di Michele Paris
Lo scontro interno al Partito Conservatore in Gran Bretagna attorno
al referendum sull’uscita del paese dall’Unione Europea si è aggravato
in questi giorni a seguito delle polemiche che hanno accompagnato la
proposta per il prossimo bilancio statale presentata dal Cancelliere
dello Scacchiere, George Osborne. Sui nuovi tagli alla spesa sociale
previsti nei prossimi anni si è scatenata una guerra aperta che è
confluita in quella già in atto sulla cosiddetta “Brexit” e ha costretto
il primo ministro, David Cameron, a intervenire personalmente per
limitare il danno politico sofferto dal suo governo.
La decisione
di Osborne di tagliare i fondi destinati al sostegno delle persone con
disabilità per altri 4,4 miliardi di sterline ha fornito l’occasione al
ministro per il Lavoro e le Pensioni, Iain Duncan Smith, per dare le
proprie dimissioni dall’esecutivo. L’uscita di scena di quest’ultimo,
aperto sostenitore dell’abbandono dell’UE, è stata pianificata per
nuocere il più possibile alla leadership Conservatrice e, allo stesso
tempo, per favorire il coagulo degli anti-europeisti britannici attorno a
una campagna populista e anti-elitaria, peraltro del tutto retorica, in
grado di attrarre il maggior numero di elettori in vista del voto di
giugno.
Duncan Smith ha così accusato Cameron e Osborne di avere
abbandonato la promessa di governare non soltanto per i ricchi,
tradizionale base di sostegno dei “Tories”, denunciando come
“profondamente ingiusti” i tagli e mettendo in guardia dal pericolo di
“dividere invece che unire la società” britannica.
Secondo molti
osservatori, la strategia di Duncan Smith, degli altri cinque ministri
del governo Cameron e del centinaio di parlamentari Conservatori che
appoggiano l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea sarebbe
quella di forzare un cambio alla guida del partito dopo il referendum,
se non addirittura provocare una scissione, così da mettere da parte non
solo il primo ministro ma anche il suo successore designato, vale a
dire lo stesso Osborne.
Quest’ultimo ha poi peggiorato la
situazione dopo che lunedì non si è presentato alla Camera dei Comuni
per dare chiarimenti sulla proposta di bilancio in seguito all’annuncio
della cancellazione dei tagli ai fondi per la disabilità. Per il Tesoro è
rimasto il vice di Osborne a fronteggiare l’aula, anche se il
Cancelliere ha fatto alla fine la sua apparizione nella giornata di
martedì.
Cameron ha dovuto così difendere il suo protetto,
assicurando nel contempo che il governo non intende abbandonare la linea
della “compassione”. Il successore di Duncan Smith, da parte sua, ha
inoltre escluso altri tagli al welfare, almeno per il momento, mentre lo
stato di agitazione interno al partito sembra avere convinto il Tesoro
anche a rimandare di alcuni mesi la decisione sulle misure da adottare
per chiudere il buco di bilancio provocato dal reintegro dei fondi a
favore dei disabili.
Questa
marcia indietro, se nulla ha fatto per far tornare sui suoi passi
Duncan Smith o per alleviare il danno provocato dalle sue dimissioni, ha
invece messo seriamente nei guai Osborne, quanto meno agli occhi dei
sostenitori dell’austerity a oltranza. Le modifiche al “budget”
aggraveranno infatti il già previsto sforamento del tetto di spesa per
il welfare e, allo stesso tempo, potrebbero mettere a rischio anche
l’obiettivo di annullare il deficit di bilancio entro il 2020, data in
cui si terranno le prossime elezioni.
Gli scrupoli di Duncan
Smith e degli altri Conservatori che hanno criticato il Cancelliere per i
tagli troppo pesanti alla spesa pubblica sono comunque tutt’altro che
sinceri. Il ministro dimissionario, ad esempio, come ha lasciato
intendere Cameron lunedì, è stato uno dei principali artefici del
processo di smantellamento del welfare britannico in questi anni,
assieme proprio a Osborne. Gli stessi aiuti ai disabili sono già stati
privati di oltre 28 miliardi di sterline negli ultimi cinque anni.
Come
già anticipato, gli attacchi al governo sui tagli da parte dei
Conservatori favorevoli alla “Brexit” servono perciò più che altro a
facilitare la creazione di una sorta di piattaforma attorno alla quale
possano convergere la destra populista – anche estrema, come il Partito
per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP) – e la “sinistra”, visto che
anche tra i Laburisti vi è una minoranza considerevole che chiede di
votare per l’addio a Bruxelles.
Esemplari in questo senso sono
state le dichiarazioni di questi giorni di svariati politici britannici,
tra cui il leader dell’UKIP, Nigel Farage, o l’ex ministro Conservatore
nei governi Thatcher e Major, Peter Lilley, i quali hanno
sostanzialmente definito assurdi i tagli agli aiuti e ai servizi
pubblici destinati ai poveri del Regno Unito mentre Londra continua a
contribuire al finanziamento dell’Unione Europea.
Cameron,
d’altra parte, ha egli stesso favorito involontariamente l’esplosione
delle tensioni nel suo partito con la decisione, presa a causa delle
crescenti pressioni interne, di consentire ai membri Conservatori del
Parlamento e, addirittura, ai suoi ministri anti-europeisti di fare
campagna elettorale a favore della “Brexit”.
A
sua volta, la spaccatura nel Partito Conservatore su quest’ultima
questione è il riflesso della crisi economica globale e delle divisioni
tra le classi dirigenti domestiche circa le modalità più efficaci per
proteggere i loro interessi. In definitiva, europeisti e anti-europeisti
basano le proprie posizioni non sui vantaggi che possono derivare per
la popolazione, bensì per le aziende e gli istituti finanziari a seconda
dell’importanza attribuita da essi ai legami più o meno stretti con il
mercato europeo.
Che i fautori della “Brexit” possano presentarsi
come i difensori delle classi più disagiate e dello stato sociale in
fase di smantellamento è dovuto poi alla natura stessa dell’UE, resa
ancor più evidente dalla presenza nel campo degli europeisti di leader
politici come Cameron e Osborne.
L’Unione Europea e il suo
apparato burocratico, cioè, in questi anni di crisi sono apparsi agli
occhi di centinaia di milioni di persone come nient’altro che lo
strumento dei mercati finanziari e dei grandi interessi economici per
implementare, a fronte della fortissima resistenza popolare, misure
senza precedenti di devastazione sociale e impoverimento di massa in
tutti i paesi membri.
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