16/02/2016
Fascismo, guerra di sterminio, foibe. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica
Come militanti antifascisti dell’ANPI riteniamo fondamentale condividere questo materiale e queste informazioni sul tema “giorno del ricordo” in vista di un più ampio dibattito sul neofascismo, la propaganda nazionalista e il revisionismo politico della storia: quanto segue vuole essere uno spunto utile e costruttivo per le nostre discussioni.
I nazifascisti non sono e non saranno mai né vittime, né martiri
Il 10 febbraio 1947 venne firmato il Trattato di pace di Parigi tra gli Alleati vincitori della Seconda Guerra Mondiale e i Paesi sconfitti alleati del Terzo Reich tedesco, tra cui l’Italia, che doveva pagare le colpe del fascismo di Mussolini, coautore della guerra totale e razzista che aveva provocato 55 milioni di morti, generando oppressione, miseria, fame, terrore, distruzione a fianco dei nazisti per 3 su 6 anni di guerra.
Da ormai diversi anni nel nostro Paese, invece, la data del 10 febbraio è celebrata come il “giorno del ricordo” delle “vittime delle foibe” e dell’esodo, stabilendo così un’artificiosa e scorretta relazione di causa-effetto tra i due fenomeni. Inoltre, dal testo della legge che istituisce questa “solennità” civile (Legge n°92 del 30 marzo 2004), emerge chiaramente la volontà, oggi sancita con legge dello Stato, di riabilitare e celebrare come martiri alcune centinaia di nazifascisti della RSI o alle dirette dipendenze del Terzo Reich, giustiziati dai partigiani jugoslavi e i cui corpi vennero gettati nelle cavità carsiche definite “foibe”, pratica già in uso nei decenni precedenti e non riconducibile ad alcun genocidio anti-italiano propagandato dai revisionisti politici della storia.
Con la Legge 92/04, la Repubblica riconosce ufficialmente anche – soprattutto – fascisti e collaboratori dei nazisti, militari e civili, inclusi diversi criminali di guerra. Infatti le forze reazionarie e neofasciste hanno tentato di inserire il “giorno del ricordo”, quale giornata dell’orgoglio fascista, in un più ampio progetto di equiparazione dei morti nazifascisti ai Caduti della Guerra di Liberazione 1943-1945, quella Resistenza che conquistò in Italia la libertà, la Costituzione, la democrazia.
La propaganda viene portata avanti al grido di “sono tutti morti italiani”: in realtà i nazifascisti non sono e non saranno mai né vittime né martiri e noi antifascisti ci rifiutiamo di onorarli.
In sintesi, la Repubblica italiana ha ufficialmente riconosciuto i fascisti uccisi dai partigiani jugoslavi come propri martiri, cioè in quanto italiani morti per difendere i confini della Patria dagli occupanti stranieri, riconoscendo di conseguenza, in primo luogo, quale legittima l’Italia che essi hanno servito in vita, cioè la RSI, vale a dire lo stato satellite del Terzo Reich che deportava ebrei, slavi e antifascisti nei campi di sterminio; e definendo in secondo luogo gli Alleati delle potenze antifasciste come nemici e occupanti, quindi descrivendo i Partigiani e tutti gli antifascisti quali collaborazionisti degli occupanti e quindi traditori della Patria, rovesciando i ruoli e riscrivendo la storia in senso nazional-fascista e riconosciuta come tale a livello ufficiale.
Insomma, la realizzazione concreta di un vecchio sogno fascista: “l’Italia ricorderà i nostri camerati morti come eroi e li ricoprirà d’onore, parlandone alle nuove generazioni affinché sia ricordata la loro storia e il loro sacrificio per la Patria”.
Sia alle celebrazioni istituzionali del 10 febbraio e sia nei servizi televisivi vengono citati sempre e solo le foibe e l’esodo e vengono recitati i numeri falsi della propaganda, garantita dalla Legge 92, che tra l’altro sancisce un rapporto di causa effetto tra i due fenomeni, per cui la “versione ufficiale” della storia che si racconta nelle case e nelle scuole della Repubblica diventa questa: “in seguito ai massacri delle foibe, la terribile pulizia etnica con cui i barbari partigiani slavocomunisti di Tito hanno ucciso migliaia e migliaia di italiani in quanto tali, gettandoli spesso ancora vivi negli abissi del carso, oltre 350.000 italiani sono stati costretti a lasciare Istria, Fiume e Dalmazia, terre da sempre italiane, e da allora sono in esilio”.
