Partiamo da alcune constatazioni difficilmente contestabili:
– la lotta al terrorismo islamico sta dando risultati catastrofici, peggiori della più pessimistica aspettativa;
– nella storia dell’intelligence
occidentale non c’è una serie così lunga di insuccessi così completi,
dunque non c’è un precedente in cui l’intelligence si sia dimostrata
così al di sotto del proprio compito;
– siamo di fronte ad un tipo di terrorismo totalmente nuovo
per dimensioni, modalità d’azione, forme organizzative e di lotta (con
buona pace di qualche imbecille che le compara con le brigate rosse che è
come mettere sullo stesso piano la “compagnia della teppa” con il
cartello di Medellin);
– i servizi segreti stanno facendo errori evidenti, persino sul piano del comune buon senso.
Tutto questo sta stimolando un dibattito: è solo una questione di errori o si tratta di complicità?
Insomma: ci sei o ci fai? E allora vediamo.
Confesso che alla tesi “dietrologica” che pensa che l’Isis sia una longa manus degli americani ed Israele o che, quantomeno, ci sia una intesa cordiale fra essi, non ho mai creduto molto e continuo a non credere. In primo luogo non si capisce che cosa ne verrebbe agli americani, in questa fase, da un gioco così contorto e stravagante. Quanto ad Israele, faccio presente che, allo stato attuale, ha posizioni che lo proiettano in modo divaricante rispetto agli Usa e, semmai e per certi versi, ha più in comune con la Russia di Putin. Anche qui si fa fatica a capire il senso politico di una operazione di copertura dell’Isis, salvo che per la sua inimicizia con l’Iran; ma se si trattasse solo di questo, basterebbe “stare a vedere” senza compromettersi più di tanto. Poi non so se i feriti Isis siano curati in Israele ed in cambio di cosa: magari, c’è una sorta di patto di non aggressione momentaneo. Tutto questo è possibile ma non ha il valore di una vera e propria alleanza politica o tantomeno un rapporto di dipendenza. Insomma, per sostenere una tesi del genere dovremmo avere molti più elementi e tali non sono i gossip di rete.
Ma soprattutto, dovremmo capire il senso
politico di tutto questo, quel che per ora non è spiegato e fa a
cazzotti con tutto quel che sappiamo della situazione internazionale
(poi è evidente che ci sono cose che non sappiamo, ma delle cose
sconosciute non si può parlare). Dunque, l’idea che dietro questi
insuccessi ci sia una volontà positiva di aiutare l’Isis mi pare poco
convincente, se non al massimo come interesse oggettivo alla sua
esistenza.
Sin qui le uniche cose fondate sono
quelle che riguardato Arabia Saudita, Quatar e Kuwait con un forte
sospetto sulla Turchia. Ma questo non riguarda le intelligence
occidentali ed in particolare quelle europee. Ma è credibile la tesi
opposta che riduce tutto ad insufficienze personali degli operatori dei servizi europei?
Anche questa non mi convince. Quando parlo di incredibile serie di
errori (vere e proprie bestialità) non intendo parlare di un deficit di
preparazione ed intelligenza degli operatori dei servizi, magari a
livello apicale. Queste mancanze di professionalità ed intelligenza ci
sono ed anche in modo massiccio, ma non sono la causa principale del
disastro presente.
Il problema è più generale e io lo riassumo in questi termini schematici:
a. assenza di direzione politica
da parte dei governi che delegano tutto ai servizi lavandosene le mani e
senza neppure chiamare i capi dei servizi a rispondere dei loro
insuccessi;
b. assenza di una vera e propria linea
politica da parte di Europa (e questa è storia vecchia) ed Usa (questa è
la novità) che non sanno cosa fare. Obama è fermissimo nel tentennare
ed è evidente che in testa non ha nulla;
c. persistenza dell’ideologia antiterrorista
da non confondere con il contrasto al terrorismo. Il vero contrasto è
quello fatto al terrorismo per come è effettivamente, l’ideologia è
quella che combatte per il terrorismo per come lo immagina;
d. il persistere del dogma base
dell’ideologia antiterrorista è pensare il terrorista come un criminale,
pazzo o fanatico con vaghe idealità politiche, mentre il terrorista è un soggetto politico pienamente razionale
che ricorre a forme di lotta criminali. Ne consegue che, nel primo
caso, la lotta al terrorismo è in primo luogo un problema di polizia e
di intelligence, nel secondo che è un problema in primo luogo politico
e solo secondariamente di intelligence cui occorre dare le indicazioni
necessarie per evitare che diventi uno strumento cieco che colpisce a
caso;
e. la scarsa duttilità degli apparati a
rivedere le proprie impostazioni di partenza anche quando queste sono
evidentemente superate. Il dogma dell’ideologia antiterrorista era
sbagliato anche 60 anni fa ai tempi dell’Algeria, ma diventa devastante
oggi dopo gli sviluppi della guerra irregolare. I cinesi hanno capito la
guerra asimmetrica, gli uomini di Al Zarkawi la hanno capita e
sviluppata, mentre i servizi occidentali sono fermi alle tesi del
generale De Beaufre.
f. di fatto i servizi hanno mancato gravemente nella analisi
non riuscendo a capire il nemico islamista tanto nella versione Al
Quaeda quanto in quella Isis e non si sono neppure accorti della
differenza fra i due.
g. a questo poi bisogna aggiungere il
processo di decadenza dei servizi occidentali a seguito di una serie di
infelici scelte che risalgono a Bush e che si intrecciano con la II
guerra del Golfo (ma sul punto torneremo);
h. infine ci sono le meschine “furberie”
particolaristiche degli europei per cui ognuno gioca la partita per
conto suo con compromessi, pasticci, imbrogli e veri e propri tradimenti
come quello dei Belgi. E’ evidente che la polizia belga aveva stipulato
nei fatti un “patto di non aggressione” con gli jihadisti per cui, in
cambio di non essere oggetti di attentati, concedevano di poter usare il
loro paese come retrovia per gli attentati in Francia; e lo conferma la
notizia che i Turchi avevano estradato in Belgio uno dei due kamikaze
di avantieri e che il Belgio lo aveva rilasciato. Begli alleati!
Come si vede, la scelta non può essere ridotta a confusi retroscena complottistici o a semplice negligenza
di una parte degli operatori. Ci sono complesse ragioni di ritardi
culturali, retaggi ideologici, rigidità organizzative, che producono una
sorta di “coazione a ripetere l’errore”. Non tutto può essere
ricondotto alle singole persone, perché le istituzioni hanno spesso una
propria logica, talvolta perversa, che supera anche le responsabilità
personali.
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