Assolutamente trascurata a livello italiano, salvo i blog che si occupano di trading, la vicenda del Banco do Espirito Santo è indicativa dello stato di salute del sistema bancario europeo dopo un quadriennio di “riforme” continentali, di ogni genere, verso l’unione bancaria. La vicenda del Banco, di per sé, è semplicissima da spiegare: dopo una fase di aiuti, provenienti dallo stato portoghese, il Banco si rimette in sesto da un periodo di speculazioni, tipiche del periodo pre-Lehman Brothers, che l’aveva portato sull’orlo della bancarotta. Di nuovo pienamente operativo il Banco torna in piena efficienza ai vecchi amori, per la verità mai pienamente tralasciati: gli investimenti ad alto rischio e in titoli tossici in tutto il mondo.
Il resto della storia si racconta con il pilota automatico: nuovo botto del Banco, dichiarazioni classiche sulla banca “troppo grossa per farla fallire”, ripercussioni sulle borse europee (specie sulle banche francesi e italiane proprietarie di ampie quote dell’istituto). Infine, nuovo salvataggio del Banco da parte dei contribuenti portoghesi, ulteriore utilizzo di fondi europei distolti dalla spesa pubblica dei singoli paesi continentali. Qui bisogna ricordare che il Portogallo, il cui salvataggio delle banche è già stato commissariato dall’Europa da anni, ha già pagato i titoli tossici dei propri istituti con una serie di manovre di tagli lacrime e sangue. Ora, arriva un’altra ondata di tagli, per salvare il Banco, su una popolazione già provata da anni di austerità, nell’ottica del più classico bail-out. Uno strumento un po’ diverso da quanto prefigurato da Bce e Ue almeno dalla crisi di Cipro: separare la crisi delle banche dai bilanci degli stati (già sottoposti a fiscal compact). Come dire: non c’è niente di meglio dell’emergenza per capire quali politiche sono ritenute realmente efficaci. Naturalmente se il caso passasse davvero sotto lenti politiche italiane, di ogni tipo, la riposta sarebbe pronta: il Banco è un caso periferico, la strada del consolidamento dell’euro e delle banche europee, tra forward guidance di Draghi e unione bancaria, è comunque tracciata. E poi via, ognuno a ripetere il rosario delle proprie rivendicazioni. Qualcuna, per carità, sacrosanta mentre su altre è meglio evitare ogni commento. In realtà, la vicenda dello stato delle banche europee è ben diversa se si seguono gli studi del Volatility Institute della Stern University di New York, segnalato meritoriamente da un post di Intermarket and More.
Senza farla troppo lunga, anche perché torneremo sui temi dell’instabilità globale, l’Europa ha un sistema bancario nazionale a forte rischio sistemico, per tutto il continente, che è quello della Francia. Seguono poi Gran Bretagna, Germania e Italia. Cosa significa questa analisi proposta dalla Stern University? Che in caso di forte volatilità sui mercati finanziari il primo sistema nazionale che può produrre una crisi sistemica continentale, con fallimenti a catena che coinvolgono la sfera economica, è quello francese. Viene da dire che, essendo il Banco do Espirito Santo fortemente legato alle banche francesi, si capisce perché il salvataggio è stato fatto velocemente, badando prima di tutto a prendere i soldi alla popolazione portoghese. Sistema rapido che non implicasse, almeno per adesso, il bail-in (che coinvolge gli azionisti della banca a pagare una quota del salvataggio) prefigurato, fino ad oggi, per la fase matura dell’unione bancaria europea a venire. Forse per il timore di scoprire troppo presto un sistema francese, azionista forte del Banco, già in preda a nervosismi non solo finanziari ma anche politici. Già perché la crisi è cominciata sette anni fa, proprio ad agosto, quando, guarda caso, una banca francese, Bnp Paribas, congelò tre fondi d’investimento legati ai mutui americani a loro volta intrecciati a un livello di finanza tossica ad alta complessità. Il titolo Bnp, quotato sulla borsa di Parigi scese più del 4% in un giorno. Banca francese, investimenti americani, investitori di tutto il mondo: fu il botto globale. Si capisce quindi perché, nonostante le cifre del Banco siano diverse dai colossi americani dei mutui, si è scelto il salvataggio subito a quel modo. Ma forse si capisce meno che, fino al prossimo botto o fino all’estinzione non vicinissima del problema, la seconda banca europea portatrice di rischio sistemico, la Deutsche Bank, che è anche l’espressione della prima economia Ue, ha mostrato pubblicamente segni di cedimento.
La crisi delle banche europee, di una portata socialmente molto più devastante rispetto a quella husserliana delle scienze europee, prosegue. E’ una crisi del comando capitalistico molto forte ma che si svolge su vette per adesso inaccessibili, quando non incomprensibili, alle sinistre e ai movimenti. Intanto questo suo capitolo è stato chiuso. In nome del padre, del figlio e del Banco do Espirito Santo.
Redazione, 4 agosto 2014
PS: con lo scorrere delle notizie, il salvataggio del Banco emerge sempre di più come una miscela tra bail-out (salvataggio secco a carico dei conti pubblici di un paese) e bail-in (dove il conto viene presentato anche ad azionisti della banca). Non riesce quindi a tenere l'idea, prevalente a livello di governance finanziaria continentale degli ultimi mesi, di separare la crisi delle banche da quelle dei bilanci pubblici. Ma allo stesso tempo fa capolino lo strumento del bail-in. Come dice Ticino News "il caso del Portogallo è il primo test delle nuove regole transitorie in vigore in attesa della costituzione nel 2016 dell'unione bancaria europea" Unione bancaria che, a sua volta, è il vero test su quale Ue ci sarà nei prossimi anni.
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