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05/02/2014

Quella (s)porca operazione Bankitalia

Nella conversione in legge del decreto “Imu-Bankitalia”, è maturata l’ennesima “porcata” istituzionale che, dietro l’alibi della cancellazione della II° rata dell’Imu, ha consentito una delle operazioni più immonde degli ultimi anni. L’aumento di capitale della Banca d’Italia permette infatti alle principali banche italiane (Intesa e Unicredit, in testa) di incassare svariati miliardi di euro per sistemare i propri conti patrimoniali in vista dell’esame europeo per entrare nella nuova lobby speculativa dell’Unione Bancaria Europea. Leggere per credere.

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Non bisogna essere dei fini analisti della comunicazione per immaginare che il provvedimento definito Imu-Bankitalia, approvato a fatica dal Parlamento italiano, adottando modalità che ben poco hanno di democratico, non sia stato assolutamente compreso dalla maggioranza della popolazione italiana.

In primo luogo, perché nel decreto in oggetto e ora convertito definitivamente in legge, sono compresenti due provvedimenti che nulla hanno a che fare tra loro e che sarebbero dovuti essere discussi separatamente. Il primo riguarda l’abolizione della II° rata dell’Imu, come già concordato in sede di formazione del governo Letta, il secondo invece ha a che fare con la ricapitalizzazione della Banca d’Italia.

Perché allora presentarli insieme? La risposta è semplice: perché si tratta di un “do ut des”, tra lo Stato e gli interessi speculativi immobiliari e creditizio-finanziari. Da un lato, l’abolizione dell’Imu favorisce i redditi medio-alti, le rendite territoriali e i processi di gentrification a scapito di entrate fiscali, dall’altro la ricapitalizzazione di Bankitalia consente di ottenere nuove entrate per il bilancio pubblico compensando i mancati introiti dell’Imu. In più rappresenta un vero e proprio regalo alle principali banche italiane, in vista degli stress test (sui bilanci) della Bce e dell’Eba (European Banking Authority), stabiliti negli accordi di Basilea 3 e funzionali alla creazione dell’Unità Bancaria Europea.

Se gli effetti dell’abolizione della II rata dell’Imu sono facilmente comprensibili, non altrettanto lo è l’operazione Bankitalia, via rivalutazione delle quote azionarie e sua ricapitalizzazione

Tali operazioni hanno due obiettivi: consentire ad altri privati (ovviamente di “grande responsabilità imprenditoriale” (!!)) di entrare nel ristretto mondo degli azionisti Banca d’Italia, favorendone la privatizzazione, e soprattutto consentire un aumento della patri­mo­nia­liz­za­zione degli isti­tuti di cre­dito azioni­sti di Ban­ki­ta­lia, risultato quanto mai necessario se si vuole passare l’esame europeo. Come è noto, la Banca d’Italia, pur essendo un ente Pubblico, non è di proprietà pubblica, ma di un board di azionisti privati, al cui interno possiamo annoverare sulla base decrescente delle quote azionarie detenute, Intesa San Paolo (30,3%) e Uni­cre­dit (22,1%) e con quote più pic­cole Gene­rali (6,3%), Carige (4%), Bnl (2,8%) e Mps (2,5%).

Secondo la nuova legge, la rivalutazione di tali quote azionarie passa dagli attuali 156mila euro (cifra diventata irrisoria oggi) a 7,5 miliardi di euro (cifra da molti ritenuta eccessiva). Nulla di male in tutto ciò, se non fosse che tale aumento di capitale non è a carico dei soci azionisti (come accadrebbe in ogni aumento di capitale privato) ma a carico delle riserve dell’istituto di via Nazio­nale. Si tratta, si badi bene, di riserve pub­bli­che (non private, anche se la BdI è privata), in quanto accantonate negli anni passati sulla base dei saldi della Bilancia dei Pagamenti dell’intera economia nazionale. Attualmente tali riserve sono composte nella parte ancora aurea da 2.400 ton­nel­late d’oro – per un valore corrispettivo di circa 110 miliardi di euro – e dai gua­da­gni che deri­vano dalla gestione della moneta cir­co­lante girata a Ban­ki­ta­lia dalla Bce.

Ne consegue che gli azionisti principali non sborsano un euro e si trovano invece ingenti somme in attivo. Ad esempio, Intesa e Uni­cre­dit potranno vantare guadagni in conto patrimoniale com­presi fra i 2,7 e i 4 miliardi. A seguito di ciò, lo Stato incas­serà un get­tito fiscale maggiore pari  a 1,1 miliardi, guarda caso una cifra non molto dissimile dal mancato introito fiscale in seguito all’abolizione della II rata dell’Imu.

