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02/07/2014

Telecom Italia. Finisce un'epoca. Addio a Telco, arriva la scissione

Come previsto il consiglio d’amministrazione della holding del 26 giugno 2014 ha approvato all'unanimità il progetto di scissione parziale della società, Telco quindi verrà sciolta a luglio e poi messa in liquidazione, mentre nasceranno “quattro nuove società (newco)”, una per ogni azionista, che diventeranno proprietarie della quota di competenza che Telco ha in Telecom. A conti fatti, la newco di Telefonica avrà il 14,77% delle azioni Telecom, quella del Gruppo Generali avrà il 4,32%; mentre una quota dell’1,64% andrà a ciascuna delle newco di Intesa e Mediobanca.

Una disavventura che, dopo la maxi-svalutazioni per centinaia di milioni di euro, lascia ancora un’eredità in profondo rosso agli azionisti di Telco di oltre 3 miliardi sulla carta tra perdite residue (583 milioni), che dovrà rimborsare alle banche (660 milioni) e agli obbligazionisti (oltre 1.750 milioni più 70 milioni di euro in interessi), da erogarsi in misura proporzionale alle quote di partecipazione degli azionisti nella società subito prima dell'esecuzione della scissione.

Il perfezionamento della scissione è subordinato all'autorizzazione delle autorità brasiliane Cade (l'antitrust) e Anatel (autorità regolamentare), dell'argentina Cndc (l'antitrust) e, per quanto di competenza, dell'Ivass italiana. Telco rimarrà in vita con un capitale minimo e senza alcuna azione Telecom Italia in portafoglio, con l'obiettivo di gestire le attività e passività residue in bilancio, al termine della quale sarà prevista la liquidazione.

Una nota dolente arriva poi dai numeri di bilancio di Telco, approvato nel corso del CDA, che ha chiuso l’esercizio 2013-2014 (terminato lo scorso 30 aprile), con una perdita di 952,5 milioni dopo oneri finanziari per 120,3 milioni e rettifiche di valore sulle azioni di Telecom Italia per complessivi 830,5 milioni.

Adesso bisognerà conoscere le reali intenzioni degli spagnoli che con il loro «sterile» 14,8%, senza diritti di voto, sembrano orientati sempre più ad allontanarsi dall’Italia nonostante pochi giorni fa, in occasione dell’operazione sul convertendo, Telefonica abbia assicurato di voler restare nel mercato italiano.

Quindi ennesima operazione finanziaria che dovrebbe traghettare Telecom Italia verso una realtà più vicina alla “public company”, con i soci italiani che tra qualche mese potrebbero cercare di valorizzare la loro quota mollando tutto e lasciando la società senza un controllo rilevante in grado di influenzare la gestione sul piano industriale.

La mancanza di un azionista forte rende necessario che del monitoraggio sulla gestione si faccia carico in pieno il consiglio d’amministrazione: è il Cda che dovrà nominare, valutare e se del caso revocare l’amministratore delegato, il quale ha a sua volta la responsabilità delle scelte gestionali, incluse le nomine dei principali manager, nel quadro delle scelte strategiche approvate su suo input dal Cda.

Coincidenza vuole che proprio in questi giorni, dal 26 giugno al 10 luglio, si è aperta la possibilità della vendita di azioni Telecom ai dipendenti, che già dal primo giorno ha visto l’adesione di circa 5.500 dipendenti che hanno già sottoscritto oltre 30 milioni di azioni. I dipendenti possono sottoscrivere fino a 5.000 €, al prezzo di 0,84 €, pagandole attingendo al TFR (trattamento di fine rapporto).

Telecom Italia adegua lo statuto alla disciplina Golden Power

Il Cda di Telecom Italia ha inoltre deliberato l'abrogazione dell'art. 22 dello statuto della società, che recepiva la normativa in materia di poteri speciali dello Stato emanata in occasione delle privatizzazioni (cosiddetta golden share).

La nuova disciplina introduce specifiche prerogative previste con la legge 11 maggio 2012, n. 56 (cosiddetto Golden Power), che lo Stato è abilitato ad esercitare, tra l'altro, in occasione di operazioni inerenti asset strategici appartenenti a società che operano nel settore delle comunicazioni (poteri di veto, anche nella forma di assunzione di specifici impegni).

Agenda Digitale, controllo pubblico per lo sviluppo della banda ultralarga?

Proprio in questi giorni, in Parlamento si è tornati a dibattere di Agenda Digitale, di cosa si intende fare per attuarla, di quali siano i prossimi passi, di come premere l'acceleratore sulla banda larga e quando scegliere un nuovo vertice. A seguito della richiesta del Movimento Cinque Stelle, il ministro Madia, promette la nomina del nuovo presidente dell'Agenzia per l'Italia Digitale.

Il movimento 5 Stelle sul tema ha puntato l’indice contro la società Telecom depositando una mozione con cui chiede al governo di provvedere allo scorporo della rete Telecom Italia, cioè la separazione della parte della società delle reti, che si occupa del perimetro delle attività e delle risorse relative allo sviluppo e alla gestione della rete di accesso, sia in rame che in fibra per garantire lo sviluppo di Internet veloce e dare un grosso contributo alla ripresa del Pil.

E' come chiudere i cancelli dopo che i buoi sono scappati!

Telecom Italia, dopo essere stata depredata in tutti questi anni da speculatori senza scrupoli, è impossibilitata ad innovarsi e a garantire gli investimenti minimi necessari per il raggiungimento degli obiettivi europei dello sviluppo della banda larga.

Adesso pretendere dal Governo, dopo aver svenduto a prezzi di mercato la società, di diventare socio di maggioranza solo della rete, in quanto di rilevanza strategica per la difesa e la sicurezza nazionale, ci sembra fuori tempo massimo, considerato che difficilmente sia percorribile sotto il profilo finanziario. Lo testimoniano mesi di trattative, poi finite con un buco nell’acqua, fra Telecom e la Cassa Depositi e Prestiti nel tentativo di costruire una società delle reti.

Il progetto prevedeva che Telecom apportasse il suo network, parte del debito e dei dipendenti e la Cdp facesse confluire Metroweb, società controllata assieme alla F2i di Vito Gamberale impegnata nello sviluppo della fibra nelle più grandi città italiane. La trattativa si è però arenata sul nodo della valorizzazione della rete Telecom, che oggi, assieme alla filiale brasiliana, costituisce per le banche creditrici la più importante garanzia a fronte di un pesante indebitamento (28 miliardi).

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