Nessuno pensa di speculare sulle lacrime. Quando di mezzo c’è la morte i cuori si straziano come le vite di cui ascoltano o vedono la tragica fine. Oltre l’emozione dettata dall’orrore di scoprire corpi maciullati da esplosioni terroristiche, nei singhiozzi non trattenuti dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea – l’italiana Federica Mogherini – c’è la sensibilità femminile e il desiderio di non scivolare nel cinismo. O, peggio, nella rassegnazione di chi enuncia la difesa del genere umano contro la cieca barbarie, ma sa di non avere strumenti per disinnescare un meccanismo perverso. Però di lei, come di altri rappresentanti altissimi per gradi, incarichi, responsabilità che del mondo trattano relazioni internazionali, colpisce la discrasia fra i drammi propri e quelli altrui. Lacrimosi i primi, ordinari o dimenticati gli altri. Quello che ci rinfacciavano gli abitanti di Bourj al-Barajneh, cintura meridionale di Beirut, dopo l’attentato subìto il 12 novembre scorso (41 morti, oltre 200 feriti) per mano di kamikaze dell’Isis. Se ne parlò, relativamente, solo perché il giorno seguente a Parigi altri miliziani del Daesh diedero vita alla mattanza nei luoghi di ritrovo e svago della jeunesse d’Europe. Morti di serie A e B, dunque.
E non parliamo dei dannati assoluti: quelli che la casta militare, tanto vicina alla politica e al curriculum della stessa Mogherini (membro del German Marshall Fund for the United States) definisce “danni colaterali”. Il buon cuore occidentale lo nega, però lo pratica, come pratica la via della non soluzione delle tante, troppe contraddizioni che fanno da cassa di risonanza alla propaganda del fanatismo islamico. Sappiamo quali sono. Molte risultano antiche e reiterate: sfruttamento coloniale e imperialista perpetuati per interessi economici, strategici, applicando la forza dell’intervento militare diretto o quello mascherato da “polizia internazionale”, cercando alleanze di comodo, promuovendo governi fantoccio. Insomma la sequela della viscida politica di chi spaccia per democrazia interessi di parte, di lobby, di casta. E’ una realtà che i burocrati di Bruxelles conoscono e difendono, e gli attuali dolenti rappresentanti per scelta volontaria, connivenza, impotenza non riescono a indirizzare verso strade differenti. Quelle che non soffocano i fratelli greci, accolgono i popoli vicini e lontani tormentati da un nemico comune, lo Stato Islamico, foraggiato da partner filoccidentali e armato dalle stesse industrie che versano capitali nelle banche d’Europa.
Nel resoconto riportato dall’odierno intervento dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera Ue, ospitato su La Repubblica si leggono le parole di una sua collega, Kristalina Georgieva: ”Più che spaventata la gente che lavora nelle Istituzioni è smarrita. Nessuno di loro, quando è venuto a lavorare per l’Europa, pensava che si sarebbe trovato in prima linea. Nessuno era preparato a questa tensione, a quest’odio. Avverto nella gente una grande tristezza”. Il sogno di un’Europa pacifica, tollerante, magari un po’ noiosa ma protettiva e solidale, chiosa Mogherini. Fra gli aggettivi menzionati l’unico che possiamo condividere è noioso. Gli altri rappresentano utopie, tutt’altro che vicine da conseguire, visto quel che l’Ue ha infilato negli ultimi mesi sul fronte dei rifugiati. Tollerante? Protettiva? Solidale? Chiedetelo alle migliaia di corpi ammassati a Idomeni. Pacifica? Certo, grazie alle decine di “missioni di pace” (Afghanistan, Iraq, Libia) sparse per il mondo sotto la direzione di Pentagono e Casa Bianca. Ci chiediamo se le lacrime versate dall’europeo, sia esso politico, burocrate o semplice cittadino, scaturiscano solo dall’odore del proprio sangue. Oppure provengano dalla tardiva constatazione d’una realtà che stride coi “valori” di quell’Occidente che incentiva le incongruenze su cui chiudiamo occhi e orecchie. Mentre l’odierno terrore, targato Isis, lì recluta la manovalanza che ci uccide.
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