di Michele Paris
Nonostante la ferma opposizione della maggioranza Repubblicana al
Senato, qualche giorno fa il presidente americano Obama ha nominato
ufficialmente il proprio candidato per la sostituzione alla Corte
Suprema del giudice ultra-conservatore Antonin Scalia, morto
improvvisamente il 13 febbraio scorso. La scelta del giudice capo della
Corte d’Appello del District of Columbia, Merrick Garland, è stata
dettata in larga misura da un calcolo politico ben studiato, il quale
potrebbe però non essere sufficiente a superare le manovre che cercano
di modellare gli equilibri del più alto tribunale degli Stati Uniti.
Secondo
la Costituzione americana, il Senato deve confermare i giudici della
Corte Suprema nominati dal presidente. Le tradizionali audizioni dei
candidati di fronte ai senatori dovrebbero assodare le loro competenze
oppure eventuali motivi di gravità tale da impedirne l’insediamento. Il
voto al Senato dovrebbe essere perciò influenzato soltanto da questi
fattori, essendo la scelta dell’orientamento ideologico dei giudici a
discrezione del presidente in carica.
L’imminenza delle elezioni
presidenziali, lo scontro in atto tra Repubblicani e Democratici, ma
soprattutto la natura e la rilevanza politica del ruolo dei giudici
della Corte Suprema hanno però avvelenato il clima dopo la morte di
Scalia, tanto che le probabilità che il suo successore riesca ad
assumere l’incarico entro il 2016 sono ad oggi pochissime.
I
leader del Partito Repubblicano avevano fatto sapere da subito che il
nono giudice della Corte scelto da Obama non sarebbe stato nemmeno preso
in considerazione. Sul sostituto di Scalia, a loro dire, dovrebbe
piuttosto esprimere il proprio parere il popolo americano. Per questa
ragione, malgrado la Costituzione assegni unicamente al Presidente la
facoltà di nomina e in passato ci siano stati esempi di giudici
insediati alla vigilia di un’elezione, per i Repubblicani sarà
necessario attendere la scelta di un candidato da parte del prossimo
inquilino della Casa Bianca a partire dal gennaio 2017.
Di fronte
a questa resistenza, Obama e il suo entourage hanno deciso di procedere
ugualmente con la nomina, optando prevedibilmente per un giudice con un
curriculum pressoché inattaccabile, dalle posizioni generalmente
moderate e ampiamente gradito ai membri Repubblicani del Congresso.
La
scelta è finita così sul giudice Garland, secondo la stampa USA già
preso seriamente in considerazione nel 2009 e nel 2010, quando Obama fu
chiamato a scegliere due nuovi membri della Corte Suprema. In entrambe
le occasioni, a Garland erano stati preferiti altri candidati,
rispettivamente Sonya Sotomayor ed Elena Kagan, le quali, in quanto
donne e, la prima, ispanica, garantivano quel rispetto della “diversità”
di genere e di razza che non poteva offrire un giudice maschio e
bianco.
La posta in palio con il seggio vacante alla Corte
Suprema è dunque enorme, non soltanto per i poteri di questo tribunale e
la delicatezza delle cause su cui dovrà esprimersi nel prossimo futuro.
Soprattutto, con la morte di Scalia, Obama e i Democratici si ritrovano
a portata di mano l’occasione di alterare l’equilibrio tra giudici
conservatori e “liberal” che è stato per anni sostanzialmente favorevole
ai primi.
Il percorso verso la conferma di Merrick Garland, come
già spiegato, appare però molto complicato. Secondo la maggior parte
dei commentatori d’oltreoceano, quella di Obama sarebbe allora una mossa
prevalentemente politica volta a favorire i Democratici nelle elezioni
presidenziali e, soprattutto, per il Senato, mettendo in risalto
l’ostruzionismo Repubblicano.
Il
mero calcolo politico di Obama è apparso chiaro nel corso della
presentazione pubblica di Garland alla Casa Bianca la settimana scorsa.
Il presidente non ha fatto alcun riferimento alla possibilità che la
nomina del suo candidato possa mettere in minoranza la maggioranza
conservatrice alla Corte Suprema e quindi favorire la difesa dei diritti
democratici, esposti a un processo di erosione in questi anni proprio
per mano di questo stesso tribunale. Al contrario, Obama ha insistito
nel ricordare come svariati membri del Congresso Repubblicani avessero
in passato espresso pareri molto lusinghieri per Garland, facendo
apparire perciò la loro opposizione di natura esclusivamente politica.
