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03/10/2013

Giovani. Quattro su dieci disoccupati, quasi due su dieci senza istruzione

Quasi 2 ragazzi su 10 non sono tornati sui banchi di scuola. Sono 700 mila i ragazzi che ogni anno, in Italia, si “perdono”, abbandonando la scuola senza portare a termine il percorso di formazione. È quanto emerge dal rapporto “Frequenza 200” elaborato dalla ong Intervita e dalla Fondazione Agnelli presentato ieri. Il progetto Frequenza 200, prende il nome dal numero di giorni di lezione obbligatori che la scuola deve garantire per legge in Italia. Ha coinvolto circa 2000 studenti tra i 10 e i 16 anni, altrettante famiglie, 800 insegnanti, 160 operatori informali, educatori e “personaggi della strada”come il barista, l’edicolante, negozianti. Ne è uscita fuori la pubblicazione “Lenti di contatto, primo quaderno di ricerca su dispersione scolastica, pedagogia, società e inclusione”. Secondo Barbara Argo, insegnante di Palermo “I ragazzi che la scuola “disperde” diventano il bacino dal quale attinge a piene mani la criminalità organizzata e questo, noi che operiamo nel sociale, lo sappiamo bene. È necessario coniugare l’intervento di contrasto alla dispersione scolastica a quello più ampio che rimanda alla tutela e al rispetto di condizioni dignitose e accettabili di vita, dove il diritto all’istruzione coincide, inevitabilmente, con il riconoscimento della propria identità e la formazione della propria coscienza. Si tratta di mettere in campo interventi strutturali talmente forti da farli radicare nel territorio fino a divenire parti integranti di esso”. Intervita ha sperimentato il suo progetto pilota in tre regioni (Lombardia, Campania, Sicilia) nell’anno scolastico 2012-2013.

L’Italia con il 17,6% di ragazzi che abbandonano gli studi, è in fondo alla classifica europea la cui media è pari al 14,1%. Il confronto è con la Germania, dove la quota è sensibilmente più bassa (10,5%), la Francia (11,6%) e il Regno Unito (13,5%). Un divario che aumenta se guardiamo al Sud, dove la media è del 22,3%, mentre si riduce nel Centro-Nord dove si attesta al 16,2%. Dispersi, a rischio dispersione, o, secondo gli standard internazionali, drop out, early school leavers, con questi termini vengono definiti i ragazzi che lasciano la scuola precocemente, e indica un futuro caratterizzato da disoccupazione, esclusione sociale, violenza e microcriminalità. Quei ragazzi che la scuola perde perché li boccia, li frulla dentro una selezione tornata ad essere il segno dei vari gradi di istruzione, non li riprende più, li perde e difficilmente tornano sui banchi di scuola.

Quali sono poi i costi sociali dell’abbandono scolastico? Uno dei ricercatori, Daniele Crecchi ha usato i dati Bankitalia e Isfol, per quantificare i “drop out”, cioè i ragazzi che “cadono fuori” dalla scuola italiana. Su 100 bambini che ogni anno iniziano gli studi ce n’è uno che non riuscirà neppure a finire la scuola primaria, cinque che si fermeranno alla licenza elementare, 32 che lasceranno dopo le medie. Oltre a 17 che tentano le superiori ma falliscono e altrettanti che non riescono ad arrivare alla laurea. Un tentativo di quantificazione “economica” ritiene che i giovani in fuga dalla scuola costino all’Italia 70 miliardi l’anno. “I ragazzi abbandonano gli studi troppo presto”, continua l’economista, “accettano lavori con retribuzioni più basse e così se ne va in fumo un ipotetico 4% di Pil”. Una quantificazione “per assurdo”, sottolinea il professor Crecchi “fatta ipotizzando che la politica abbia una bacchetta magica e sia in grado di scolarizzare tutte le persone che hanno lasciato la scuola” e che “ci sia un ipotetico mercato del lavoro in grado di assorbirle tutte”. Il calcolo si articola su queste basi: in Italia ci sono 12,6 milioni di persone che hanno lasciato gli studi prima del diploma, che hanno un livello di occupazione più basso del 14% rispetto a chi ha finito le superiori e che, se hanno un impiego, guadagnano circa 4 mila euro in meno dei colleghi più scolarizzati. Se tutte queste persone venissero assunte con lo stipendio medio di una persona che ha almeno un titolo di studio superiore, genererebbero un “giro d’affari” da 70 miliardi. “Una cifra - sottolinea Checchi - assolutamente ipotetica, ma che dà l’idea del potenziale economico che il tema ha nel nostro Paese”.

Connettere i risultati di questa ricerca con i dati diffusi ieri dall'Istat secondo cui il 40,1% dei giovani sono disoccupati, ci dà non solo una idea drammatica della situazione sociale del nostro paese oggi, ma ci fornisce la cifra della pesantissima ipoteca sul futuro di almeno due generazioni.

Fonte

Tutto ben detto, fatta eccezione per quel "quei ragazzi che la scuola perde perché li boccia". La scuola non perde i ragazzi perché li boccia, semmai arriva a bocciarli perché negli anni precedenti non è riuscita (insieme alla famiglia che in questi casi ha quasi sempre le maggiori responsabilità) a valorizzare la propria funzione nella testa del giovane che di questi tempi, al futuro e alla propria posizione sociale non pensa nemmeno quando è arrivato a 30 anni.

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