Il cosiddetto Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia ha condannato ieri il primo presidente della Repubblica serba di Bosnia, il 71enne Radovan Karadžič, a 40 anni di reclusione. Indicativo dell’intero corso della vicenda e del significato generale del Tribunale stesso è il momento della sentenza, nel giorno del 17° anniversario dell’inizio dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia, che causarono 2000 vittime civili, tra cui più di 400 bambini. Il processo era iniziato nel 2009, un anno dopo l’arresto di Karadžič a Belgrado e la sua reclusione nel carcere olandese di Scheveningen.
Come “una beffa gesuitica”, scrive oggi Komsomolskaja Pravda “è risuonata nell’aula del tribunale la dichiarazione del giudice secondo cui potrà esser presentato ricorso contro il verdetto. I serbi condannati dal Tribunale conoscono bene il valore del ricorso. Il generale Stanislav Galič, condannato a 20 anni, dopo il tentativo di appello è stato condannato al carcere a vita. Il colonnello Veselin Šlivančin, in appello, invece degli originali 5 anni, ne ha avuti 17. Il croato Dražen Erdemovič, che aveva ammesso di aver personalmente fucilato più di 120 persone, aveva avuto appena 5 anni”. L’orientamento antiserbo del Tribunale, scrive ancora KP, è da tempo conosciuto da tutti gli esperti imparziali: 92 accusati su 142 sono serbi; di essi, solo due sono stati prosciolti, a differenza dei musulmani bosniaci (3 su 9) e degli albanesi (5 su 9), e 32 croati.
Accanto alle reazioni internazionali, in particolare della dirigenza serba, che chiama “tutti i serbi di Bosnia e Erzegovina a lottare per la propria repubblica e il proprio popolo, messi in forse dal verdetto”, a Mosca si parla di “piena illegalità”. Già nel tardo pomeriggio di ieri, la Tass riportava le parole del vice presidente della Commissione esteri della Duma, Leonid Kalašnikov, secondo cui “siamo in presenza di una condanna assolutamente infondata. Mentre il Tribunale già da tempo aveva cessato di essere in vita, hanno continuato per oltre sette anni a tenere Karadžič sotto custodia. Siamo in presenza di un approccio assolutamente unilaterale degli occidentali: i kosovari, di cui non avevano più bisogno, sono stati rilasciati da tempo, mentre ai serbi, di fatto, è stata negata una giustizia equa. Ecco, questo è un genocidio”.
A proposito di genocidio, tra le accuse principali mosse infatti a Karadžič, c’è quella per i fatti di Srebrenitsa, l’enclave musulmana in cui, secondo il Tribunale, nel 1995 i serbi di Bosnia avrebbero fucilato diverse migliaia di uomini musulmani. Esperti internazionali hanno da tempo dimostrato come, in base alle riesumazioni, i cadaveri presentassero per lo più ferite inferte in combattimento. Da allora, si è chiesto ripetutamente di indagare in modo approfondito sui massacri di civili serbi che, proprio nella regione di Srebrenitsa, erano stati perpetrati dalle milizie bosniache a partire dal 1992, allorché l’enclave era stata da esse occupata e utilizzata come testa di ponte (protetta dalle forze ONU, che avrebbero dovuto disarmare i musulmani) per i loro attacchi contro il territorio controllato dai serbi, con migliaia di civili uccisi e centinaia di villaggi serbi bruciati. Su Karadžič ricade anche l’accusa per le esplosioni al mercato di Sarajevo, di cui da tempo è noto che furono organizzati dai leader islamisti di Bosnia per giustificare l’appoggio clintoniano.