Il ruolo e la posizione dei militanti antifascisti dell’ANPI
Ci opponiamo fermamente alla semplificazione e alla strumentalizzazione della storia, manipolata appositamente per supportare precise esigenze irredentiste e portare avanti progetti politici intrisi di nostalgia fascista e nazionalista. Per noi antifascisti è fondamentale considerare per quale progetto di società hanno operato in vita e per quali ideali si sono sacrificati i morti di quegli anni. Riteniamo che sia scorretto, offensivo, democraticamente e politicamente inaccettabile considerare alla stessa stregua chi morì per la libertà e i diritti e chi invece morì cercando di difendere la dittatura fascista e completare il progetto di società razzista fondata sulla violenza, sullo sfruttamento dei lavoratori, sullo sterminio di massa delle “razze inferiori” e degli oppositori.
Sentiamo la necessità di chiarire che cosa è successo in questi anni di propaganda e di ribadire che il riconoscimento ufficiale dei nazifascisti da parte della Repubblica va respinto con determinazione e in modo organizzato mediante iniziative culturali – in particolar modo verso i giovani e le scuole – volte a far conoscere la storia, rifiutando la vulgata politica neofascista calata dall’alto tramite il “giorno del ricordo”, oggi divenuta “verità” ufficiale di Stato sancita per legge.
Ci proponiamo di raccontare, attraverso documenti e testimonianze (tra questi il video “Fascist Legacy” della BBC, la Relazione della Commissione storica mista italo-slovena del 1993-2000, pubblicata a cura dell’ANPI di Gorizia, che analizza i rapporti tra i due paesi tra il 1880 e il 1956, i documenti pubblicati su Patria Indipendente tra il 2005 e il 2014), come si sono realmente svolte le vicende storiche dall’inizio del fascismo, in particolare quelle riguardanti il confine orientale e la Jugoslavia, con il progetto di genocidio delle popolazioni jugoslave da parte dei fascisti italiani.
Crimini fascisti e pulizia etnica in Jugoslavia
A partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale fino al 1943, nei territori annessi e in tutta la Jugoslavia occupata, l’esercito italiano e le milizie fasciste compirono violenti massacri, attuando una vera e propria bonifica etnica delle popolazioni jugoslave, distruggendo interi villaggi e sterminando la popolazione civile, dando luogo a innumerevoli stragi, oggi dimenticate e sepolte sotto l’oscuro e pericoloso manto auto-assolutorio degli “italiani brava gente”.
Con il Trattato di Rapallo del 1920, circa 500.000 sloveni e croati entrarono a far parte del Regno d’Italia e divennero “italiani”, ma già il 13 luglio 1920 gli squadristi italiani incendiarono il Narodni Dom, la casa del popolo sloveno quale simbolo della cultura e della comunità slovena.
La politica di distruzione dell’identità slovena e croata è stata praticata dallo Stato italiano (prima liberale e poi fascista) negli anni ’20 e ’30 mediante l’italianizzazione forzata dei cognomi (circa 500.000), dei nomi personali e dei toponimi, il divieto di parlare sloveno e croato, la chiusura di tutti i giornali (31), la soppressione dei circoli culturali, dei soggetti di rappresentanza politica e sociale, delle scuole (circa 400 con 840 classi e 52.000 studenti), l’espropriazione dei beni e delle terre consegnate agli italiani che, sullo stesso modello coloniale applicato in Africa, sostituivano la popolazione slovena e croata che era fuggita all’estero tra le due guerre mondiali (un esodo dimenticato di oltre 100.000 persone). Inoltre, la repressione del Tribunale Speciale contro ogni tentativo di ribellione fu particolarmente violenta contro la comunità slovena e croata: 131 processi su 978 riguardavano sloveni e croati, 544 imputati su 5.600 erano sloveni e croati, 33 condanne a morte su 42 erano state emanate contro sloveni e croati.
