non essersi presentato a un processo per la sottrazione di 5 miliardi di euro alla banca di cui è stato a lungo presidente (la BTA). Per questo è stato condannato a 22 mesi. Quello che più risalta nella vicenda, senza soffermarci troppo sulla figura di Ablyazov, sono tuttavia ben altre considerazioni riguardo a quanto sta uscendo nelle ultime ore attraverso dichiarazioni et similia che sembrano aver messo in moto un meccanismo che coinvolge diversi aspetti di un potere attuato e di un servilismo concesso. A partire dall'utilizzo del termine e della conseguente applicazione della categoria "dissidente" con la quale è stato etichettato Ablyazov, che risulta essere il costrutto residuale dell'imperialismo umanitario anni '90, per legittimare in qualche modo le azioni riservate ai casi particolari come questo. Eppure, Ablyazov certamente non fa parte di nessun movimento di liberazione né tanto meno è un rappresentante di una lotta specifica nella stessa direzione. Eppure le associazioni umanitarie eccedono nell'utilizzo del concetto, forti delle considerazioni fatte invece dalle autorità del Kazakistan che lo ritengono "un criminale collegato al terrorismo internazionale", che già la dice lunga sull'implementazione di costrutti sovra determinati.

Ma a tener banco in questa vicenda, sono ancora una volta le questioni economiche e politiche nel connubio di politica estera e energetica che riguarda l'Italia, soprattutto dopo la crisi libica e il colpo franco statunitense alla Libia con l'estromissione di Roma. A partire da quel momento, inizia a mancare per l'Italia il gas proveniente dalla Libia e gli interessi strategici che vi sono dietro. Da qui il repentino tentativo di spostarsi sul territorio dell'Azerbaijan, ritenuto un partner troppo poco affidabile e la successiva necessità di tessere relazioni e rinsaldare legami commerciali e economici con il Kazakistan. Questo è dovuto anche al ruolo della Russia nella questione energetica petrolifera e i rapporti che i due Paesi hanno.

All'interno di questo quadro, si profila quindi una sceneggiata facilmente ricostruibile. L'interesse nazionale in materia energetica sovrasta su tutte le altre questioni, dando vita di riflesso ad un problema politico: tra accuse, smentite, dichiarazioni e lavate di mani, si trova l'equilibrismo perenne in cui oscilla Letta. All'interno del così chiamato governo delle larghe intese, vi è da una parte il Pdl che sembra avere un margine di manovra più esteso rispetto a quello del Pd, dovuto anche alla linea berlusconiana di attuare un tentativo, fallito miseramente, di ritagliarsi una sfera di autonomia in Est Europa. Certo è che questo governo, giusto per non smentirsi, dimostra ancora una volta la sua incapacità nel gestire situazioni in cui prevale il caos sistemico che rende difficile ogni politica estera che sia un minimo organica. Un problema endemico destinato a ripetersi in futuro.


18 luglio 2013

vedi anche

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L'Eni è stata la pioniera degli interessi occidentali nella repubblica asiatica dell'ex Urss. Una singolare coincidenza temporale tra il blitz della polizia a Roma e lo sblocco del giacimento di Kashagan. La partita sugli oleodotti energetici è senza esclusione di colpi.

L'Eni è presente in Kazakistan sin dal 1992. Il primo aereo occidentale ad atterrare all'aeroporto di Alma Ati, quando questa era la capitale, fu proprio un aereo della flotta aziendale dell'Eni.
L'attività dell'Eni in Kazakistan si è concentrata nel giacimento di Karachaganak, nella parte occidentale del paese, e nell'area contrattuale coperta dal North Caspian Sea PSA (Production Sharing Agreement) nell'offshore poco profondo del Mar Caspio settentrionale. L'Eni, insieme a British Gas, è cooperatore con una quota del 32,5% nel giacimento di petrolio, condensati e gas naturale di Karachaganak, che nel 2010 ha prodotto una media di 65 mila barili/giorno di liquidi e 6,7 milioni di metri cubi/giorno di gas naturale in quota Eni, per un totale di 108 mila boe/giorno.
Circa il 70% della produzione di liquidi, stabilizzata presso il Karachaganak Processing Complex (con capacità di circa 200 mila barili/giorno), è esportata sui mercati occidentali (ma non in Italia) via pipeline: la quasi totalità attraverso il Caspian Pipeline Consortium (Eni 2%), collegato al giacimento da un raccordo della lunghezza di 635 chilometri, e il resto tramite la pipeline Atyrau-Samara.

Ma il “bersaglio grosso” dell'Eni in Kazakistan è un altro. Nell'ambito del North Caspian Sea PSA, in cui Eni partecipa con il 16,81%, nel luglio 2000 è infatti avvenuta una delle scoperte più importanti degli ultimi trent'anni. Si tratta del giacimento gigante di Kashagan, situato 80 km a sud-est di Atyrau (Kazakhstan), nel Mar Caspio settentrionale. Appartengono a quest'area offshore anche i campi di Kashagan South West, Kalamkas, Aktote e Kairan.

