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23/03/2016

GB: Cameron tra “Brexit” e tagli

di Michele Paris

Lo scontro interno al Partito Conservatore in Gran Bretagna attorno al referendum sull’uscita del paese dall’Unione Europea si è aggravato in questi giorni a seguito delle polemiche che hanno accompagnato la proposta per il prossimo bilancio statale presentata dal Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne. Sui nuovi tagli alla spesa sociale previsti nei prossimi anni si è scatenata una guerra aperta che è confluita in quella già in atto sulla cosiddetta “Brexit” e ha costretto il primo ministro, David Cameron, a intervenire personalmente per limitare il danno politico sofferto dal suo governo.

La decisione di Osborne di tagliare i fondi destinati al sostegno delle persone con disabilità per altri 4,4 miliardi di sterline ha fornito l’occasione al ministro per il Lavoro e le Pensioni, Iain Duncan Smith, per dare le proprie dimissioni dall’esecutivo. L’uscita di scena di quest’ultimo, aperto sostenitore dell’abbandono dell’UE, è stata pianificata per nuocere il più possibile alla leadership Conservatrice e, allo stesso tempo, per favorire il coagulo degli anti-europeisti britannici attorno a una campagna populista e anti-elitaria, peraltro del tutto retorica, in grado di attrarre il maggior numero di elettori in vista del voto di giugno.

Duncan Smith ha così accusato Cameron e Osborne di avere abbandonato la promessa di governare non soltanto per i ricchi, tradizionale base di sostegno dei “Tories”, denunciando come “profondamente ingiusti” i tagli e mettendo in guardia dal pericolo di “dividere invece che unire la società” britannica.

Secondo molti osservatori, la strategia di Duncan Smith, degli altri cinque ministri del governo Cameron e del centinaio di parlamentari Conservatori che appoggiano l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea sarebbe quella di forzare un cambio alla guida del partito dopo il referendum, se non addirittura provocare una scissione, così da mettere da parte non solo il primo ministro ma anche il suo successore designato, vale a dire lo stesso Osborne.

Quest’ultimo ha poi peggiorato la situazione dopo che lunedì non si è presentato alla Camera dei Comuni per dare chiarimenti sulla proposta di bilancio in seguito all’annuncio della cancellazione dei tagli ai fondi per la disabilità. Per il Tesoro è rimasto il vice di Osborne a fronteggiare l’aula, anche se il Cancelliere ha fatto alla fine la sua apparizione nella giornata di martedì.

Cameron ha dovuto così difendere il suo protetto, assicurando nel contempo che il governo non intende abbandonare la linea della “compassione”. Il successore di Duncan Smith, da parte sua, ha inoltre escluso altri tagli al welfare, almeno per il momento, mentre lo stato di agitazione interno al partito sembra avere convinto il Tesoro anche a rimandare di alcuni mesi la decisione sulle misure da adottare per chiudere il buco di bilancio provocato dal reintegro dei fondi a favore dei disabili.

Questa marcia indietro, se nulla ha fatto per far tornare sui suoi passi Duncan Smith o per alleviare il danno provocato dalle sue dimissioni, ha invece messo seriamente nei guai Osborne, quanto meno agli occhi dei sostenitori dell’austerity a oltranza. Le modifiche al “budget” aggraveranno infatti il già previsto sforamento del tetto di spesa per il welfare e, allo stesso tempo, potrebbero mettere a rischio anche l’obiettivo di annullare il deficit di bilancio entro il 2020, data in cui si terranno le prossime elezioni.

Gli scrupoli di Duncan Smith e degli altri Conservatori che hanno criticato il Cancelliere per i tagli troppo pesanti alla spesa pubblica sono comunque tutt’altro che sinceri. Il ministro dimissionario, ad esempio, come ha lasciato intendere Cameron lunedì, è stato uno dei principali artefici del processo di smantellamento del welfare britannico in questi anni, assieme proprio a Osborne. Gli stessi aiuti ai disabili sono già stati privati di oltre 28 miliardi di sterline negli ultimi cinque anni.

Come già anticipato, gli attacchi al governo sui tagli da parte dei Conservatori favorevoli alla “Brexit” servono perciò più che altro a facilitare la creazione di una sorta di piattaforma attorno alla quale possano convergere la destra populista – anche estrema, come il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP) – e la “sinistra”, visto che anche tra i Laburisti vi è una minoranza considerevole che chiede di votare per l’addio a Bruxelles.

Esemplari in questo senso sono state le dichiarazioni di questi giorni di svariati politici britannici, tra cui il leader dell’UKIP, Nigel Farage, o l’ex ministro Conservatore nei governi Thatcher e Major, Peter Lilley, i quali hanno sostanzialmente definito assurdi i tagli agli aiuti e ai servizi pubblici destinati ai poveri del Regno Unito mentre Londra continua a contribuire al finanziamento dell’Unione Europea.

Cameron, d’altra parte, ha egli stesso favorito involontariamente l’esplosione delle tensioni nel suo partito con la decisione, presa a causa delle crescenti pressioni interne, di consentire ai membri Conservatori del Parlamento e, addirittura, ai suoi ministri anti-europeisti di fare campagna elettorale a favore della “Brexit”.

A sua volta, la spaccatura nel Partito Conservatore su quest’ultima questione è il riflesso della crisi economica globale e delle divisioni tra le classi dirigenti domestiche circa le modalità più efficaci per proteggere i loro interessi. In definitiva, europeisti e anti-europeisti basano le proprie posizioni non sui vantaggi che possono derivare per la popolazione, bensì per le aziende e gli istituti finanziari a seconda dell’importanza attribuita da essi ai legami più o meno stretti con il mercato europeo.

Che i fautori della “Brexit” possano presentarsi come i difensori delle classi più disagiate e dello stato sociale in fase di smantellamento è dovuto poi alla natura stessa dell’UE, resa ancor più evidente dalla presenza nel campo degli europeisti di leader politici come Cameron e Osborne.

L’Unione Europea e il suo apparato burocratico, cioè, in questi anni di crisi sono apparsi agli occhi di centinaia di milioni di persone come nient’altro che lo strumento dei mercati finanziari e dei grandi interessi economici per implementare, a fronte della fortissima resistenza popolare, misure senza precedenti di devastazione sociale e impoverimento di massa in tutti i paesi membri.

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