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02/08/2014

L’America Latina unita contro Israele

Israele dichiarato “Stato terrorista”, ambasciatori richiamati per “consultazioni”, netta condanna della strage di civili palestinesi a Gaza, mobilitazioni popolari: l’America Latina è la regione del mondo che più si sta muovendo contro il massacro israeliano in corso nella Striscia, e in modo compatto come mai era accaduto in passato.

L’ultimo in ordine di tempo a reagire, in modo decisamente efficace e simbolico, è stato il presidente della Bolivia, Evo Morales, che ha incluso Israele in una lista di “Stati terroristi”, annullando anche un accordo di esenzione dei visti fra i due paesi. Prima di lui, fra gli altri, la collega brasiliana Dilma Rousseff aveva giudicato “un massacro” l’offensiva Protective Edge, pur evitando il termine “genocidio”, usato invece da un esponente del Partido Socialista Unido de Venezuela (Psuv), paese dal quale il presidente Nicolás Maduro ha deplorato “una guerra di sterminio da quasi un secolo” contro il popolo palestinese. In una dichiarazione rilasciata dal Ministero degli Esteri, il governo venezuelano ha ribadito “la sua forte condanna per l’attacco criminale dello Stato di Israele, che ha avviato una fase più elevata della politica e del suo sterminio genocida con l’invasione di terra del territorio palestinese, che uccide uomini, donne e bambini innocenti”. Il Venezuela ripudia “le campagne ciniche che cercano di condannare le parti allo stesso modo, quando è chiaro che moralmente non è paragonabile la situazione della Palestina occupata e massacrata rispetto allo Stato occupante, Israele, che ha anche una superiorità militare e agisce al di fuori del diritto internazionale”.

Ma di fatto tutta la regione ha condannato la violenza esigendo una tregua e il rilancio dei negoziati fra le parti; Brasile, Perù, Ecuador, Cile e Salvador hanno richiamato i loro ambasciatori in Israele, Costa Rica e Argentina – quest’ultimo paese conta la più vasta comunità ebraica della regione – hanno convocato presso i loro ministeri degli Esteri i rispettivi ambasciatori israeliani.

Il presidente dell’Uruguay, José Mujica, ha chiesto il “ritiro immediato delle truppe israeliane” e un “cessate-il-fuoco senza condizioni” nella Striscia di Gaza, mentre altri paesi governati dalla cosiddetta “sinistra radicale” hanno da tempo rotto le relazioni diplomatiche con Israele, fra questi il Nicaragua, nel 2010, il Venezuela e la Bolivia nel 2009 – durante l’operazione “Cast Lead”, Cuba già nel 1973, dopo la guerra dello Yom Kippur.

L’unica voce dissonante è stata per il momento la Colombia, governata da un regime di centro-destra molto vicino all’amministrazione statunitense e storicamente alleata con Israele, che ha escluso per il momento la possibilità di richiamare il proprio ambasciatore in Israele.

Le reazioni ufficiali sono state accompagnate da manifestazioni popolari di sostegno ai palestinesi, dal Messico a Santiago del Cile, dal Brasile all’Argentina.

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