Si capisce che la posta in gioco sta salendo. Il governo del Kazakistan vuole aumentare la sua quota nell’estrazione del gas nel Karachaganak, uno dei più grandi giacimenti di idrocarburi dell’Asia. Si tratta di un immenso tesoro gestito dal Kpo, consorzio multinazionale di cui la società di stato italiana Eni, insieme all’inglese British Gas, è socio di maggioranza. Lo stato kazako punta ad una partecipazione del 10%, e negli ultimi anni ha aumentato il pressing per ottenerla. Il Kpo è stato accusato di aver aumentato i costi di estrazione tra il 2002 e il 2007 per un valore pari a 1,25 miliardi di dollari, di aver estratto illegalmente gas e petrolio per 708 milioni di dollari, di aver evaso più volte le tasse e di aver utilizzato permessi di lavoro irregolari. Il governo del presidente-padrone Nazarbayev ha introdotto una tassa sulle esportazioni di carburante pari a 20 dollari per tonnellata.
Il pressing kazaco sembra aver dato i suoi frutti e il 30 giugno scorso l'impianto del giacimento gigante di Kasahagan è stato inuguarato alla presenza del presidente-padrone Nazarbajev e del premier britannico Cameron. Dopo cinque anni di controversie, problemi, rinvii, il Consorzio Ncspsa (North Caspian Sea Project Sharing Agreement) ha infatti celebrato il "completamento degli impianti necessari per la produzione iniziale, che segna l'inizio dello start-up degli impianti di produzione di Kashagan". Nel “consorzio”, oltre a Eni e British Gas ci sono anche Exxon, Shell, Total, la locale KazMunaiGas, la Inpex e la ConocoPhillips, con quote inferiori.

I ritardi nell'avvio dell'investimento del secolo – ll giacimento gigante di Kashagan – si sono dunque sbloccati un mese dopo l'affaire Ablyazov. E sì che le vicende pregresse avevano già avuto qualche problema di carattere giudiziario. L’ipotesi di corruzione tramite tangenti pagate dall'Eni a varie entità kazache, aveva avuto un seguito in Italia, dove la Procura di Milano ha chiesto di predisporre il commissariamento dell’Agip KCO – divisione operativa di ENI in Kazakhstan – o in alternativa di impedire alla società di negoziare nuovi trattati. Secondo quanto emerso da un’inchiesta, l’ENI avrebbe versato circa 20 milioni di dollari nelle tasche dei funzionari kazaki e del genero di Nazarbayev, determinanti per il via libera del giacimento di Kashagan.

A questo punto però è interessante andare a vedere cosa scrive l'ambasciata italiana in Kazakistan, in particolare vi chiediamo di fare attenzione alle ultime dieci parole. “L’interesse tra Roma e Astana esiste, ed è forte. Per l’Italia il Kazakhstan rappresenta una fonte sicura per l’approvvigionamento di risorse energetiche e un’occasione di sviluppo per le piccole e medie imprese. Per il Kazakhstan l’Italia è un importante acquirente delle proprie risorse, un possibile sponsor per la sua inclusione nel mercato europeo e un partner che non interviene nelle questioni di politica interna”. In sostanza l'Italia è un partner che non pone alcun problema agli affari interni del paese e che è interessato solo a realizzare buoni e rilevanti businness.

Se è vero che il giacimento di Kashagan dopo tanti problemi, ritardi, tangenti da versare etc. si è sbloccato il 30 giugno, la coincidenza temporale con il blitz in Italia contro Ablyazov appare quasi ovvia. Un “favore” chiesto dalle autorità kazache alla vigilia dell'avvio dell'affare del secolo, non poteva rimanere inascoltato. Si è mossa l'Eni facendo pressione sui suoi contatti particolari negli apparati dello Stato? La fretta e il silenzio con cui si è svolta la pasticciata operazione di polizia contro i familiari di Ablyzov, lasciano intravedere piuttosto chiaramente tutti gli errori e le forzature di una azione che doveva andare per le spicce, chiudere il problema e consentire di riscuotere la cambiale con le autorità kazache. Anche la presenza del premier britannico Cameron all'inaugurazione dell'impianto di Kashagan il 30 giugno, sembra corrispondere con la recente messa alla porta di Ablyazov dalla Gran Bretagna dove pure aveva ottenuto asilo politico. Insomma, l'elicottero atterrato nella villa in Sardegna dove il presidente-padrone Nazarbaiev era in vacanza ai primi di luglio, non è affatto detto che avesse a bordo Berlusconi. Tanto per dirne una, l’ultimo incontro tra Prodi e Nazarbayev risale al 23 maggio, nella capitale kazaca Astana, una settimana prima del blitz che ha portato all’espulsione della moglie e della figlia del dissidente kazako.
Come è noto, sui corridoi dell'approvvigionamento energetico tra le repubbliche asiatiche dell'ex Urss e il mercato europeo, è in corso dai primi anni Novanta uno scontro epocale tra le grandi potenze. Uno scontro che ancora adesso incombe sui mega corridoi come il South Stream (voluto dalla Russia) in competizione con il Nabucco (voluto dagli Usa). Una cosa è certa le sorti di un oligarca caduto come Ablyazov, - che appare difficile dipingere come un “dissidente” - non sono il problema principale. Sul contesto di questa vicenda c'è ancora parecchio da scavare.

Alessandro Avvisato

tratto da http://www.contropiano.org 19 luglio 2013




Una disamina assolutamente da leggere per fare il punto, in modo chiaro, sulla vicenda kazaka.

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