Sul fronte diplomatico, la settimana scorsa si è chiusa con un sostanziale nulla di fatto per quanto riguarda i colloqui a Ginevra. “Non abbiamo registrato alcun progresso negli ultimi cinque giorni” ha fatto sapere una fonte del governo siriano che sta portando avanti dei colloqui, seppur indiretti, con alcune delle cosiddette forze dell’opposizione sponsorizzate da Ue, Stati Uniti, Turchia e petromonarchie. Damasco ha fatto appello all’inviato speciale dell’Onu, Staffan de Mistura, affinché avanzi proposte dettagliate sulle modalità della cosiddetta transizione politica. Un altro appello, invece, era arrivato alcuni giorni prima dal governo della Russia che aveva accusato per l’ennesima volta il regime turco di espansionismo per le sue mire più che esplicite sulla Siria e aveva chiesto ai partecipanti ai colloqui di Ginevra di includere i curdi nei negoziati in corso al fine di evitare una divisione del paese e l’esclusione di una parte importante della popolazione, che ha dato un contributo rilevante alla lotta contro il terrorismo jihadista. “La Turchia, chiedendo che le posizioni dei curdi non vengano rafforzate in Siria, rivendica il suo diritto sovrano di creare una specie di ‘zone di sicurezza’ sul territorio siriano”, ha dichiarato in un’intervista sul canale televisivo Ren-TV il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che poi ha aggiunto: “Secondo le nostre informazioni (i turchi) stanno fortificando le loro posizioni ad alcune centinaia di metri dalla frontiera all’interno della Siria”.
Ed è proprio dalla componente curda che nei giorni scorsi è arrivata la novità più rilevante dalla Siria. A metà della scorsa settimana infatti le più importanti organizzazioni della comunità curda siriana – insieme ad altre comunità del nord del paese coinvolte in un processo di autogoverno che dura ormai da qualche tempo – hanno annunciato la costituzione di una regione federale nelle zone del paese controllate sul fronte militare dalle Ypg, le Unità di Protezione Popolari, e quello politico dal Pyd, il Partito di Unità Democratica, gemellato con il Pkk che opera invece nel versante turco del Kurdistan.
Al termine di una conferenza realizzata a Remeilan, città vicina al confine con l’Iraq nel nord-est della provincia di Hasaka, più di 150 delegati, soprattutto curdi ma anche arabi, assiri e in rappresentanza di comunità minori, hanno annunciato la creazione di un “sistema federale” nell’area del Rojava (i territori curdi occidentali, cioè quelli che rientrano sotto amministrazione siriana) che riunisca i tre cantoni di Jazire, Afrin e Kobane, all’interno di uno stato che si vorrebbe anch’esso di tipo federale.
Di fatto una formalizzazione ufficiale di una condizione di autogoverno venutasi a creare nelle zone al confine con la Turchia da alcuni anni, da quando cioè il sostanziale ritiro delle forze governative siriane dal nord del paese (per far fronte all’insorgenza jihadista in altre aree) e l’organizzazione capillare della resistenza delle Ypg e del sistema politico basato sul con “federalismo democratico” hanno dato vita ad una zona liberata che negli ultimi mesi si è allargata man mano che le milizie curde e arabe locali strappavano territori ad al Nusra, a Daesh e ad altri gruppi fondamentalisti sunniti, in una manovra a tenaglia concordata con le forze leali al governo di Damasco e grazie alla copertura aerea statunitense e poi anche russa.
La proclamazione della zona autonoma, anche se all’interno di una Siria i cui confini non vengono messi in discussione, ha naturalmente generato una presa di posizione da parte di molti degli attori della guerra civile diventata immediatamente, cinque anni fa, specchio di uno scontro tra potenze sempre più manifesto. E questo nonostante che l’ufficializzazione dell’autonomia della zona che si autogoverna da anni – denominata “Sistema democratico federale di Rojava-Siria del nord” – sia stata accompagnata da un comunicato nel quale l’entità regionale si dice pronta a proseguire la guerra contro l’Isis in collaborazione sia con la coalizione statunitense sia con le forze governative siriane.
Praticamente tutte le reazioni alla mossa del Pyd sono critiche, a volte anche dure. Ma l’analisi della situazione e dei rapporti di forza reali impone di andare oltre il tono e la formalità delle dichiarazioni ufficiali dei vari governi e dei vari soggetti coinvolti.
A partire da quelle del governo siriano che pur definendo quella curda “una mossa incostituzionale e senza valore” sa bene che la concessione di una autonomia sostanziale alle comunità del nord allo stato è da considerarsi il male minore se si vogliono tenere insieme due fronti – quello curdo e quello governativo – che potrebbero altrimenti immediatamente diventare antagonisti accentuando la frantumazione del paese. Da anni ormai, da quando il Pyd si è sfilato dal fronte delle opposizioni siriane etero-dirette dall’occidente, dalla Turchia e dalle petromonarchie che non riconoscevano ai curdi né la loro specificità nazionale né diritti di autogoverno in un eventuale scenario post Assad, il Rojava ha coperto il fronte nord contro l’avanzata jihadista, nel contesto di un tacito patto di non aggressione tra milizie popolari curde ed esercito governativo che negli ultimi mesi si è evoluto in un vero e proprio accordo. Per Damasco e i suoi alleati il nemico principale restano i jihadisti riuniti sotto varie sigle, che occupano ancora un terzo del paese nonostante la controffensiva lealista, per non parlare del fatto che non sembra affatto scampato il pericolo di una invasione turca – sostenuta dai sauditi – che anzi potrebbe tornare di attualità proprio in reazione alla proclamazione dell’autonomia del Rojava.
