La città di Detroit dichiara fallimento, schiacciata dai debiti e dallo
spopolamento. Non è il primo caso, ma è quello più grande e coinvolge
direttamente i fondamentali del "sogno americano".
Come ormai era atteso da tempo la città di Detroit ha
dichiarato bancarotta, il più grande fallimento di una municipalità di
tutta la storia americana. L'ufficializzazione del provvedimento è
giunta ieri sera con il via libera alle procedure previste dalla legge
fallimentare Usa dato dal governatore del Michigan Rick Snyder al
commissario della città, Kevyn Orr. La città, una volta florido motore
dell'industria automobilistica Usa, ha un debito di 18,5 miliardi di
dollari e ha visto i suoi cittadini crollare dagli 1,8 milioni degli
anni '50 a soli 700.000.
Ed è qui sia la causa del fallimento che
l'indicazione "strutturale" di maggior rilievo. Il "modello
statunitense" è fatto di rapida crescita e altrettanto repentina caduta.
Solo lì esiste il fenomeno delle "ghost town", le città abbandonate
perché il business che le giustificava era finito. Ma in genere si
tratta di piccole cittadine legate all'estrazione di materie prime -
tipicamente i villaggi della "corsa all'oro" - o ad altre attività
"temporanee". Ma una città di queste dimensioni segnala la rottura di un
meccanismo ben più vicino al cuore dell'accumulazione capitalistica e
sembra prefigurare il destino di Torino e altre città italiane
"monopolizzate" da un'industria-chiave, volano della crescita e quindi
del degrado quando il vento gira.
La dichiarazione di bancarotta è solo l'atto finale di quella tendenza
al crollo economico che da anni ha investito la città. Status che emerge
da alcuni dati, non solo economici: il tasso di omicidi è arrivato al
massimo in 40 anni (nonostante lo spopolamento!). La polizia risponde
dopo 58 minuti ad una chiamata al 911 (il numero delle emergenze in
America), contro una media nazionale di 11 minuti. C'è un'intera città
nella città, formata da 78.000 edifici completamente abbandonati. Il 40%
dei semafori non funziona. La mancanza di fondi per la manutenzione e
le riparazioni dei mezzi comunali ha fatto sì che solo un terzo delle
ambulanze funzioni ed anche i veicoli della polizia e dei vigili del
fuoco siano in condizioni pessime. E' il collasso della mano pubblica,
le cui casse si sono svuotate rapidamente per la riduzione congiunta di
popolazione e redditi, quindi di entrate fiscali.
A questo impoverimento "strutturale" ha dato il colpo di grazia il
ricorso ai prestiti da parte delle banche. E il debito ha schiacciato
Detroit. Alla fine per ogni dollaro nelle casse della città 38
centesimi se ne andavano per ripagare il debito e gli interessi. Un
livello che nel 2017, se non fosse stata dichiarata bancarotta, sarebbe
arrivato a 65 centesimi per ogni dollaro.
'Motor City', il
simbolo Usa dell'auto sede delle tre grandi case a stelle e strisce (Gm,
Ford e Chrysler), ha chiuso dunque i battenti. Eppure l'industria
automobilistica si è ripresa, invertendo la tendenza, ma con molta meno gente al lavoro e soprattutto pagata molto meno di prima. L'indotto
era nel frattempo evaporato con rapidità ancora maggiore, lasciandosi
alle spalle un deserto vero e proprio, fatto di case e quartieri vuoti,
popolati da piccoli gruppi di homeless come in un film di Romero.
La
richiesta al giudice federale di accedere al Chapter 9 - che regola la
bancarotta delle municipalità che possono chiedere assistenza per
ristrutturare i propri debiti - è stata avanzata dal commissario
straordinario di Detroit, Kevyn Orr, che ha dichiarato lo stato di
insolvenza della città. Ed è stata approvata dal governatore del
Michigan, Rick Snyder. Se riceverà l'ok, la domanda permetterà al
commissario straordinario di liquidare gli asset della città per
soddisfare i creditori.
A pesare c'è stata anche - come da copione
ovunque "il pubblico" sia stato messo esclusivo del privato e
soprattutto delle imprese principali - una cattiva gestione delle
finanze pubbliche dovuta alla corruzione politica. Ma anche il duro
colpo subito dal mercato immobiliare e l'enorme calo della popolazione
legato alla crisi economica che ha penalizzato anche il mercato
dell'auto e l'immenso indotto.
Eppure mesi fa con un accordo firmato
con le autorità statali si era sperato in un'azione efficace per
rimettere in sesto le dissestate finanze della città. Dopo che recenti
stime avevano rivisto al rialzo le prospettive di deficit, passato dai
62 milioni di dollari attesi a fine giugno 2013 ad oltre 120 milioni di
dollari. E con l'agenzia Moody's che già nei mesi scorsi aveva rivisto
al ribasso il rating della città, preannunciando la possibilità della
procedura fallimentare.
La città dei Big Three dell'auto aveva
imboccato la strada del commissariamento nel dicembre scorso, dando il
via alla verifica delle proprie finanze da parte dell'amministrazione
dello Stato del Michigan. Ufficializzati così i problemi di liquidità
dell'ex metropoli, era stata ufficializzata l'emergenza fiscale,
mettendo la situazione in mano a un commissario straordinario.
Il susseguirsi di deficit colossali è stato - come vogliono gli idioti
teorici neoliberali - attribuito alla corruzione politica e agli aumenti
degli stipendi dei dipendenti pubblici. Senza mai calcolare però
l'emergenza demografica: negli anni '50 Detroit aveva 1.8 milioni di
abitanti, ora circa 700 mila. Uno spopolamento che ha accelerato la velocità in
corrispondenza della grande crisi dell'auto Usa - tra il 2000 e il 2010
- che ha ridotto la base dei 'contribuenti' senza che,
contemporaneamente, si riducessero le spese pubbliche. Non solo e non
tanto quelle per il personale, quanto per la manutenzione di una città
che andava degradandosi (e quindi chiedeva maggiori interventi) perché
sempre meno abitata.
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