"Non ci sarà alcuna festa per i 100 anni". Risponde piccato il legale che segue Erich Priebke, Paolo Giachini, alle polemiche di queste ore sulla festa che si starebbe organizzando in vista del centenario dell'ex ufficiale delle SS condannato all'ergastolo che sta scontando ai domiciliari a Roma. "E' ora di farla finita, l'Anpi e la Comunità ebraica si occupino dei problemi che li riguardano non di un povero vecchietto che sta scontando a norma di legge il suo ergastolo. Lo lascino in pace" dice Giachini.
Niente carcere, quindi, ma neanche veri arresti domiciliari per il boia delle Fosse Ardeatine. Visto che in realtà l’arzillo vecchietto se ne va a zonzo per Roma, accompagnato dalla badante e da ben due bodyguard. Pochi giorni fa è stato ripreso in un video dell’Ansa mentre passeggia nelle strade del quartiere della Balduina…
“Priebke sta scontando la sua pena - dichiara Giachini - e la possibilità di uscire di casa rientra nei diritti che gli sono stati accordati dalla legge italiana. Se la legge è ancora uguale per tutti, non ha senso sollevare questo polverone".
Insomma la festa per i cent’anni del criminale di guerra nazista si farà o no? Nelle ultime dichiarazioni il suo legale smentisce, anche se qualche ora prima aveva parlato alle agenzie di stampa di “una festa in forma privata per pochi intimi”. Niente festone, come accadde dieci anni fa, quando il condannato e i suoi fan festeggiarono allegramente in un agriturismo vicino a Roma. Perché “Priebke è stanco, ha poca voglia di festeggiare”.
Ma la festa ci sarà, visto che su Twitter l’avvocato Carlo Taormina, che fu tra i difensori dell'ex ufficiale delle SS, pubblicizza la sua partecipazione al party al quale, dice, ci saranno anche dei sacerdoti. "Parteciperò alla festa dei cento anni di Priebke come ho fatto per i 90. Allora? Nessuno sa che dei 50 imputati 49 sono stati assolti" scrive Taormina. "Sono stato invitato dal suo avvocato – dice alle agenzie di stampa - e quindi andrò".
La notizia dei festeggiamenti previsti ha mandato su tutte le furie le associazioni dei partigiani e dei deportati. In un comunicato l'Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi nazisti (Aned) esprime il proprio sdegno: "Priebke è un criminale di guerra nazista; non possiamo dimenticare che per sua diretta responsabilità tanti ragazzi italiani, colpevoli soltanto di aver combattuto per la libertà e la democrazia, non hanno potuto conoscere neppure la maturità, hanno visto distrutti i propri sogni e i propri progetti. Erich Priebke, che non ha mai pronunciato parole di pentimento - sottolinea l'Aned -, gode già nel nostro paese di un regime di semilibertà, concessogli da una giustizia certamente più umana e rispettosa di quella da lui propugnata da sempre. Non sfidi ora i sentimenti più profondi degli italiani e la memoria dei familiari dei Martiri con festeggiamenti assolutamente fuori luogo". Simile la presa di posizione dell’Anpi: ''Un criminale di guerra non può essere festeggiato, alla memoria delle vittime del nazifascismo non si può mai derogare (...) Le ragioni della giustizia e della verità storica non posso essere oscurate, dando la possibilità a personaggi noti di strumentalizzare politicamente il compleanno con l'intento di assolvere la barbarie nazifascista e screditare il ruolo e il significato che i partigiani ebbero nella Resistenza e nella nascita della Repubblica e della democrazia. Priebke rappresenta la responsabilità di tutte le stragi compiute in Italia, che hanno causato la morte di circa 15.000 persone”.
Nato a Hennigsdorf nel 1913, Erich Priebke aderì a 20 anni al Partito Nazista dei Lavoratori Tedeschi. Heinrich Himmler lo fece entrare nelle SS e lo aiutò nella carriera all'interno dell'esercito tedesco, dove raggiunse il grado di capitano. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale fu mandato in Italia, dove insieme ad altri militari tedeschi partecipò al coordinamento delle strategie che il Terzo Reich avrebbe dovuto adottare nella penisola. Nel 1942 divenne capo della sezione di Brescia della Gestapo, la polizia segreta nazista. L'anno successivo venne trasferito a Roma al seguito delle truppe di occupazione sotto il comando di Herbert Kappler, che in seguito Priebke dirà di considerare come un maestro. Dopo l'attacco partigiano che i Gruppi d'azione patriottica (Gap) misero a segno contro il battaglione 'Bozen' in via Rasella a Roma, il 23 marzo 1944, Kappler lo coinvolse nel piano di organizzazione delle esecuzioni dei 335 ostaggi per “vendicare” i 33 nazisti morti. Un eccidio che avvenne il giorno successivo alle Fosse Ardeatine, nelle cave di pozzolana situate due chilometri oltre Porta San Sebastiano. Con un colpo alla nuca vennero uccisi, secondo tempi calcolati e programmati con meticolosità, in circa cinque ore, dal primo pomeriggio alle 20, 335 italiani, di ogni età e di varia condizione sociale, patrioti, ebrei e rastrellati per caso. Dopo la sconfitta della Germania, l'ex ufficiale nazista fuggì in Argentina, attraverso la rete di contatti creati e gestiti da padre Krunoslav Draganović e con la collaborazione della Ratline, un'organizzazione segreta che permise la fuga nei paesi latinoamericani ad Adolf Eichmann, Klaus Barbie e altri criminali di guerra nazisti. Priebke si rifugiò a San Carlos de Bariloche, un paesino ai piedi delle Ande, riuscendo a sfuggire al Processo di Norimberga e ai servizi segreti israeliani. Finché nel 1994 un membro del 'Centro Simon Wiesenthal' lo riconobbe e ne segnalò la presenza alle autorità argentine. Estradato in Italia, nel novembre 1995 venne rinviato a giudizio per crimini di guerra. Fu dichiarato colpevole di omicidio plurimo dal Tribunale militare: tuttavia non fu condannato a