di Chiara Cruciati
Lo Stato Islamico non
agisce a caso. Segue una sua precisa strategia che sui simbolismi fonda
la sua propaganda. Il massacro di ieri, a Damasco, ne è la
dimostrazione: tre attentati, uno dopo l’altro, hanno colpito a
pochissima distanza dal mausoleo di Sayyida Zeinab, sito religioso
sciita meta di pellegrinaggio da tutto il Medio Oriente; qui è sepolta
la nipote del profeta Maometto e figlia del quarto califfo. Tanto
importante da essere da tempo target del terrorismo di matrice
islamista: un anno fa due kamikaze uccisero 4 persone, a gennaio di
quest’anno è stato al-Nusra a colpire un autobus di pellegrini libanesi
che stava raggiungendo il mausoleo, uccidendo nove.
Questa mattina, secondo l’Afp, il numero dei morti è salito a
71, oltre 100 i feriti. Gli attacchi, ieri mattina, sono stati tre.
Ancora più odiosi perché, dopo l’esplosione di un’ autobomba, i due
attentatori suicidi si sono fatti saltare in aria mentre accorrevano i
soccorsi. Una strage. I palazzi intorno sono stati seriamente
danneggiati, così come le automobili, un enorme cratere a terra indica
il punto della prima esplosione.
Poco dopo è giunta la rivendicazione dello Stato Islamico: “Due
soldati del califfato hanno portato a termine operazioni di martirio
nella tana degli infedeli”, si legge nel comunicato comparso online.
Non è un caso nemmeno che la strage sia avvenuta mentre a Ginevra si apriva, a metà, il negoziato di pace.
Lo Stato Islamico ha ricordato a tutti di esserci, di occupare un terzo
del paese e di poter raggiungere qualsiasi città per compiere massacri.
Un elemento non da poco, perché in Svizzera l’Isis non c’è: non c’è,
ovviamente, al tavolo del dialogo ma non c’è nemmeno nelle intenzioni
dei team di negoziatori e di alcuni degli sponsor.
L’Isis è la giustificazione all’intervento militare, è il nemico da
sradicare, ma scompare dai discorsi politici quando si deve lavorare
alla pacificazione del paese. Difficile immaginare una sconfitta del
“califfato” senza un accordo interno, senza il promesso governo di
transizione. Ma Ginevra pare lontanissima dall’obiettivo, una conferenza
di pace dove il negoziato viene dipinto come il risultato e non il mezzo: un dialogo fine a se stesso, che però non va a definire il futuro del paese.
Basta guardare alle delegazioni delle due parti. Chiuse in stanze
diverse, incontrano l’inviato Onu de Mistura da soli, faccia a faccia.
Poi de Mistura fa la spola. Ma manca ancora consenso sulle
precondizioni poste dalle opposizioni riunite sotto l’Hnc (Alto Comitato
per i Negoziati), federazione nata a dicembre sotto l’ala saudita. Sono
finalmente arrivate in Svizzera, sabato notte, dopo giorni di
tentennamenti e minacce di boicottaggio. Ora tornano a chiedere quello
che chiedevano prima: la fine dei raid russi e degli assedi
governativi delle città controllate dai miliziani armati di opposizione.
I negoziatori sono stati chiari: “Siamo venuti a Ginevra solo per avere
rassicurazioni – ha detto uno di loro Basma Kodmani – Non si possono
iniziare i negoziati senza gesti di buon volontà”.
De Mistura ha promesso di lavorarci e, ancora ieri, si diceva “ottimista”. Ma a mancare è una base comune: sono
tante le città assediate in Siria e sono assediate da tutti gli attori
della guerra civile. Lo sono dall’Isis, lo sono dal governo e da
Hezbollah, ma lo sono anche dalle milizie di opposizione, bracci armati
di quei gruppi che ora siedono a Ginevra. Tra loro Jaish
al-Islam, gruppo salafita e ultraconservatore che è membro dell’Hnc (che
sta per sbarcare a Ginevra per prendere parte al dialogo), come lo è
Ahrar al-Sham, altra formazione islamista, entrambi finanziati e
sostenuti dal Golfo.
Il governo di Damasco non ha intenzione di discutere con soggetti che
considera gruppi terroristi, ma qui il problema è a monte. La loro
presenza tra le fila delle opposizioni rende nella pratica impossibile
prospettare un futuro di pacificazione per la Siria. Che tipo di
paese immaginano le opposizioni dell’Hnc, se il loro spettro corre dai
laici della Coalizione Nazionale ai salafiti di Jaish al-Islam, dai
comunisti e socialisti del National Coordination Body agli islamisti di
Ahrar al-Sham, fino ai Fratelli Musulmani e alla loro visione economica
neoliberista?
Da parte sua il governo di Damasco accendeva ulteriormente le
tensioni accusando le opposizioni di boicottare il dialogo: “Chi parla
di precondizioni è arrivato a questo meeting per farlo deragliare –
ha detto il capo negoziatore, nonché ambasciatore siriano all’Onu,
al-Jaafari – Le opposizioni che non si presentano mostrano che non sono
serie né responsabili”.
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