L'episodio di via Bengasi riaccende il dibattito sulle reazioni ai fatti di cronaca
Partiamo da un presupposto. Le parole razzismo/razzista andrebbero bandite da ogni tipo di analisi, riflessione e intervento, perché rappresentano un concetto che erge muri e serve a poco: chi lo usa, a volte a ragione, a volte a torto, presuppone che qualcuno lo sia, chi ne è destinatario dice comunque di non esserlo e si sente accusato. Probabilmente in via Bengasi è stato questo il cortocircuito che si è creato, a prescindere dalle intenzioni di entrambe le parti visto che in quel caso si era di fronte ad un atto gravissimo perpetrato ai danni di una donna e di riflesso agli abitanti di un intero palazzo, e chi era lì era innanzitutto per portare solidarietà alla famiglia. E nemmeno pensiamo che ci sia qualcuno che possa giustificare chi ha compiuto il gesto di dare fuoco a un condominio mettendo a rischio la vita di tante persone. Ci pare una cosa ovvia e chiara dove stiano le ragioni, i torti, la solidarietà e la punizione.
Qui si chiude l'episodio di via Bengasi. Che serve però da spunto per commentare e analizzare alcune abitudini e convinzioni che si sono sparse in città e non solo a Livorno. Basta leggere i commenti quotidiani sui social network o sui siti dei quotidiani online per avere una prima "spremuta" di ciò che è una convinzione radicata in molti cittadini: Livorno non è più la Livorno di una volta e tutto ciò è colpa degli immigrati che la rendono degradata e insicura. E se gli standard di welfare e servizi (sanità, asili, case popolari) sono in picchiata la colpa è sempre loro. Ogni commento più o meno serio che troviamo sotto le pagine di informazione cittadina ha questo tenore, di qualunque argomento si parli.
Basterebbe leggersi qualche dato sul declino della città di Livorno dal punto di vista economico e sociale per capire che questa convinzione è falsa. Il declino e il degrado di Livorno vengono da lontano, da un modello economico che ha iniziato il suo declino 30 anni fa, una classe dirigente che ha dissipato tra sprechi e clientele la ricchezza pubblica e una cittadinanza che finché c'erano i soldi si è fondamentalmente disinteressata del sistema e del territorio in cui viveva. Sarebbe sufficiente andarsi a leggere qualche articolo serio che parla di tagli alla spesa pubblica e di dove vanno a finire i nostri soldi che paghiamo con le tasse, per darsi una risposta. Certo, l'immigrazione può essere un ulteriore effetto collaterale o causa di malesseri a seconda di che punto di vista si vede. Come tutti i fenomeni di cambiamento economico e sociale, l'immigrazione porta svantaggi per una parte di cittadinanza e per alcuni territori, e vantaggi per altri. E raggiunge un suo equilibrio non senza scontri e conflitti. Ma analizzando cosa pensa (?) una buona parte di popolazione di questa città, appare chiaro che il risultato finale è che il malessere generalizzato e i problemi della città siano ricondotti e ridotti alla presenza di immigrati. Si va quindi alla ricerca del classico capro espiatorio che, conoscendo molte abitudini locali, è più semplice, necessita meno impegno ed è più comodo. E chi comanda ci va a nozze: taglia, ruba, tappa, svende mentre tutti guardano da un'altra parte.
Nell'ultimo periodo è emersa anche un'altra abitudine, quella della mobilitazione selettiva. Facciamo qualche esempio. Nel settembre 2010 fra via Fagiuoli e via dei Mulini (zona piazza XX Settembre), scoppiò una rissa tra un livornese e un romeno. Motivo: oggetti ingombranti lasciati al cassonetto. Dopo la rissa decine di persone scesero in strada, assediarono la casa del romeno, furono mobilitate pattuglie della polizia e Digos e arrivò anche il sindaco Cosimi a parlare con la gente. Ore e ore di gente in strada con un solo refrain: con gli immigrati nel quartiere non ci sentiamo più sicuri, abbiamo paura ad uscire di casa. Si stava parlando di una rissa per un alterco tra due persone, non certo di stupri, scippi o furti (reati per cui è normale che il livello di insicurezza sia maggiormente percepito, e a ragione). Nel maggio 2011 a meno di 10 metri da quel cassonetto oggetto della rissa di settembre, si scatenò il caos all'interno della Conad e poi in strada. Alla fine ci furono 5 feriti, uno svenuto, polizia, ambulanze. Il tutto alle ore 13.30, in pieno giorno e all'uscita delle scuole. Si trattava di una rissa tra 5 nativi livornesi che avevano litigato per il prosciutto tagliato troppo "spesso" al bancone gastronomia della Conad. Al salumiere e al figlio della signora che aveva brontolato per il prosciutto troppo "spesso" si erano aggiunti nella rissa i parenti di entrambi. Dopo 8 mesi dall'assedio alla casa del romeno nessun abitante della zona circondò la Conad e nessuno si sentiva in pericolo nel quartiere.
Proviamo ora a pensare all'omicidio dell'uomo georgiano in via Roma pochi giorni fa. La polizia ipotizza che sia un omicidio passionale perpetrato dall'amante della moglie del georgiano, un ex carabiniere dei paracadutisti. Si tratterebbe di omicidio passionale quindi categorizzato in quei reati che non aumentano la percezione di insicurezza in una comunità. Quanto ci scommettete che se il georgiano fosse sospettato di essere l'amante/omicida mentre l'ex parà l'assassinato, nella zona di via Roma qualcuno si farebbe promotore di proteste o si sarebbe già fatto intervistare dai giornali per denunciare l'insicurezza della zona?
O cosa dire invece dei militari che fabbricavano bombe (con conseguente esplosione) nei garage sotterranei di piazza Attias? Se fossero stati stranieri si sarebbe parlato che l'Isis era nel cuore della città, invece quella vicenda è finita nel dimenticatoio mediatico e giudiziario oltre che della cittadinanza.
La vicenda di via Bengasi (per cui ci auguriamo che l'uomo che ha commesso il fatto sia messo nelle condizioni di non nuocere più alla ex moglie) non ripercorre questa matrice, perché reazione comprensibile ad un fatto veramente grave. Ma di fronte all'ennesima insopportabile e criminale violenza su una donna, il 90% degli slogan e dei messaggi di protesta avevano al centro il fatto che il criminale fosse straniero e non la violenza stessa.
E allora torniamo alla domanda da 1 milione di dollari. È razzismo questo? No, è comodità. Di fronte a un mondo complesso la semplificazione è comodità. È la sottile speranza che con un colpo di bacchetta si possano risolvere i problemi. D'altra parte anche la politica è l'arte della semplificazione e infatti qualcuno sta facendo fortuna cavalcando i fatti di cronaca. Qualcuno lo chiama opportunismo, altri mediocrità. Noi la chiamiamo comodità, così nessuno si offende.
Redazione, 22 marzo 2016
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Va da se che l'analisi dell'articolo è facilmente estendibile non sono a tutta l'Italia, ma all'UE nella sua interezza, soprattutto in tempi di accordi che puzzano di deportazioni nazi-fasciste con la Turchia e di guerra asimmetrica che fa capolino dentro casa.
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