Le parlamentari del 30 aprile sono state le terze da quando è caduto il regime sunnita di Saddam Husseini in seguito all’invasione occidentale del marzo 2003. Il
momento che vive il Paese è drammatico: l’Iraq, infatti, è dilaniato
dalle violenze come nel tremendo biennio 2006-2007. Soltanto lo scorso
anno 8.800 persone sono state uccise in attentati e negli scontri armati
con le forze governative. Da gennaio le vittime delle violenze sono già
più di 3.500. Ad aggravare la già gravissima situazione –
alimentata dal settarismo del governo – è la guerra civile siriana: nel
vuoto istituzionale che si è creato nell’area orientale della Siria, ne
ha approfittato il gruppo islamico fondamentalista Isil (Fronte islamico
di Iraq e Levante). L’Isil domina un territorio molto vasto che si
estende dalla città siriana di Raqqa fino a Falluja nella provincia di
al-Anbar nel nord ovest dell’Iraq.
Più di 9.000 sono stati i candidati che hanno
preso parte alle parlamentari del 30 aprile. L’affluenza del 62% (22
milioni sono stati gli aventi diritto al voto) ha eguagliato quella
della precedente tornata elettorale del 2010. Nonostante si
siano verificati diversi casi di aggressione nei confronti dei
candidati, le parlamentari sono state definite un “successo” dalla
comunità internazionale.
I risultati delle elezioni – il cui annuncio è stato a
lungo posticipato a causa dei tanti reclami presentati – sono stati
comunicati soltanto ieri dall’Alta Commissione Elettorale. Successo
netto e prevedibile per la coalizione di al-Maliki “Stato di Legge” che
ha conquistato 92 seggi (su 328 complessivi) vincendo in 10 su 18
province. Il premier uscente dovrà, però, allearsi con altri gruppi per
raggiungere i 165 seggi necessari per potersi riconfermare alla carica
del Paese.
Maliki sarà costretto, per forza di cose, a coalizzarsi con le altre compagini sciite. Tra
queste vi sono il blocco al-Muwatin del religioso sciita ‘Ammar
al-Hakim (29 seggi, seconda forza del Paese) e al-Ahrar di Muqtada
al-Sadr (28). Due piccoli partiti sadristi hanno ottenuto 6
seggi e molto probabilmente si uniranno al blocco di al-Ahrar per
formare una coalizione più ampia.
Tra i sunniti, invece, è stato Muttahidun del
Presidente del Parlamento Osama al-Nujaifi ad ottenere più seggi (23)
seguito subito dopo (21) da al-Wataniyya dell’ex premier Ayad Allawi.
Molto distanziata (10 posti parlamentari) la lista al-Arabiya del vice
primo ministro sunnita Saleh al-Mutlaq.
I due principali partiti curdi, l’Unione patriottica del Kurdistan e il Partito Democratico Curdo hanno conquistato lo stesso numero di seggi (19). Peggiore è stato il risultato del partito curdo riformista Goran (9).
Fatta l’elezione facciamo il governo.
Più facile a dirsi che a farsi. Le negoziazioni per
la formazione di un nuovo governo possono durare settimane se non mesi
in Iraq. Il precedente storico non è incoraggiante: nel 2010 ci sono
voluti 9 mesi per dare vita ad un nuovo esecutivo. Nonostante
la lunga gestazione, però, i parlamentari non sono riusciti a trovare un
accordo su chi dovesse essere a capo dei Dicasteri della Difesa e degli
Interni. Il fatto che quest’ultima carica sia stata mantenuta fino ad
oggi dallo stesso Premier Maliki la dice tutta sulle difficoltà avute.
Secondo la costituzione irachena, il Presidente
chiederà al nuovo Parlamento di riunirsi entro 15 giorni dalla ratifica
dei risultati elettorali. L’attuale Presidente iracheno, Jalal Talabani,
ha avuto un ictus nel 2012 e da allora le sue apparizioni pubbliche
sono drasticamente diminuite. Tuttavia, secondo gli analisti, non
dovrebbero esserci ritardi perché il suo ruolo è perlopiù cerimoniale.
Quando i parlamentari si riuniranno, dovranno scegliere non solo il Primo Ministro ma anche un Capo di Stato e un Presidente del Parlamento.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento