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14/05/2015

Israele - Nasce il governo di Casa Ebraica con un premier del Likud

Il leader di Casa Ebraica Naftali Bennett (foto di Emil Salman)
di Michele Giorgio

Mentre il premier Benyamin Netanyahu è impegnato in queste ore a soddisfare le pressanti richieste dei compagni del suo partito, il Likud, che reclamano gli ultimi ministeri disponibili prima del giuramento del governo previsto in giornata, i coloni israeliani non nascondono la loro soddisfazione per la composizione del nuovo esecutivo, il più sbilanciato verso l’estrema destra della storia del Paese. L’ulteriore rilancio della colonizzazione dei Territori palestinesi occupati infatti è scontata dopo che il partito nazional-religioso Casa Ebraica, storico rappresentante dei coloni, ha strappato a Netanyahu ministeri chiave. Il movimento dei coloni pertanto eserciterà un’influenza come mai prima. Anche perché nello stesso Likud sono numerosi i sostenitori dello sviluppo senza freni degli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. E alle migliaia e migliaia di case per i coloni che il passato governo ha già approvato se ne aggiungeranno prevedibilmente molte altre migliaia, ovunque.

Tra i coloni c’è una diffusa aspettativa che il governo rimuoverà le ultime restrizioni sulla costruzione di nuove case. “C’è una realtà permanente in Giudea e Samaria (la Cisgiordania ndr), che è quasi irreversibile… Siamo ottimisti…Non cerchiamo lo scontro ma il mondo non può dettare qualcosa nei confronti della quale la democrazia israeliana ha votato contro”, ha detto al Times of Israel Yigal Dilmoni, il portavoce del Consiglio di Yesha che rappresenta la maggioranza dei “settlers” (coloni) israeliani.

Più di 350.000 coloni vivono in Cisgiordania e altri 200.000 a Gerusalemme Est, la zona araba della città occupata da Israele nel 1967, insediati tra circa tre milioni di palestinesi.
Nei giorni scorsi, il presidente americano Barack Obama ha ribadito che si aspetta che il nuovo governo lavori per la soluzione dei Due Stati (Israele e Palestina coesistenti) e l’Unione europea ha adottato una linea, almeno in apparenza, più dura nei confronti delle colonie. Posizioni che interessano poco ai settlers e ai loro tanti sostenitori nel governo e alla Knesset che non danno alcun peso al diritto internazionale.

Dani Dayan, un ex dirigente di Yesha, sostiene Netanyahu dovrà navigare tra due agende opposte, quella di Israele e quella della comunità internazionale: “Alla fine della giornata in Israele il primo ministro ha la maggior parte del potere ed è lui che dovrà decidere quale strada seguire”. Una strada che sarà indicata con forza da Casa Ebraica. Sebbene abbia ottenuto alle elezioni del 17 marzo solo otto seggi su 120, Netanyahu ha bisogno come l’aria di questa forza politica per garantire la sua ristretta maggioranza di appena 61 seggi. E il leader di Casa ebraica, Naftali Bennett, è perfettamente consapevole del potere che si ritrova tra le mani. Anche altri partner di Netanyahu – tra cui due partiti ultraortodossi e il centrista Kulanu – hanno la capacità di far cadere la coalizione. Ma i loro interessi sono focalizzati su questioni interne, sociali e religiose, mentre Casa Ebraica fa della colonizzazione, del rifiuto dello Stato palestinese e della sfida al diritto internazionale il suo cavallo di battaglia. Per questo eserciterà continue pressioni sul primo ministro che, comunque, è bene ricordarlo, è anch’egli un sostenitore del movimento dei coloni e poco interessato a raggiungere un accordo con i palestinesi.

Non è un'esagerazione affermare che questo non sarà un governo del Likud e di altre forze di destra ma invece un governo di Casa Ebraica con un primo ministro del Likud. Bennett infatti è destinato a diventare ministro dell’istruzione, quindi in grado di promuovere il suo punto di vista religioso e nazionalista nelle scuole. Uri Ariel, alfiere della costruzione degli insediamenti nel governo precedente, sarà ministro dell’agricoltura, dove può prendere il controllo della Divisione per gli Insediamenti, un’agenzia governativa che finanzia le colonie. Un altro rappresentante del partito diventerà vice ministro della difesa con la supervisione dell’Amministrazione Civile (in realtà retta da militari) che “amministra” i palestinesi che vivono nella “Zona C”, ossia il 60% della Cisgiordania.

La ministra della giustizia e deputata di Casa Ebraica
Ayelet Shaked (foto di Yoel Meltzer)

Senza dimenticare che il braccio destro di Bennett, Ayelet Shaked, nota per dichiarazioni violente contro i palestinesi – l’anno scorso ha pubblicato sul suo profilo Facebook un testo di un estremista di destra che definisce i bambini palestinesi “piccoli serpenti” ed è accusata di aver fatto dichiarazioni a sostegno del genocidio della gente di Gaza (lei però nega) – diventerà ministro della Giustizia pur senza avere alcuna competenza in questo settore. In passato Shaked ha apertamente criticato il sistema giudiziario del paese che considera troppo “liberal”. Ora sarà in grado di influenzare la nomina dei giudici e di spingere in avanti progetti di legge che mirano a colpire tutto ciò che considera “progressista”.

Nachman Shai, un parlamentare dell’opposizione, ha commentato che dando a Shaked il Ministero della Giustizia è come “nominare un piromane a capo del vigili del fuoco.”

Intanto, pur tra ambiguità e contraddizioni, cresce, almeno in Europa, il malessere per le politiche di Netanyahu. Ieri importanti esponenti europei membri dello “European Eminent Person Group” –   che include fra gli altri due ex ministri degli esteri francesi, Hubert Vedrine e Roland Dumas, gli ex primi ministri francese Michel Rocard e irlandese John Bruton, e lo spagnolo Javier Solana, un ex segretario generale della Nato – hanno inviato una lettera all’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, attesa la prossima settimana in Israele e Territori occupati, in cui si dicono delusi per i risultati conseguiti dalla mediazione Usa ed invocano un approccio più deciso da parte dell’Ue nel conflitto israelo-palestinese. Netanyahu, scrivono, «ha poca intenzione di negoziare seriamente la soluzione dei Due Stati nel contesto del governo che sta costituendo». «L’Europa – si legge nella lettera – non ha ancora trovato un modo efficace per rendere Israele responsabile del modo in cui mantiene l’occupazione. È tempo di dimostrare seriamente alle due parti quanto l’opinione pubblica europea consideri le violazioni della legge internazionale, la perpetuazione di atrocità e la negazione di diritti acquisiti». «Nascondersi dietro la leadership americana» è allo stesso tempo «poco produttivo e poco edificante», concludono i firmatari, secondo i quali anche crisi «apparentemente più urgenti» come quelle in Siria, Yemen, Iraq e Libia possono essere «una scusa», dato che «il contesto della Palestina è di 47 anni di occupazione militare».

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