Il 6 aprile 1941 l’Italia aggredisce militarmente la Jugoslavia con centinaia di migliaia di soldati e truppe d’invasione senza alcuna dichiarazione di guerra. Tra il 1941 e il 1943 i fascisti italiani si distinsero per la crudeltà di stampo terroristico e razzista antijugoslavo, soprattutto verso la popolazione civile: incendi, torture, impiccagioni, stragi e massacri, deportazioni, fucilazioni, stupri, oltre 350.000 morti. La circolare 3C del generale Mario Roatta (1° marzo 1942) fissava le regole con le quali le autorità militari italiane dovevano condurre l’occupazione in Jugoslavia, del tutto simili alle direttive naziste applicate all’Italia occupata: uccidere i Partigiani presi prigionieri sul campo, incendiare le loro case, individuare in ogni paese ostaggi da fucilare per rappresaglia in caso di attacchi partigiani, svuotare i villaggi della popolazione deportando nei campi di concentramento tutti gli abitanti di quelle zone che sostenevano la Resistenza antifascista.
Ricordiamo, infatti, il crimine italiano dimenticato dei campi di concentramento fascisti in Italia e Jugoslavia, nei quali furono deportate oltre 100.00 persone tra partigiani e civili jugoslavi, inclusi molti bambini: i più famosi Kampor sull’isola di Rab, Gonars, Visco, Chiesanuova, Cairo Montenotte, Renicci di Anghiari, Colfiorito, Monigo di Treviso, Fraschette di Alatri, Fossalon di Grado, nei quali perirono migliaia di persone tra fucilazioni, violenze, fame e malattie.
Dall’autunno 1943, il territorio corrispondente alle allora province di Udine, Gorizia, Fiume, Pola e Lubiana era stato definito Zona di Operazione Litorale Adriatico e posto sotto diretta amministrazione nazista: i militari e le forze dell’ordine italiane furono quindi impiegate, su ordine tedesco, in azioni antipartigiane, rastrellamenti, torture, deportazioni e massacri di civili e partigiani su tutto il territorio del Litorale Adriatico.
Ricordiamo che tra il 1943 e il 1945 ben 53 convogli di deportati politici su 80 (cioè due su tre) e diretti ai campi di sterminio nazisti di Dachau, Mauthausen e Buchenwald, partirono proprio da Trieste, Pola e Monfalcone per un totale di oltre 10.000 deportati: l’antifascismo e la Resistenza si erano sviluppate molto nel fertile suolo delle rivendicazioni nazionali delle comunità slovena e croata proprio perché intendevano riconquistare le libertà perdute e quindi porre fine alla violenta oppressione razzista italiana che il regime fascista faceva coincidere con lo Stato italiano.
Il fascismo di Mussolini ha anche accolto, negli anni ’30, gli ustascia, i fascisti croati comandati da Ante Pavelic, addestrando le sue truppe in appositi campi militari in Italia e armando lo “Stato Indipendente di Croazia”, di cui era sovrano Aimone di Savoia. Pavelic e gli ustascia attuarono massacri particolarmente cruenti, un genocidio su vasta scala di cui è corresponsabile il fascismo italiano: oltre 700.000 persone (tra cui ebrei, rom, serbi e dissidenti politici) sono state eliminate nei campi di sterminio ustascia, il più famoso Jasenovac.
Partigiani italiani e Partigiani jugoslavi: fratellanza antifascista
Sentiamo il dovere di ricordare le formazioni partigiane composte da italiani che hanno combattuto in Jugoslavia al fianco delle brigate partigiane dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo guidato dal Maresciallo Tito, per cacciare i nazifascisti di Mussolini, Hitler e Pavelic dai Balcani (in particolare le Divisioni “Garibaldi” e “Italia”), unitamente alle brigate e i battaglioni composti da jugoslavi che dopo la liberazione dei campi di concentramento fascisti si sono uniti ai partigiani italiani, simbolo della fratellanza antifascista e dell’internazionalismo della Resistenza, contro i collaborazionisti fascisti di ogni nazionalità. Una decina di Partigiani jugoslavi riposano nel Campo della Gloria del Cimitero Monumentale di Torino: i loro nomi sono Bukvic Savo, Dabanovic Velizar, Dolovac Visica, Gregors Frano, Ksizninoc Sergije, Mencak Adolf, Radunoc Djuro, VisijanovicIlija Davide, Aleksic Miodrag. A questi uomini va il nostro pensiero e la nostra gratitudine per essersi sacrificati per la nostra libertà e aver scritto alcune delle pagine migliori della nostra storia.
