Chiara Cruciati – il Manifesto
Aveva pubblicato sui social
network foto di combattenti del Pkk, per questo è stata arrestata:
Giovanna Lanzavecchia, 24enne di Como, è stata prelevata dalla polizia
turca in un internet cafè di Istanbul con l’accusa di propaganda a
favore di un’organizzazione terroristica. Secondo il padre Marco, la
giovane dovrebbe rientrare in Italia «al massimo mercoledì con il
divieto di ingresso nel paese per i prossimi 5 anni». Vietato parlare di questione kurda: la regola in Turchia resta la stessa, che si tratti di giovani turisti o di media nazionali.
Alle condanne che ogni tanto arrivano da Bruxelles ha risposto ieri il
presidente Erdogan, un ritornello ormai noto: Ankara non accetta
critiche su diritti umani e libertà di stampa da un Europa che non sa
gestire i rifugiati e che sostiene il movimento kurdo.
Niente di nuovo sotto il sole: l’arroganza di Erdogan si fonda dopotutto sull’ipocrisia europea. Ieri
un team di osservatori turchi è arrivato in Grecia, nelle isole di
Lesbo e Chios per monitorare i primi respingimenti di profughi ordinati
dall’accordo tra Ankara e Bruxelles. I barconi, però, non si
fermano: nelle ultime 36 ore, dicono funzionari greci, altri 2mila
migranti sono sbarcati sulle coste elleniche. Per molti di loro l’unico
destino è la deportazione in Turchia, sebbene il ritardo europeo
nell’inviare nel paese esperti, traduttori e funzionari
dell’immigrazione non dovrebbe permetterne il via prima del 4 aprile.
Ieri a soffiare sul castello di carta messo in piedi con
perizia dal duo Bruxelles-Ankara è stata Amnesty International:
l’accordo «è seriamente difettoso legalmente e moralmente»
perché la Turchia – guarda un po’ – non può essere considerata un paese
sicuro «non offrendo protezione adeguata». Non la offre ai rifugiati che
vivono in condizioni pessime sia nei campi profughi che nelle strade
delle città dove spesso sono costretti a mendicare o a lavorare in nero
per stipendi miseri. Non la offre di certo alla comunità kurda sotto
assedio che, nonostante tutto, in questi giorni sfida il divieto a
festeggiare il Newroz e finisce attaccata dalla polizia.
Non la offre nemmeno ai turchi, costretti da mesi a subire attentati causati dalle politiche belliche dell’incendiario Erdogan. Ieri il presidente ha ribadito l’intenzione di usare ogni mezzo militare e di intelligence per combattere il terrorismo.
L’ultimo attentato sabato mattina a Istanbul contro la via dello
shopping Istiklal Avenue, che ha ucciso 5 persone, dopo le prime accuse
al Pkk è stato attribuito allo Stato Islamico. Creatura lasciata
crescere e maturare dai paesi interessati a destabilizzare il cuore del
Medio Oriente – Golfo e Turchia in testa – oggi si ribella ai suoi
sostenitori. Eppure la risposta è fiacca: quei mezzi militari e
di intelligence che Erdogan millanta vengono riversati contro la
comunità kurda, che si tratti di Iraq, Siria o sud-est turco, ma quasi
per nulla contro l’Isis. I raid contro lo Stato Islamico nel
nord della Siria si possono contare sulle dita di una mano, nonostante
Ankara sia nominalmente parte della coalizione internazionale anti-Isis.
E l’Isis si allarga: dopo l’attacco di sabato, secondo i
servizi segreti turchi, cellule del gruppo avrebbero pianificato altri
«sensazionali» attentati. Nel mirino ci sarebbero state
inizialmente le celebrazioni kurde a Istanbul per il Newroz, vietate
però dalle autorità turche. Per questo gli attentatori avrebbe virato
sul derby Galatasaray-Fenerbahce. Il match avrebbe dovuto giocarsi
domenica ma è stato posposto per il timore di un attacco che fonti della
sicurezza hanno definito nello stile delle azioni perpetrate a novembre
a Parigi. Secondo i servizi segreti, il piano dei terroristi era quello
di colpire alla fine della partita, prima con un kamikaze in mezzo alla
folla e poi con colpi di arma da fuoco contro la gente in fuga.
E se l’attentatore di Istanbul è stato identificato (Mehmet
Ozturk, cittadino turco nato nel 1992 a Gaziantep), tre altri sospetti
membri dell’Isis sono stati individuati ieri e sono tuttora ricercati
dalla polizia. I tre, Savas Yildiz, Haci Ali Durmaz e Yunus
Durmaz, sarebbero membri di una cellula locale. Su Yunuz pendeva già un
mandato d’arresto perché considerato responsabile della terribile
esplosione che il 10 ottobre scorso uccise 103 persone nella capitale
durante una manifestazione per la pace organizzata dal partito di
opposizione pro-kurdo Hdp. Nel suo appartamento la polizia ha trovato
note su possibili attacchi futuri, ben 26 luoghi in 19 diverse province.
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