Merrick
Garland era stato ad esempio confermato giudice della Corte d’Appello
di Washington a larga maggioranza dal Senato nel 1997 e con gli elogi di
alcuni Repubblicani che siedono oggi nella commissione Giustizia, di
fronte alla quale devono testimoniare i candidati alla Corte Suprema.
Uno
di questi ultimi è il veterano senatore dello Utah, Orrin Hatch, tra i
pochi Repubblicani disposti finora ad appoggiare l’idea che Garland sia
almeno preso in considerazione dalla commissione. I senatori
Repubblicani possibilisti risultano essere più che altro quelli che a
novembre saranno impegnati in un voto molto competitivo per la loro
rielezione. Alcuni di essi settimana scorsa avevano ipotizzato anche un
possibile voto sulla nomina di Garland dopo le elezioni di novembre in
caso di vittoria del Partito Democratico.
Quest’ultima proposta è
stata avanzata per evitare che il prossimo eventuale presidente
Democratico possa finire col nominare un nuovo giudice di orientamento
più “liberal” rispetto a quello scelto da Obama. Il leader di
maggioranza al Senato, Mitch McConnell, ha però escluso un voto su
Garland, prima o dopo le elezioni, ribadendo che il nono giudice della
Corte Suprema dovrà essere scelto dal 45esimo presidente degli Stati
Uniti, ovvero il successore di Obama.
In maniera significativa,
McConnell ha anche denunciato apertamente le presunte posizioni
ideologiche del giudice Garland, ritenuto a suo giudizio troppo “di
sinistra”. Questo parere conferma ancora una volta il drastico
spostamento a destra del baricentro politico americano negli ultimi
anni, tanto da far apparire, almeno agli occhi del Partito Repubblicano,
un giudice del tutto moderato e con alcuni precedenti di sentenze poco
meno che reazionarie come una sorta di attivista “liberal”.
In
effetti, la carriera giudiziaria di Merrick Garland, a detta di molti,
sembra riflettere precisamente la sua ambizione di ascendere alla Corte
Suprema, visto che quasi mai il giudice 63enne ha assunto posizioni che
potessero far riconoscere un suo netto posizionamento ideologico e, di
conseguenza, favorire critiche e accuse da parte della parte politica
opposta nel corso di un possibile processo di conferma.
Pur
tenendo un atteggiamento cauto per decenni, il passato di Garland è ben
noto e include alcuni anni di praticantato prima al fianco di un noto
giudice della Corte d’Appello di New York e del giudice della Corte
Suprema, William Brennan, poi come assistente dell’ultimo ministro della
Giustizia del presidente Carter, Benjamin Civiletti.
Con
l’arrivo di Reagan alla Casa Bianca nel 1981, Garland si dedicò alla
pratica privata, entrando in uno studio legale di Washington che
rappresentava gli interessi di varie grandi aziende, tra cui Philip
Morris. In seguito, durante l’amministrazione Clinton, diventò pubblico
ministero, occupandosi di casi di grande impatto mediatico, come quello
di “Unabomber” e l’attentato contro un edificio federale di Oklahoma
City per mano di Timothy McVeigh che nel 1995 fece 168 vittime.
Da
19 anni, infine, Garland siede nell’influente Corte d’Appello del
District of Columbia, tradizionalmente chiamata a valutare numerose
cause che coinvolgono il governo e le sue agenzie. Gli esperti legali
americani citati dai media riconoscono una sua tendenza a favorire
queste ultime, mentre vi sarebbero poche tracce di servilismo nei
confronti del mondo degli affari.
Garland viene anche talvolta
elogiato per avere emesso sentenze favorevoli alle regolamentazioni
relative al rispetto dell’ambiente. Allo stesso tempo, però, ha mostrato
maggiore simpatia per l’accusa nei casi in cui sono in gioco i diritti
degli accusati di un qualche crimine. Una delle cause di maggiore
rilievo che ha presieduto si era conclusa inoltre con un verdetto
favorevole all’amministrazione Bush in merito alla legittimità della
detenzione di alcuni prigionieri del lager di Guantánamo.
Le
vicende attorno alla nomina di Merrick Garland alla Corte Suprema, in
ogni caso, accompagneranno tutta la stagione elettorale 2016 negli Stati
Uniti. A riprova degli interessi in gioco e del livello di
politicizzazione del tribunale costituzionale americano, i favorevoli e i
contrari alla conferma del nuovo giudice stanno già affilando le armi e
organizzando campagne pubbliche, durante le quali – come in un’elezione
a una carica di spicco – saranno raccolti e spesi parecchi milioni di
dollari.
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