Anche i meno attenti si saranno accorti che campeggiano ovunque cartelloni pubblicitari di presentazione di quella ormai già definita come la serie innovativa dell’anno: Mr. Robot. Il protagonista, Elliot, è raffigurato con il volto seminascosto dal cappuccio di una felpa nera… asociale, misterioso, in perenne conflitto con il mondo. Un conflitto che durante la serie (per i meno pazienti, i meandri di internet nascondono gradevoli sorprese), si esprime non soltanto a livello soggettivo e individuale, dunque personale, ma anche dal punto di vista di una dimensione collettiva, sociale. Se da un lato appunto abbiamo una storia incentrata su un personaggio introverso, scontroso, affetto da dipendenze fisiche e mentali, che talvolta agisce quale giustiziere personale nella vita di tutti i giorni di coloro che lo circondano, gli echi delle sue azioni finiscono per avere una ricaduta per tutta la società. Storie di hackeraggio e di odio verso il “sistema” da chi ha potuto vederne i meccanismi virtuali dal di dentro, in tutti i loro tecnicismi asettici ma fortemente umani: dietro ogni numero, dietro ogni formula e ogni codice violato si nasconde la matrice capitalista di un rapporto sociale, una vita che si distrugge pubblicamente, un conto in banca che si volatilizza, un’azienda che chiude i battenti. Elliot lavora infatti in un’agenzia di sicurezza informatica che tutela una famosa società che egli sogna di distruggere, la E-Corp soprannominata Evil-Corporation: grazie a una serie fortuita di eventi passerà dal sogno a occhi aperti alla realtà.
Mr. Robot è la nostra storia contemporanea: vi sono numerosi richiami che permettono facilmente di identificare lo “Steve Jobs” di turno, il gruppo di Hacker denominato “F-society” che presenta modalità e dinamiche estremamente simili agli Anonymous, ma soprattutto la sensazione da “fine del mondo” che ci accompagna dallo scoppio della “crisi del 2008” a oggi. La sensazione di essere sull’orlo di un precipizio, di dover fare qualcosa per distruggere una società malata che non può più essere corretta senza però porsi un’alternativa: in questo senso il sentimento di “rivoluzione” che anima la serie è politicamente primitivo, spontaneista, quasi nichilista, in cui tutti però, almeno una volta nella vita, ci siamo potuti riconoscere. Altrettanto emozionale è la caratterizzazione dei personaggi in giacca e cravatta, la descrizione dei piani alti, del “mondo di sopra”, che sebbene non siano mai identificati con precisione si stagliano freddamente durante la serie: le loro abitudini, le considerazioni che hanno della “gente normale” con un lavoro “ordinario” e una vita “banale” non sono politiche nella loro espressione ma colpiscono comunque allo stomaco per il sentimento di classe che rappresentano... il senso di appartenenza a un mondo privilegiato.
Durante la serie lo spettatore ha mille occasioni per sviluppare un odio verso questo tipo di figure che finiscono per rappresentare l’archetipo dei supermiliardari che schiacciano e opprimono la povera gente: un po’ un cliché immaturo ma che va più che bene per una serie che si distingue comunque dalla maggioranza di quelle proposte dai vari siti e canali. Ovviamente si tratta pur sempre di un prodotto commerciale che deve vendere, che ricalca alcuni stereotipi di “alternativismo” per conservare un certo appeal, ma in sostanza è fatto molto bene e rappresenta comunque una boccata d’aria che offre molteplici spunti per gli occhi che sanno guardare.
Chicca per gli esperti, al di là di voci su leggendarie collaborazioni con gli “Anonymous” sulle quali non ci sono ovviamente conferme, è indubbio il fatto che le operazioni di hackeraggio della serie siano rappresentate con estremo realismo tecnico, aggiungendo un’ulteriore nota di merito per questa serie tv. Di più non possiamo e non vogliamo spoilerare.
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