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16/02/2016

Ancora sul caso Regeni

Sembra che ormai siamo al nocciolo della vicenda che è costata la vita al povero Giulio Regeni: l’Egitto inizia ad ammettere (per ora ufficiosamente) che egli è stato preso da un qualche corpo di polizia che lo avrebbe torturato per i suoi contatti con l’opposizione (si parla anche dei Fratelli Musulmani) e sarebbe morto più o meno casualmente. Dunque, ci stiamo avviando alla soluzione del caso? Neanche per sogno: questa versione non quadra affatto.

Il punto da cui dobbiamo partire è questo: in un paese dove 300 persone sono scomparse nel nulla, nonostante i parenti li cerchino, se trovi il cadavere torturato di qualcuno che è stato nelle mani della polizia, è perché te lo hanno voluto far trovare e non per caso. E, se il posto del ritrovamento è a due passi da una sede della polizia politica, la stessa cui una compagnia italiana ha venduto i programmi per le intercettazioni, non è perché non sapevano dove altro metterlo.

Per cui le spiegazioni possono essere solo due:

a- la cosa ha valore di “avvertimento” ad altri che vogliano mettere troppo il naso nelle vicende interne egiziane e la cosa parte dal governo;

b- chi ha fatto trovare il cadavere voleva l’incidente diplomatico con l’Italia e non è affatto un sostenitore del governo, ma un suo avversario.

Prima ipotesi, quella dell’avvertimento: può darsi, ma perché far trovare il cadavere in perfetta coincidenza con la missione economica del ministro Guidi che doveva concludere importanti affari (fra cui perfezionare gli accordi con l’Eni per lo sfruttamento del nuovo giacimento gasifero) e che, invece, è saltata? Né convincono le reazioni imbarazzate, la figuraccia da guinnes dei primati che si appresta a fare il ministro dell’interno che aveva dichiarato solennemente che mai Regeni era stato custodito in un posto di polizia ed adesso non si sa come potrebbe uscirne. Tutte cose che fanno pensare a toppe messe all’improvviso, senza idea di come affrontare la situazione. Se si fosse trattato di un messaggio deciso dal governo, sarebbe stata preparata anche la regia del dopo che, invece è mancata.

Prima di esaminare l’altra ipotesi, temiamo presente che le attuali ammissioni ufficiose emergono solo dopo che, nella settimana scorsa sono venute fuori queste notizie:

- l’11 gennaio, quando avrebbe partecipato ad una riunione semiclandestina dei sindacati, Giulio sarebbe già stato attenzionato dalla polizia.

- Tre giorni prima della sua scomparsa, una persona qualificatasi come appartenente alla polizia avrebbe visitato la sua casa in sua assenza come attesta un coinquilino di Regeni.

- Già a poche ore della sua scomparsa l’ambasciata italiana al Cairo e la locale stazione del servizio erano in moto per ricercarlo, perché un amico che aveva appuntamento con Giulio, non vedendolo arrivare, aveva telefonato all’Ambasciata già in serata; quel che smentisce il ministro dell’Interno egiziano che aveva sostenuto di essere stato informato del caso il 28, tre giorni dopo.

- Una aderente ad un movimento per i diritti umani ha denunciato che uno degli investigatori che indagano sul caso sarebbe già stato condannato ad 1 anno di reclusione per aver torturato a morte un detenuto.

- Un ragazzo ha testimoniato dicendo di aver visto prelevare quella sera Regeni da tre uomini (probabili agenti di polizia in borghese) mentre era in metropolitana.

- Dall’esame del cellulare, che ne rivela la posizione, è emerso che Giulio non è mai uscito dal centro del Cairo e, quindi, era probabilmente detenuto in un locale nel centro della città.

Anche questa dovizia di testimoni e di prove in un paese dove la polizia fa il bello ed il cattivo tempo, fa alzare il sopracciglio. Ma veniamo all’ipotesi due, un servizio segreto o un organo di polizia che hanno agito senza ordini del governo e contro di esso.

Ciò può essere accaduto per una faida fra servizi, di cui parla il teste amico di Regeni, tutt’altro che infrequente in Egitto (ma anche noi in Italia ne sappiamo qualcosa). Il ritrovamento presso un ufficio di polizia, la facilità con cui stanno emergendo testimoni e prove lo fanno sospettare. E’ difficile immaginare, però, che l’obiettivo possa essere solo un altro servizio, magari sottovalutando la reazione del governo messo nei guai da questa storia. E qui l’idea di una infiltrazione (dei Fratelli Musulmani, dell’Isis, di quatarioti o sauditi) cade bene, ma anche l’idea che possa essere il segnale di uno scontro interno al regime, rivolto proprio contro Al Sisi non è tanto infondata. In ogni caso, sembra che la situazione del regime sia molto meno solida di quel che appare.

A farne le spese, così orribilmente, è stato un ragazzo di 28 anni che si vuol far passare per sospetta spia ma che quel che ha fatto lo ha fatto solo per amore della libertà.

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