Foibe
Dalle foibe sono state recuperate 217 salme nell’autunno-inverno 1943-1944 dai vigili del fuoco alle dirette dipendenze dei nazisti e altre 464 nel periodo 1945-1948 su direttiva alleata, cioè parliamo di circa 650-700 corpi effettivamente recuperati dalle voragini carsiche.
I cadaveri rinvenuti (e riconosciuti) appartenevano a italiani, tedeschi e jugoslavi: la maggior parte appartenevano a militari italiani perché italiani erano stati i soldati, fascisti, i prefetti, i picchiatori, i torturatori, i miliziani, le spie, gli invasori.
Non si tratta di un fenomeno, ma di più fenomeni che vengono artificiosamente mischiati insieme per giustificare tesi nazionaliste, irredentiste e neofasciste:
– le foibe del 1943, definite “istriane”, formate principalmente da atti di giustizia sommaria antifascista, rivolte contadine e di classe contro i padroni italiani che avevano espropriato le terre ai contadini “slavi di razza inferiore” e omicidi commessi da criminali comuni, ma anche nazifascisti che nell’autunno 1943 hanno compiuto stragi e massacri occultando i cadaveri delle vittime, persone che hanno semplicemente gettato cadaveri nelle fosse per evitare il dilagare di epidemie e casi simili;
– le foibe del 1945, definite “triestine”, che ebbero carattere di “resa dei conti” contro il fascismo che aveva fatto coincidere l’oppressione e la repressione con lo Stato Italiano, di rivalsa nei confronti degli invasori italiani e di rivendicazione nazionale di quei territori nella nuova Jugoslavia a guida comunista.
La notizia che qualcuno sia stato gettato nelle foibe ancora vivo o che qualcuno si sia salvato dopo essere stato gettato vivo in una foiba è una leggenda che non ha riscontri reali ne documentali, come falsa è la sempre dichiarata impunità dei presunti “infoibatori”: dopo il 1945 ci sono stati una cinquantina di processi con relative condanne emesse dalle stesse autorità jugoslave e alleate.
Con il tempo è stato poi modificato il significato della parola “infoibati” in modo scorretto e strumentale, estendendo tale definizione a “tutti gli italiani che vennero soppressi dai partigiani jugoslavi in quegli anni su quei territori”. Ma tra il 1943 e il 1945 in Italia c’è stata sia la Resistenza antifascista, politicamente guidata dal CLNAI e militarmente guidata dal CVL, sia la riorganizzazione del fascismo con la Repubblica Sociale Italiana, fondata in Germania e guidata dai gerarchi fascisti in continuità dell’alleanza guerrafondaia e razzista con il Terzo Reich tedesco, che continuava a sterminare ebrei e antifascisti nei forni crematori in tutta Europa.
Durante i giorni della Liberazione e dei circa 40 giorni dell’amministrazione jugoslava di Trieste furono arrestate circa 17.000 persone, la maggior parte delle quali rilasciate entro pochi giorni dopo essere state interrogate, le altre – a seconda delle responsabilità individuate dai tribunali jugoslavi – trattenute e rilasciate in seguito, fucilate o trasferite nei campi per prigionieri di guerra in Jugoslavia, le cui condizioni erano terribili a causa di lavoro forzato, fame e malattie. Il numero dei morti e degli scomparsi – cioè dei mai tornati di cui non è mai stata accertata la morte – è di alcune migliaia, ma non è riconducibile ad alcun progetto di genocidio anti-italiano, cioè di sterminio etnico sistematico di tutti gli italiani in quanto tali. Altrimenti sarebbero stati eliminati anche le decine di migliaia di partigiani italiani delle Divisioni Italia e Garibaldi che fecero la Resistenza in Jugoslavia e che rientrarono in Italia vittoriose, anche con medaglia al merito rilasciate dalle autorità jugoslave.