“Un tribunale filo-americano”, ha detto il vice speaker della Duma e vice presidente del PC russo, Ivan Melnikov. Riguardo alla consegna del leader serbo-bosniaco, da parte dell’allora dirigenza di Belgrado, Melnikov ha aggiunto che “a suo tempo il PC russo criticò la consegna di Karadžič a tale tribunale e oggi, allo stesso modo, critichiamo il verdetto; la ragione è la stessa: non è un tribunale, ma una farsa legale politicamente orientata pro-americana”. Il vice presidente della Commissione esteri del Consiglio federale (senato), Andrej Klimov, ha dichiarato alla Tass che la responsabilità per delitti contro l’umanità in Jugoslavia deve ricadere non solo sui serbi, ma anche sui rappresentanti delle altre etnie, così come sui piloti della Nato. Si sarebbero dovuti chiamare a rispondere anche quei piloti Nato che effettuarono i bombardamenti sulla Jugoslavia, uccidendo in massa la popolazione civile. Ma per qualche ragione non ho visto quei piloti sul banco degli imputati, sebbene la NATO non fosse stata invitata colà da nessuno e non ci fossero decisioni del Consiglio di Sicurezza ONU. Anche quelli erano crimini contro l’umanità, ma qualcuno ha visto in tribunale quei criminali?”, ha detto Klimov. La Tass ricordava anche come il Ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, già nel 2012 avesse accusato il Tribunale di pregiudizi politici e doppio standard nell’approccio ai casi in cui sono imputati i serbi bosniaci e i musulmani.
Nei giorni scorsi, Sovetskaja Rossija, dando notizia dei meeting anti-Nato svoltisi in varie città della Jugoslavia per l’anniversario dei bombardamenti Nato, scriveva che, purtroppo, i leader di Belgrado sembrano essersi dimenticati delle vittime di quegli attacchi e oggi, “su ordine di Bruxelles e per le promesse illusorie di entrare nella UE, abbandonano al loro destino i serbi del Kosovo, diminuiscono le pensioni, e le spese sociali, privatizzano ciò che rimane dell’industria serba, tradiscono la memoria delle vittime innocenti”. “Quanto accade a L’Aja con Radovan Karadžič”, ha dichiarato a SR il presidente della Repubblica serba in Bosnia-Erzegovina, Milorad Dodik “non ha niente a che fare con la ricerca della verità, ma è solo vendetta”. Le testimonianze udite a L’Aja, conclude SR, hanno distrutto ogni tassello delle “accuse contro Karadžič e Mladič per il genocidio dei musulmani di Bosnia e sfatano i miti con cui è stata impressa nell’opinione pubblica mondiale la cosiddetta satanizzazione dei serbi”.
Darja Aslamova, una delle più attenti corrispondenti di Komsomolskaja Pravda, ricordando alcuni suoi incontri a Pale con Radovan Karadžič, durante la guerra nei Balcani, sottolinea come “la guerra civile in Bosnia sia iniziata con il massacro a una cerimonia di nozze serba a Sarajevo. I musulmani bosniaci avevano l’appoggio dell’Occidente e del mondo musulmano; i serbi di nessuno. Anche la Russia, nonostante le alte dichiarazioni, rifiutò ogni aiuto in armi, mentre i musulmani bosniaci, in tre anni di guerra, ricevettero due miliardi di $ per acquistare armi. Nel paese giunsero Osama bin Laden e 4.500 combattenti di Al Qaeda. Ci sono le foto di come si tagliassero le teste dei serbi. Tutti gli assassini sono noti e, in giro per il mondo, reclutano oggi nuovi terroristi. Nessuno di loro è mai stato arrestato”. Aslamova racconta di come Karadžič le avesse detto, a proposito dell’isolamento in cui l’Occidente aveva costretto i serbi, che questo avrebbe aiutato “la loro maturazione. L’isolamento forzato di un popolo, come quello delle singole persone, lo distrugge, se è spiritualmente vuoto, o lo eleva, se lo merita. I serbi ora sono soli, ma questo darà loro maturità spirituale e saggezza. Dio sa che abbiamo ragione. Certe volte mi sembra che stesse parlando di noi, russi”, conclude Aslamova.
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