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16/07/2013

La transizione congelata di un Egitto che non si dà futuro

Spionaggio, incitamento alla violenza, distruzione dell’economia sono le accuse molto politiche ma con ricadute penali che hanno rinfocolato alcune querele rivolte al presidente deposto Mursi da alcuni cittadini egiziani.


Di lui si sa che è tuttora agli arresti in un luogo segreto che dovrebbe essere proprio il quartier generale della Guardia Repubblicana davanti al quale s’è verificato il massacro di militanti islamici l’8 luglio. Intanto il premier incaricato El-Beblawi sta ultimando la nuova formazione governativa con trenta membri, che verrà presentata entro la prossima settimana. L’economista liberal esprime conferme per alcuni ministri dell’esautorato esecutivo Qandil e parla di necessaria riconciliazione fra le parti politiche. Buone intenzioni che cozzano col panorama degli ultimi mesi e giorni. La Fratellanza, mobilitata presso la Moschea Rabaa al-Adawiya nell’area di Nasr City e anche in altri luoghi del Cairo, fa sapere che non potranno verificarsi riaperture se Mursi non sarà riammesso nel ruolo strappatogli con la forza. Corano e simboli della nazione nelle mani i suoi attivisti o semplici elettori sono l’altra piazza d’Egitto di cui l’informazione occidentale poco si cura. I nostri media sono portati ad accreditare la tesi delle Forze Armate che giustificano il golpe bianco come ascolto e sostegno delle ciclopiche manifestazioni dell’opposizione.
Il Paese non è solo spaccato ma lacerato da violenze e imposizioni, e non si comprende come potrà affrontare ciò che le attuali figure guida (El-Beblawi e Al Mansour) propongono nei rispettivi ruoli. A cominciare dall’ennesimo Referendum costituzionale (uno favorevolissimo all’Islam politico si svolse nel marzo 2011) che dovrebbe ratificare gli emendamenti alla Costituzione che devono precedere qualsiasi elezione. Per giungere a questo il presidente ad interim propone di formare un Comitato di dieci esperti (costituzionali e giuridici) che prepari i testi da sottoporre a un Consiglio di 50 personalità e figure rappresentative. Il primo passaggio dà a un gruppo di magistrati formati nell’era Mubarak facoltà di ritoccare commi della Carta così il campo islamico già insinua dubbi di effettiva garanzia per eguaglianza e giustizia sociale. La seconda fase potrebbe ricevere il medesimo boicottaggio che i laici hanno praticato verso due Assemblee Costituenti, la prima sciolta dalla Suprema Corte, la seconda contestata dagli oppositori di Fratellanza e salafiti. Stavolta potrebbero essere gli islamici a bloccare l’istituto del confronto e dibattito. Per quanto i gruppi salafiti mostrino intenzioni partecipative probabilmente per sostenere norme più attinenti al princìpi della Shari’a.

Da notare che il consolidamento di queste mosse, revisione della Costituzione (se si riuscirà a fare), referendum e poi consultazioni presidenziali e politiche avverrebbe con una concentrazione di poteri legislativo ed esecutivo nelle mani della coppia Al-Mansour-El-Beblawi che ripercorrono la stessa via di quell’accentramento praticato da Mursi che gli era valsa l’accusa di comportamento dittatoriale. Per non parlare dell’impulso all’attuale svolta da parte di Al-Sisi e delle Forze Armate, versione aggiornata dello Scaf. Rispetto a quei tempi la lobby militare ha addirittura rafforzato la sua posizione perché non s’espone in prima persona come fece nei 16 mesi di gestione del feldmaresciallo Tantawi. Fra gli stessi sostenitori del ruolo di tutela nazionale dei militari si fa fatica a giustificare un’ingerenza nella vita politica del Paese tramite interventi autoritari mirati a reprimere, assassinare, incarcerare soggetti politici e quella cittadinanza, non certo marginale, che li appoggia. Tutto in un quadro d’impunità offerto dalla magistratura restìa a intervenire severamente nei confronti delle divise, come dimostrano molteplici occasioni: dai processi per l’eccidio allo stadio di Port Said alle repressioni seguite agli assedi alle caserme del dicembre 2012. L’Egitto dovrebbe ricominciare da una situazione simile all’uscita di scena di Tantawi o peggio di Mubarak. Con molte ferite in più e tante speranze in meno.


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