causa della prescrizione del reato e per la concessione delle attenuanti (!). Poi però la Corte di Cassazione annullò la vergognosa sentenza. L'ex ufficiale nazista fu prima condannato a 15 anni, poi ridotti a 10 per motivi di età e di salute; poi, nel marzo del 1998, la Corte d'Appello militare lo condannò all'ergastolo, insieme all'altro ex ufficiale delle SS Karl Haas. La sentenza, seppur confermata nel novembre dello stesso anno dalla Corte di Cassazione, venne commutata in arresti domiciliari a causa dell'età avanzata dell'imputato. Che però nel maggio nel 2008 non gli impedì di partecipare, come presidente onorario, al concorso di bellezza Star of Year, nella tappa finale di Gallinaro (Frosinone) sebbene solo in via telematica. Dal 2009, godendo ancora di ottima salute, gli è concesso uscire di casa "per fare la spesa, andare a messa, in farmacia" ed affrontare "indispensabili esigenze di vita". Il 25 marzo 2011, all'indomani dell'anniversario della strage, Priebke venne fotografato dal settimanale Oggi a cena in un ristorante della Capitale, fatto che suscitò indignazione e rabbia tra gli antifascisti.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine
E’ il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia in seguito all'attacco compiuto da membri dei Gap (gruppi di azione patriottica) romani contro un battaglione di truppe germaniche in via Rasella, nel centro della Capitale. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, é diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Il 23 marzo 1944 - giorno del 25° anniversario della fondazione del partito Fascista di Mussolini - 17 partigiani dei Gap, guidati da 'Rosario' fecero esplodere un ordigno in Via Rasella, a Roma, proprio mentre passava una colonna di militari occupanti. I partigiani, legati al movimento clandestino comunista italiano, riuscirono poi ad evitare la cattura disperdendosi tra la folla. Nell'attentato vennero uccisi 32 militari dell'11esima Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen, mentre altri morirono nei giorni successivi. L'esplosione uccise anche due civili italiani. La sera del 23 marzo, il Comandante della Polizia e dei Servizi di Sicurezza tedeschi a Roma, tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, insieme al comandante delle Forze Armate della Wermacht di stanza nella capitale, Generale Kurt Malzer, proposero che la rappresaglia consistesse nella fucilazione di dieci italiani per ogni ‘tedesco’, e che le vittime venissero selezionate tra i condannati a morte detenuti nelle prigioni gestite dai Servizi di Sicurezza e dai Servizi Segreti. Il Colonnello Generale Eberhard von Mackensen, comandante della Quattordicesima Armata - la cui giurisdizione comprendeva anche Roma – approvò.
Il giorno seguente, i militari della Polizia di Sicurezza e della SD in servizio a Roma, al comando del Capitano delle SS Erich Priebke e del Capitano delle SS Karl Hass, radunarono 335 civili italiani, tutti uomini, nei pressi di una serie di grotte artificiali alla periferia di Roma, sulla via Ardeatina. Le Fosse Ardeatine, che originariamente facevano parte del sistema di catacombe cristiane, vennero scelte per poter eseguire la rappresaglia in segreto e per occultare i cadaveri delle vittime. Priebke e Hass avevano ricevuto l'ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri già stati condannati a morte, ma il numero di prigionieri in quella categoria non arrivava ai 330 “necessari”. Per questa ragione, gli ufficiali della Polizia di Sicurezza selezionarono altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, insieme ad altri che o avevano preso parte ad azioni della Resistenza, o erano semplicemente sospettati di averlo fatto. I tedeschi aggiunsero al gruppo anche 57 ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di Regina Coeli. Per raggiungere la quota necessaria, rastrellarono anche alcuni civili che passavano per caso nelle vie di Roma. Il più anziano tra gli uomini uccisi aveva settant'anni, il più giovane quindici. Quando le vittime vennero radunate all'interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che ne erano state selezionate 335 invece che le 330 previste, ma decisero che rilasciare quei 5 prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell'azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri.
I prigionieri selezionati furono condotti all'interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Priebke e Hass avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone di esecuzione; agli agenti incaricati dell'eccidio, infatti, venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di spararle da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni. Gli ufficiali della polizia tedesca portarono quindi i prigionieri all'interno delle fosse, obbligandoli a disporsi in file di cinque e a inginocchiarsi, uccidendoli poi uno a uno con un colpo alla nuca. Mentre il massacro continuava, i militari tedeschi cominciarono a obbligare le vittime a inginocchiarsi sopra i cadaveri di quelli che erano già stati uccisi. Quando il massacro ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari del genio di chiudere l'entrata delle fosse facendola saltare con l'esplosivo, uccidendo così chiunque fosse riuscito per caso a sopravvivere e seppellendo allo stesso tempo i cadaveri. L'esecuzione venne resa pubblica solo quando venne terminata. A dimostrazione che l’immane massacro non fu ordinato dai tedeschi perché i partigiani autori dell’attacco non si erano consegnati, ma indipendentemente.
Dovrebbero regalargli una palla in fronte per il suo compleanno, tanto ormai i tempi sono più che mauri per levarsi da questa terra.
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