Persino gli Stati Uniti che tanto hanno fatto e tramato per vederlo nascere ora criticano il giovane Stato africano. Juba incapace di governare e proteggere i civili dalle violenze
Scappano nelle boscaglie nei dintorni per sfuggire alla violenza e ai
combattimenti tra l'esercito e gli Yau Yau, un gruppo di guerriglieri
locali che rivendica la lotta armata contro la corruzione e gli abusi
dei militari e contro il governo di un solo partito.
Secondo Medici Senza Frontiere, in circa 120.000 avrebbero
lasciato i villaggi per cercare rifugio altrove mentre l'Onu parla di
almeno 100.000 civili a cui non è possibile fornire aiuti di prima
necessità nello stato dello Jonglei dove gli scontri in atto minacciano
la vita delle popolazioni locali e dove adesso, in pieno periodo delle
piogge, è impossibile arrivare via terra. E d'altro canto non ci sono
abbastanza elicotteri in dotazione al personale delle Nazioni Unite per
poter garantire aiuti essenziali in modo continuo e sistematico.
A criticare fortemente il governo del Sud Sudan una decina di giorni fa
era stato il suo più grande alleato, gli Stati Uniti, i quali si erano
detti "profondamente delusi" dall'incapacità di Juba di proteggere le
popolazioni civili dagli scontri in atto nella zona orientale. Stando a
quanto riportato da fonti Onu, la maggior parte dei civili -
contrariamente ai dati ufficiali diffusi dal governo - avrebbe infatti
lasciato la città di Pibor, nel vasto stato dello Jonglei dove scontri
tra le tribù rivali dei Lou Nuer e dei Murle avrebbero causato un numero
imprecisato di morti.
Lo stesso esercito però - che il giovane stato sudanese ha cercato dal
2011 non senza pochi sforzi di strutturare compattando cellule di ex
guerriglieri trasformati in soldati professionisti - si sarebbe reso
responsabile a maggio scorso di azioni di saccheggio contro compound
dell'Onu e di altre organizzazioni umanitarie. Tanto che Washington
oltre a dirsi delusa ha anche esortato il governo ad attivarsi per
fermare atti simili.
Il Sud Sudan accusa il Sudan di fornire armi agli Yau Yau. Accuse
credibili dicono molti analisti, come altrettanto concreti però restano
il dissenso e il malcontento che azioni di tortura, uccisioni e stupri
ad opera dei soldati regolari stanno scatenando tra i civili.
Scontri e violenze sarebbero avvenuti anche nello stato dell'Unity,
ricco di giacimenti petroliferi. Ma, nonostante una massiccia presenza
sul territorio di peacekeepers in grado di monitorare quanto accade,
l'ONU non ha diffuso cifre ufficiali sul numero di vittime. Che pure ci
sono, come quella mamma coi suoi tre bambini arsi vivi in una capanna,
raccontano fonti autorevoli. Nessun dato ufficiale però. Per non
imbarazzare il governo, dicono i più cinici.
Le potenze occidentali intanto stanno a guardare e si dicono preoccupate
che un'escalation delle violenze possa esplodere in una nuova guerra
civile mentre gli Stati Uniti provano a fare la voce grossa con
l'alleato Juba.
Dal 2011, dalla secessione cioè dal Sudan, gli scontri tra esercito
regolare, gruppi di ribelli e tribù rivali hanno provocato almeno 1600
morti e spinto decine di migliaia di sfollati a lasciare il Paese. Oltre
naturalmente ad aver in parte ostacolato i piani e le attività di
esplorazione del terreno alla ricerca di nuovi giacimenti di petrolio
della francese Total e dell'americana Exxon.
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