Dichiarazioni e smentite segnano questa giornata di caos e violenza in Burundi, dove i
militari hanno dichiarato di avere deposto con un colpo di Stato il
presidente Pierre Nkurunziza, in visita in Tanzania, che su Twitter non
nega il golpe, ma dice che è fallito. Stamattina, la polizia aveva aperto il fuoco sui manifestanti accorsi in centinaia nel centro della capitale Bujumbura.
Ad annunciare il golpe è stato il generale Godefroid
Niyombareh, ma non è chiaro di quanto sostegno goda il comitato di
salvezza nazionale che ha citato, di cui fanno parte cinque ufficiali
delle Forze armate. In un comunicato riportato dalla Bbc si legge:
“Le masse hanno deciso di prendere nelle proprie mani il destino della
nazione per rimediare alla situazione di incostituzionalità in cui è
sprofondato il Burundi”. Sempre secondo la Bbc,
i militari hanno circondato la sede tv pubblica e per le strade della
capitale le proteste si sono trasformate in festeggiamenti.
Il rischio di un colpo di mano era nell’aria da settimane, da
quando il presidente ha cercato di imporre la sua terza candidatura
alla guida del Paese nelle prossime elezioni del 26 giugno, nonostante
il limite massimo sia di due mandati, scatenando un’ondata di proteste.
Le manifestazioni sono sfociate in scontri con le forze dell’ordine, in
cui hanno perso la vita almeno venti persone; arresti, una stretta del
governo sui media, in particolare sulle radio indipendenti che sono
state chiuse.
La tensione è arrivata alle stelle la settimana scorsa con la controversa pronuncia della Corte Costituzionale, che ha dato il via libera alla ricandidatura di Nkurunziza.
Una decisione su cui si addensano le ombre di minacce ed estorsioni a
danno dei giudici, alcuni dei quali sono fuggiti all’estero e hanno
denunciato pressioni da parte dell’entourage del presidente.
Il clima si fa sempre più teso in Burundi, quando sono trascorsi
dieci anni dalla fine del conflitto etnico che ha devastato il Paese. Questa
è probabilmente la crisi politica più acuta da un decennio e cresce il
timore che inneschi di nuovo l’odio etnico che ha devastato la nazione
negli anni Novanta. In 50mila hanno lasciato il Paese per andare in Rwanda.
Oggi, in Tanzania, i capi di Stato dell’Africa orientale si sono riuniti per cercare di risolvere la crisi.
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