Il vergognoso ricatto, cui sono sottoposti oggi gli insegnanti precari, si può comprendere alla luce della celebre affermazione di Marx sulla condizione alienata del lavoratore: “ne viene quindi come conseguenza che l’’uomo (l’operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare e tutt’al più ancora l’abitare una casa e il vestirsi, e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane. Ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale”. In verità, a mille e trecento euro di stipendio, per un padre o per una madre che devono spostarsi dalla Sicilia o dalla Sardegna, anche solo “l’abitare una casa”(in molti casi diventerebbe, per ragioni oggettive, una seconda casa) sarebbe problematico.
Il modo di presentare questi insegnanti, che lo stato è costretto ad assumere a causa della sentenza della Corte europea del novembre 2014 dopo averli sfruttati per decenni, è ben rappresentato dalla trasmissione “Agorà” del giorno 19/08/2015, nella quale un celebre giornalista dell’Unità apostrofa l’insegnante precaria Marcella Raiola, autrice di una scomoda lettera a Repubblica in cui la stessa insiste sul trasferimento forzato degli insegnanti da una regione all’altra, con un “Vattene a lavorare”.
Quel “Vattene a lavorare” restituisce, con tracotanza, la condizione di alienazione del lavoratore odierno. Il lavoro perde la sua natura di vero e proprio diritto, cessa di essere espressione dell’essenza umana e si rovescia in un coartante dovere assoluto: con un gigantesco passo del gambero siamo tornati indietro di oltre due secoli, se pensiamo che già la Costituzione francese del 1793, pietra miliare del pensiero democratico e radicale, sanciva invece il “diritto al lavoro”.
La funzione mistificatrice della narrazione mainstream che enfatizza, con toni miracolistici, la portata dell’assunzione dei precari, è utile all’occultamento delle vere questioni che non riguardano esclusivamente il mondo della scuola. Flessibilità, bassi salari, demansionamento, sono tutti strumenti funzionali al capitale, per piegare tutti i lavoratori, renderli facilmente sostituibili e duttili a fronte di qualsiasi esigenza del profitto.
Grave sarebbe oggi separare la condizione di vita e di lavoro dei precari della scuola da tutte le altre forme di sfruttamento del lavoro: il modello Marchionne per l’industria, il modello Ikea per la grande distribuzione, lo sfruttamento aberrante nel campo della logistica o il sistema vessatorio-punitivo adottato nei confronti dei precari, rappresentano le molteplici facce opache di un prisma che si chiama mercato.
In fondo la “Buona scuola”, con la sua matrice aziendalistica, verticistica e autoritaria, rappresenta il laboratorio nel quale vengono sperimentati, prodotti e replicati, i meccanismi di potere e di sfruttamento. È proprio in questo sistema di potere che il docente finisce con l’essere strumento asservito, consapevolmente o meno, a logiche che penalizzano l’esercizio del libero pensiero e della libertà d’insegnamento, con ovvie ricadute sugli studenti e sul modello di società futura.
La parcellizzazione delle lotte ci porta oggi, come l’esperienza dimostra, di sconfitta in sconfitta. Più che un auspicio, l’unione delle lotte di tutti i lavoratori si afferma oggi, prepotentemente, come necessità.
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