"Esodo"
Il fenomeno noto come “esodo istriano, giuliano, dalmata”, invece, va contestualizzato nell’ampio panorama europeo delle migrazioni postbelliche che interessò circa 15 milioni di persone e va considerato nell’ampio lasso di tempo che va dal 1947 al 1956, a vari scaglioni. Numericamente ha interessato circa 240.000 persone, di cui 40.000 circa erano arrivate con il fascismo negli anni ’20 e altri 20.000 croati con lingua d’uso italiana.
Questi fenomeni vanno approfonditi e studiati nella loro complessità: è assurdo e scorretto darne una visione semplificata e superficiale, perché irrimediabilmente si corre il rischio di stravolgere la storia, piegandola alle esigenze politiche del momento e dandone in questo modo una visione parziale priva di obiettività.
Le cifre di “20.000 italiani assassinati e più di 6.000 sicuramente infoibati”, come i “350.000 profughi che hanno dovuto abbandonare le loro case e la loro terra natale per scappare ai massacri e alle persecuzioni del regime jugoslavo di Tito” appartengono alla propaganda neoirredentista e nazionalista fin dagli anni ’50, oggi costituiscono verità di Stato stabilita per Legge.
Glorificazione dei nazifascisti: il caso Udovisi
Un piccolo esempio per comprendere il tenore della propaganda neofascista di questi anni è rappresentato dal caso Udovisi.
La RAI nel 2005 ha premiato con un oscar “uomo dell’anno” Graziano Udovisi, un anziano signore, qualificandolo come “combattente italiano unico sopravvissuto alle foibe”.
Graziano Udovisi è stato un combattente volontario nella Milizia Difesa Territoriale (Landshutz Miliz) della Zona di Operazione Litorale Adriatico (territorio corrispondente alle allora province di Udine, Gorizia, Fiume, Pola e Lubiana), il corpo militare equivalente della Guardia Nazionale Repubblicana della RSI ma sottoposto alle dirette dipendenze del Terzo Reich.
Graziano Udovisi, già comandante del presidio di Portole, ha militato con il grado di tenente nel 2° reggimento MDT “Istria”, sotto il comando di Luigi Papo, nucleo mobile “Mazza di Ferro”, formazione che tra il 1943 e il 1945 seminò il terrore compiendo stragi di antifascisti e rastrellando partigiani per tutta l’Istria.
La sua storia del “sopravvissuto a una foiba” è stata analizzata, confrontata e smontata in ogni particolare in due pubblicazioni da Pol Vice (Scampati o no, La foiba dei miracoli, collana ResistenzaStorica della KappaVu Edizioni) che ha scavato negli archivi di Trieste scoprendo addirittura che Udovisi era stato arrestato nell’agosto 1945, processato e condannato “per avere, dopo l’8.09.43 a Pola ed in altre località dell’Istria, collaborato col tedesco invasore, favorendone i disegni politici” (fonte: sentenza della Corte d’assise straordinaria di Trieste del 30/09/46).
Alcuni storici hanno addirittura ripreso e pubblicato la storia di Graziano Udovisi, prendendola per buona e quindi accreditandola come autentica, intervistandolo e riportando le interviste nei propri libri e in televisione: da nazifascista rastrellatore di partigiani, assassino e torturatore a tenero anziano star della tv e testimone acclamato nelle scuole.
Perché Graziano Udovisi, grazie alle interviste mandate in onda sulle reti televisive di Stato, ha anche girato diverse scuole in qualità di testimone per raccontare la propria esperienza, legittimato dal giorno del ricordo sancito dalla Legge 92/04, nel frattempo approvata a stragrande maggioranza dal parlamento della Repubblica.