Ufficialmente Washington, già prima dell’annuncio da parte della conferenza di Remeilan, aveva preso le distanze dai curdi, parlando di una “decisione che non può essere presa unilateralmente” e di sostegno all’integrità territoriale della Siria.
Ma Damasco teme due conseguenze non certo irrilevanti dell’istituzionalizzazione del Rojava. Intanto che il legame tra amministrazione statunitense e curdi siriani si rafforzi, trasformando le Ypg in uno strumento della politica estera Usa e delle sue mire egemoniche in Siria, naufragate dopo che i cosiddetti ribelli ‘moderati’ si sono squagliati o sono addirittura passati armi e soldi a Daesh o ad al Qaeda. Che siano strumentali o meno (come sostengono alcune realtà antimperialiste del Medio Oriente che criticano aspramente il Pyd per la collaborazione con Washington) i rapporti diplomatici e militari tra il Rojava e l’amministrazione Obama sono consistenti e duraturi.
Inoltre, anche se i curdi siriani e i loro alleati affermano di non perseguire la separazione dallo stato unitario siriano e di voler contribuire anzi alla costruzione di una confederazione di entità territoriali basate sull’autogoverno, la democrazia di base e la convivenza di tutte le comunità etniche e religiose, Damasco teme che la stabilizzazione dell’entità curda nel nord rafforzi le spinte di chi insiste per cristallizzare una divisione del paese su basi etnico-religiose omogenee e settarie. Una soluzione difesa a Ginevra da vari governi che, di fronte all’impossibilità di prendersi tutta la Siria ora che l’intervento russo ha eliminato la possibilità di una sconfitta militare di Damasco, potrebbero accontentarsi del controllo di alcune delle entità autonome in cui si dividerebbe una ‘Siria federale’, in realtà balcanizzata in funzione degli interessi delle varie potenze in conflitto.
Una soluzione che, come extrema ratio, potrebbe star bene anche a Mosca, che infatti in questa fase sostiene tanto il governo siriano quanto i curdi del Rojava. Non va considerato un caso il fatto che in contemporanea con la proclamazione dell’autogoverno del Rojava, la scorsa settimana, alcuni esponenti politici e militari curdo-siriani abbiano diffuso dichiarazioni in cui si parla di un “un investimento sulla posizione della Russia circa la possibilità di trasformare la Siria in una Repubblica Federale” e di “una sorta di pressione per essere coinvolti nei colloqui di Ginevra” come parte che ha diritto ad avere voce in capitolo. “Non ci aspettiamo certo un vasto sostegno internazionale e tanto meno regionale” ha detto ad alcune agenzie di stampa un esponente del PYD coperto dall’anonimato, il quale ha ricordato che la Russia, per bocca del suo vice ministro degli Esteri Sergey Ryabkov, il 29 febbraio scorso aveva “parlato della possibilità di trasformare la Siria in uno Stato federale, anche se non ha ancora espresso una posizione esplicita di sostegno ai nostri progetti”. Ma il gioco russo potrebbe infastidire assai i suoi alleati nella regione, in particolare l’Iran che non tratta certo l’insorgenza curda nel suo territorio con i guanti bianchi. “Abbiamo informato tutti i nostri amici e vicini e anche i russi che la sovranità dei Paesi della regione è un principio al quale teniamo, sia in Iraq che in Siria” ha fatto sapere da Teheran il presidente Rohani nei giorni scorsi, ma è ovvio che anche gli iraniani potrebbero accettare una federalizzazione della Siria pur di non perdere tutto il paese.
Appare invece più che totale il no turco alla stabilizzazione del Rojava come entità autonoma. Ankara sta conducendo una spietata e brutale campagna militare contro i movimenti popolari curdi all’interno dei suoi confini, ha facilitato in ogni modo l’opera dell’Isis, di al Nusra e di altre sigle jihadiste sia per rovesciare il governo di Damasco sia per attaccare e indebolire le organizzazioni curde siriane, insiste con Washington e la Nato per avere il permesso di invadere il paese e istituire una ‘zona cuscinetto’. Mentre le artiglierie e i carri armati turchi bersagliano le postazioni delle Ypg soprattutto a nord di Aleppo, Ankara ha fomentato la creazione di alcune milizie composte da turcomanni in alcuni casi ma anche da centinaia di curdi rinnegati (la brigata denominata “Nipoti di Saladino” e integrata nell’Esercito Siriano Libero), con l’obiettivo di contrastare l’espansione a sud-est del Rojava e verso la frontiera turco-siriana. Il tutto con l’attiva collaborazione del governo curdo del Nord dell’Iraq che continua, nonostante la minaccia jihadista, a rimanere uno strenuo avversario delle correnti progressiste curde operanti in Siria e Turchia e un solido alleato di Ankara. Se proprio deve nascere una qualche specie di stato curdo, è l’opinione del regime turco, che sia quello dei fidati Barzani e Talabani piuttosto che un Rojava che potrebbe scatenare un effetto domino in quel Kurdistan dove le truppe di Ankara continuano a bombardare, indisturbate, città e villaggi.
