Oggi le parole del generale Rabe Abubakar risuonano come una tetra
premonizione: sabato il portavoce della Difesa nigeriana, avvertiva
delle nuove tattiche messe in atto da Boko Haram nel paese, attentati
suicidi nel nord portati avanti da donne che si confondono tra
la gente.
“Al Dipartimento della Difesa è stato reso noto che Boko
Haram ha ora adottato un nuovo metodo: si vestono come pazzi per
accedere a aree pubbliche per detonare bombe. Due kamikaze
uomini, vestiti come donne con problemi mentali, hanno portato a termine
un attacco suicida a Gombi. Cinque persone sono morte e molte altre
ferite”.
Poche ore dopo arrivava l’ennesima strage: sabato sera 86
persone sono state massacrate da miliziani di Boko Haram nel villaggio
di Dalori, vicino alla città di Maiduguri (dove il gruppo islamista è
nato e si è sviluppato), nel nord della Nigeria. A raccontare
la carneficina è stato uno dei sopravvissuti, Alamin Bukura, che ha
parlato al telefono con l’Ap. Si era arrampicato su un albero per
scampare ai terroristi: da lì ha sentito la gente gridare, tra loro
tanti bambini, mentre i miliziani lanciavano dentro le case ordigni
incendiari. Quattro ore di attacco, un tempo infinito: bambini e adulti sono morti bruciati, arsi vivi.
Poi, gli attentati suicidi: donne, come avvertiva il Dipartimento della
Difesa. Tre kamikaze donne si sono fatte saltare in aria nel villaggio
vicino, la comunità di Gamori.
Sul terreno restano 86 morti e decine di feriti, molti dei quali con
ustioni gravissime. Nessuno è riuscito a fermarli e i miliziani di Boko
Haram, arrivati a bordo di moto e auto per portare la morte a Dalori,
sono fuggiti dopo la carneficina e dopo aver tentato di colpire anche un
vicino campo profughi, dove vivono 25mila persone. L’obiettivo è
una città, Maiduguri, in cui vivono 2.6 milioni di persone, la metà dei
quali profughi di guerra e che Boko Haram attacca per riprenderne il
controllo: cacciati tre anni fa, portano morte per
destabilizzare la città e le comunità circostante, il nord est della
Nigeria, da cui l’esercito è riuscito a farli uscire negli ultimi anni.
Di certo a destabilizzare un paese in aperto conflitto, da sei anni, con gli islamisti è anche la crisi economica: con
un deficit di 11 miliardi di dollari, oggi la Nigeria va a caccia di
prestiti di emergenza per coprire il gap ampliato dal crollo del prezzo
del petrolio. Il ministro delle Finanze, Kemi Adeosun, ha fatto
sapere di aver chiesto a Banca Mondiale e Banca Africana di Sviluppo
3.5 miliardi di dollari. Denaro necessario a sostenere i progetti
infrastrutturali avviati per ridare spinta all’economia interna, la più
ampia di tutto il continente che vive per l’80% sulle royalty per le
estrazioni.
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