Questa vergogna fondata sulla manipolazione e la mistificazione, che rappresenta un violento attacco alla storia e alla democrazia del nostro Paese, non avrebbe mai avuto risonanza mediatica se diversi storici accreditati come seri e autorevoli non l’avessero legittimata, riabilitando di fatto un nazifascista – e con lui, tutti gli altri – e trasformandolo in una “vittima dell’odio slavocomunista solo perché italiano”, parlando di Udovisi come di un “combattente italiano” e di “pulizia etnica subìta dagli italiani in quanto tali da parte dei crudeli assassini partigiani jugoslavi”, che è la tesi della propaganda fascista di carattere nazionalista degli anni ’40 e ’50.
Non confondiamo carnefici e vittime: la guerra è guerra, ma c’è sempre chi aggredisce e chi viene aggredito, e i Partigiani hanno dovuto organizzarsi e difendersi di fronte allo sterminio totale, non si possono mettere sullo stesso piano i nazifascisti e i popoli invasi e oppressi che si sono ribellati ai nazifascisti, l’ANPI si opporrà sempre fermamente a tale visione distorta della storia che vuole criminalizzare chi ha scelto la Resistenza.
Neofascisti in corteo a Torino: un’offesa alla resistenza e alla città
Su questo Casapound, Forza Nuova, Blocco Studentesco, Azione Studentesca, Fiamma Tricolore, La Destra, Fratelli d’Italia e fascisti annessi hanno le idee chiare: loro sanno chi erano questi “italiani” e infatti li ricordano come martiri, i loro interlocutori istituzionali hanno anche elaborato una legge apposita, spostando il tema dalla discriminante politico-civile che è l’antifascismo internazionalista della Resistenza partigiana alla discriminante nazionale e quindi nazionalista ed etnica, strumentalizzando e mischiando indistintamente anche omicidi e stragi perpetrati da criminali comuni o dagli stessi fascisti, regolamenti di conti personali e post-bellici, uccisioni di cui non è giusto né corretto incolpare l’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, armata partigiana riconosciuta ufficialmente come esercito nazionale della Jugoslavia, quindi di uno Stato Alleato e liberatore, vincitore – a differenza dell’Italia – della Seconda Guerra Mondiale.
Da diversi anni alcune organizzazioni neofasciste e neonaziste organizzano a Torino sfilate e iniziative per ricordare, in occasione del 10 febbraio, tutte le “vittime delle foibe”, celebrando i nazifascisti come eroi e “martiri difensori dell’italianità dei confini”, riprendendo la propaganda fascista e nazionalista del 1943-1945 portata avanti in particolare dai servizi della Decima Mas: questo reca una profonda e violenta offesa sia agli oltre 17.000 Caduti istriani, tra vittime della repressione nazifascista, morti nei campi di sterminio e Partigiani caduti nella Resistenza armata, sia alla città di Torino, Medaglia d’Oro per la Resistenza, che ha ospitato la comunità istriana sul proprio territorio dopo l’esodo. Un generoso contributo, quello istriano, alla causa antifascista che non può essere confuso con chi ha sostenuto e animato il nazifascismo, sterminando nei forni crematori della Risiera di San Sabba e di Auschwitz gli oppositori politici, i partigiani degli eserciti di liberazione e le “razze” ritenute inferiori.
Riteniamo inoltre profondamente scorretto e irrispettoso strumentalizzare per fini politici ed elettorali il dolore dei circa 250.000 esuli istriani, il cui trasferimento avvenne a più riprese nel corso di oltre 15 anni come conseguenza in primo luogo della guerra provocata dai nazifascisti, fenomeno che va correttamente contestualizzato nel più ampio panorama europeo in cui vi furono migrazioni postbelliche che coinvolsero circa 15 milioni di persone.
Nella memoria l’esempio, nella lotta la pratica ora e sempre Resistenza!
Il Comitato di Sezione ANPI “68 Martiri” di Grugliasco dedica questo documento al compagno Bruno Radich, Partigiano della 17° Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cima”, 3° Divisione Garibaldi “Amedeo Tonani”, grugliaschese di origini istriane, nato a Pola il 10/12/1921, nome di battaglia “Aereo”, Caduto in combattimento al Col del Lys il 2/07/44, generoso sacrificio per la libertà di tutti i popoli contro i nazifascisti, nemici dell’Umanità e della Patria.
Fonte
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