Le aspettative sulla manifestazione che oggi ha attraversato le strade di Roma era alta, ma il risultato è andato decisamente oltre le aspettative. Migliaia e migliaia di persone (chi dice diecimila chi ventimila) sono scese in piazza rispondendo all’appello “Roma non si vende”. Una manifestazione preparata e discussa in numerose assemblee settimanali che l’hanno fatta crescere nella consapevolezza comune di una parte significativa della città. I diktat contenuti nel DUP (Documento Unico di Programmazione) del commissario Tronca insediato alla guida di Roma dopo la dissoluzione della giunta Marino, rappresentano una sentenza di morte sociale e civile della città. Chiusura e sgombero degli spazi sociali e associativi non in grado di pagare gli arretrati e i fitti “di mercato” chiesti dai dirigenti comunali; sfratti e sgomberi nelle case popolari e delle occupazioni abitative; privatizzazioni dei servizi pubblici dagli asili nido all’Atac. Il tutto per far pareggiare i conti del bilancio, “valorizzare” il patrimonio e le risorse comunali e pagare il debito. Insomma una sorta di piccola Grecia da abbattere su un’area metropolitana già impoverita dalla recessione e resa sempre più disuguale nella distribuzione della ricchezza, inclusa quella prodotta dal turismo che non distribuisce niente e regala tutto ai soggetti privati.
Migliaia e migliaia di persone, una marea umana di ragazzi, lavoratori e gente dei quartieri popolari della periferia che alla fine del corteo ha riempito simultaneamente sia Piazza del Campidoglio che via dei Fori Imperiali mettendo a dura prova la militarizzazione imposta con la presenza massiccia di centinaia di agenti in tenuta antisommossa. “Se verrete a sgomberarci ci troverete pronti a difenderci” si grida dal camion d’apertura; “Se verrete a privatizzare i servizi faremo resistenza”. Una giungla di cartelli Roma non si vende fanno da coreografia al corteo che riempie sempre di più le strade fino al Campidoglio. Ci sono gli striscioni a difesa dell’acqua pubblica, quelli che ricordano il referendum del 17 aprile contro la prosecuzione delle trivellazioni, l’ex ospedale Forlanini, associazioni storiche come La Casa della Pace e il Grande Cocomero. Ci sono anche gli attivisti No War che ricordano i cinque anni dall’aggressione alla Libia e di cui oggi ricorre l’anniversario.
Arriva poi lo spezzone della Carovana delle Periferie con un camion su cui sono state allestite le sagome giganti di Jeeg Robot, il supereroe che da cartoon giapponese è diventato invece simbolo del riscatto delle periferie con un film che sta sbancando ai botteghini. Nel corteo si prendono accordi per una iniziativa con il regista e gli attori proprio a Tor Bella Monaca, il quartiere periferico in cui è ambientato il film. E poi centinaia di bandiere dell'Usb e dell’Asia protagonista della resistenza contro gli sfratti e a difesa delle case popolari in decine di quartieri della periferia romana. Ci sono gli striscioni dei lavoratori e di Ross@ contro le privatizzazioni. In fondo lo spezzone del BPM e del Coordinamento di lotta per la casa. Seguono le bandiere delle rappresentanze del PRC e del PCdI. Assente Sel, qualcuno avvista Fassina e qualcun altro lo va a cercare per farlo allontanare dal corteo ed evitare strumentalizzazioni elettorali.
Arrivati a Piazza Madonna di Loreto con le strade davanti e laterali bloccate da decine di blindati e centinaia di poliziotti, si sale in massa sulla Piazza del Campidoglio ma via dei Fori Imperiali è ancora gremita di gente. Parte una stupida provocazione della polizia che fa avanzare inutilmente due blindati tra la folla. Sale la tensione, poi i due blindati per fortuna arretrano. Intanto sulla Piazza del Campidoglio gremita di gente si alternano gli interventi. Da tutti un messaggio chiaro e forte al prefetto/commissario Tronca e ai vecchi e nuovi poteri forti che vogliono mangiarsi Roma, anche dopo Mafia Capitale: faremo resistenza ovunque, tutti insieme e siamo tanti.
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