Il conto così torna. Il bilancio statale può rispettare i vincoli di stabilità pattuiti in Europa con Il Fiscal Compact e le principali banche italiane possono presentarsi all’esame europeo con i conti in ordine già a fine 2013. Infatti, ciliegina sulla torta, la ricapitalizzazione è retroattiva al 31 dicembre 2013, a conferma delle vera finalità dell’operazione, che platealmente sconfessano le affermazioni del Tesoro Italiano: “nessun regalo è stato fatto alle banche, perché la rivalutazione del capitale e una più equilibrata ripartizione delle quote di partecipazione alla Banca d’Italia non comportano alcun onere per lo Stato”, dimenticandosi di dire che l’operazione è stata finanziata dalle riserve della stessa BdI.

Non servono altre osservazioni per descrivere una tale ignominia. Solo due considerazioni finali. La prima riguarda l’uso delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia. Tali riserve svolgevano una funzione economica rilevante in un contesto di sovranità monetaria nazionale, nel caso fosse necessario contrastare un processo di svalutazione della valuta. Oggi, in presenza dell’Euro, tale motivazione non ha più senso. Che farne allora? Non potrebbero essere utilizzate per altri fini, ad esempio a sostegno delle politiche sociali nazionali? 110 miliardi di riserve corrispondono a poco più del 6% del Pil e sono pari alle finanziarie degli ultimi 4 anni. Inoltre è liquidità immediatamente spendibile. Perché non utilizzarle per la costituzione di un primo embrione di moneta del comune, finalizzata a garantire continuità di reddito, finanziare l’ampliamento dei servizi sociali e favorire progetti produttivi alternativi? La domanda è ovviamente retorica, visto l’utilizzo che proprio di questi tempi ne è stato fatto.

La seconda considerazione riguarda l’accordo europeo del dicembre 2013 che ha portato alla costituzione della futura Unione Bancaria Europea. Tale accordo ha due finalità: la prima è quella di costituire una sorta di ciambella di salvataggio di più ampia caratura per far fronte ai marosi della dinamica speculativa internazionale e quindi, in secondo luogo, di partecipare agli eventuali guadagni. Di fatto si è definito un nuovo investitore istituzionale finanziario sovranazionale, in grado di competere con le corporation multinazionali finanziarie di oltreoceano e anglo-nipponiche. A tal fine era necessario mostrare una minima solidità patrimoniale per evitare il rischio di insolvenze. E non è un caso, al riguardo, che, su pressione tedesca, alcune categorie di banche, quelle più a rischio o con più difficoltà ad ottemperare i parametri di bilancio richiesti, ne sono state escluse (ad esempio, le Sparkasse dei Länder tedeschi). Ne è conseguita la definizione di un’oligarchia finanziaria in grado di meglio partecipare all’espropriazione speculativa della cooperazione sociale moltitudinaria. Rischia di prendere un abbaglio chi pensa che l’Unione Bancaria Europea sia la conferma della tenuta dell’Euro; è solo uno strumento del processo si razionalizzazione dei poteri forti europei in vista dell’allentamento delle politiche d’austerity. L’Euro ha tenuto nel corso degli ultimi due anni grazie alle forti iniezioni di liquidità che la Banca Centrale Europea, anche in contraddizione con il proprio statuto, ha concesso al sistema creditizio e finanziario europeo. Circa 1200 miliardi di euro sono così transitati nei depositi bancari finalizzati da un lato a sostenere la domanda di titoli dei mercati finanziari e dall’altro a ridurre i tassi d’interesse sui titoli pubblici dei paesi maggiormente indebitati. Non sorprende quindi che nel corso del 2013, anno in cui le politiche d’austerity hanno più colpito le condizioni di vita della popolazione europea, le rendite finanziarie (plusvalenze) abbiano maturato incrementi di quasi il 20% e gli spread siano diminuiti.

P.S.: una volta approvata tale legge, i deputati del PD, in risposta alle critiche del M5S, hanno intonato a gran voce “Bella Ciao”. Atto del tutto singolare, a meno che oggi non si pensi, all’interno del principale partito del Centro Sinistra, che anche la Resistenza possa essere strumentalmente piegata a favore delle oligarchie finanziarie!

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