Di seguito il testo integrale della dichiarazione di Remeilan.
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All’opinione pubblica regionale e globale e all’opinione pubblica della Siria
Facendo seguito all’appello rilasciato dal Coordinamento Generale delle Aree Democratiche Auto- Amministrate (Al Jazira, Kobane e Afrin) tutte le forze politiche, i partiti e le organizzazioni sociali in queste regioni e nelle regioni liberate dalla presenza delle organizzazioni terroristiche (El Chahba) hanno tenuto un incontro con l’obiettivo di ottenere una prospettiva politica globale per la risoluzione della crisi siriana.
Noi, rappresentanti di queste regioni, ci siamo incontrati dal 16 al 17 Marzo 2016. Commemoriamo con immenso rispetto e stima i martiri dei nostri popoli, che stanno scrivendo con il loro sangue e i loro sacrifici la più grande eroica resistenza della storia. Loro hanno portato il nostro popolo alla tappa fondamentale in cui ci troviamo oggi.
Questo incontro ha portato alle seguenti decisioni:
- La futura Siria sarà per tutti i popoli Siriani. Sarà raggiunta l ́istituzione di un Sistema Democratico Federale basato sulla partecipazione di tutti i componenti della società.
- Lavorare per implementare un Sistema Democratico Federale per il Rojava.
- E’ stata eletta la co-presidenza del Consiglio Costituente ed e’ stato fondato il Comitato Organizzativo di 31 membri.
- Il Comitato Organizzativo preparerà nei prossimi sei mesi un contratto sociale e svilupperà un articolato e complessivo quadro politico e legislativo per il Sistema.
- Tutti i comitati e i documenti emersi dal Consiglio riconoscono la dichiarazione universale dei diritti individuali e collettivi delle Nazioni Unite, che assicurerà la costruzione di un Sistema Democratico Sociale. I partecipanti a questo incontro sottolineano inoltre l’importanza del rapporto con la Siria e vedono questo nuovo Sistema come parte di essa.
- Il sistema federale è basato sulla libertà delle donne. Le donne hanno il diritto ad una paritaria partecipazione ed hanno pieno potere decisionale e relativa responsabilità con riferimento a tutte le questioni femminili. Le donne saranno rappresentate in maniera egualitaria in tutte le sfere della vita, inclusi tutti gli aspetti sociali e politici.
- I popoli e le comunità vivendo nel Sistema Federale in Rojava possono sviluppare le proprie relazioni democratiche politiche, economiche, sociali, religiose e culturali con tutti coloro che ritengono adeguati, a livello regionale ed internazionale, avendo cura che queste relazioni non interferiscano con gli obiettivi e gli interessi del Sistema Democratico Federale Siriano.
- Tutte le regioni liberate dalla presenza delle organizzazioni terroristiche hanno il diritto di partecipare nel Sistema Democratico Federale del Rojava.
- L’obiettivo del Sistema Democratico Federale del Rojava a livello regionale sarà l’istituzione di una federazione democratica in Medio Oriente e lo sviluppo dei principi democratici di tutte le istanze politiche, economiche e culturali. Se andiamo oltre i confini nazionali degli Stati sarà possibile vivere in pace, amicizia e sicurezza.
- L’istituzione di un Sistema Democratico Federale garantirà l’unità dei territori Siriani.
Oggi, viviamo in un momento storico nel quale la Siria è sottoposta a vivere in fragili condizioni.
Milioni di persone sono state sfollate, centinaia di migliaia sono state uccise, e le infrastrutture del Paese hanno sofferto gravi danni. Nonostante tutto questo, siamo testimoni nel corso degli ultimi anni della nascita di un’impresa ben sviluppata, che è stata difesa dal sangue dei martiri che ha contribuito ad ottenere gli obiettivi e le vittorie di questo tempo. Istituire un Sistema Democratico Federale in Rojava è una grande opportunità; siamo convinti e fiduciosi che questo modello offrirà una soluzione alla crisi Siriana.
Sulla base delle decisioni che abbiamo assunto, chiamiamo in primo luogo le donne, che rappresentano una vita nuova e libera, così come i giovani, i lavoratori e tutte le comunità e gli altri settori sociali ad interessarsi e partecipare ed organizzare essi stessi sulla base di queste idee. Allo stesso tempo, chiamiamo tutte le forze democratiche, umanitarie e progressiste a supportare i nostri sforzi.
Diciamo sì ad una comune determinazione, ad una comune vita, a all’amicizia tra i popoli.
Consiglio Costituente dell’Unione Federale Democratica del Rojava / Nord Siria
Fonte
Ormai in Medio Oriente si è andati ampiamente oltre il risiko.
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