Sembra essere vicino un cessate il fuoco tra ribelli sciiti houthi e il governo yemenita riconosciuto internazionalmente.
Secondo fonti della sicurezza locali, ieri le due parti, alla presenza
dell’inviato dell’Onu nello Yemen Ould Shaykh Ahmed, avrebbero
concordato di iniziare una tregua di una o due settimane prima della ripresa dei negoziati di pace di aprile.
Gli ufficiali yemeniti, che hanno parlato in condizione di anonimato
perché non autorizzati a diffondere notizie, hanno riferito che l’intesa prevede il
ritiro degli houthi dai territori che hanno occupato (tra cui anche la
capitale Sana’a) e la consegna delle loro armi. La fine dei
combattimenti, sostengono le fonti, sarà considerato un “gesto di buona
volontà” per terminare la guerra.
Finora i tentativi di implementare un cessate il fuoco sono
sempre falliti con le due parti che si sono accusate a vicenda per aver
violato i termini delle intese. Così come fallimentare si è
rivelato il primo round di negoziati di pace iniziato in Svizzera lo
scorso dicembre. L’intesa raggiunta ieri verrebbe a distanza di pochi
giorni dal massacro di Mastaba dove oltre 100 persone (numero mai
confermato ufficialmente) sono state uccise in un raid saudita su un
mercato.
E’ ancora troppo presto per dire se l’eventuale tregua reggerà.
Poche, infatti, restano le pressioni internazionali sulla coalizione
sunnita a guida saudita per terminare la sua operazione militare nel
Paese. Una guerra, preme ricordarlo, che non ha mai ricevuto l’ufficiale
avallo dell’Onu e della Lega Araba: entrambe le istituzioni si sono
infatti limitate a “benedire” a parole la missione in un chiaro esempio
di guerra per procura contro l’Iran. Ma ad un anno dalle prime
bombe, sganciate dai jet dei paesi del Golfo, dell’Egitto, del Sudan,
una parte della comunità internazionale comincia a muovere delle
critiche, sulla spinta di movimenti di base e organizzazioni
che accusano l’Occidente di complicità: le armi utilizzate nell’attacco
contro lo Yemen sono tutte vendute dai governi alleati europei e dagli
Stati Uniti. Tra queste anche le famigerate bombe a grappolo, vietate
dal diritto internazionale.
Un passo lo ha compiuto nelle scorse settimane il Parlamento Europeo
che ha votato a maggioranza la storica (seppur non vincolante)
richiesta alle istituzioni di Bruxelles di imporre un embargo militare
contro l’Arabia Saudita. La scorsa settimana il parlamento olandese ha
fatto lo stesso: appello al governo perché non venda più armi a Riyadh,
“colpevole di violare il diritto internazionale in Yemen”.
Intanto, secondo l’Agenzia ebraica, una missione segreta
israeliana compiuta stanotte in Yemen avrebbe portato in Israele 19
ebrei, 14 provenienti dalla città di Raydah e una famiglia di 4
persone dalla capitale Sana’a. Il canale 2 israeliano ha riferito che a
partecipare all’operazione sarebbe stato anche il Dipartimento di stato
americano che avrebbe aiutato a coordinare il trasferimento delle 19
persone. Fino al 1949 la comunità ebraica yemenita contava 40.000
membri. Quell’anno, però, una missione denominata “Tappeto volante”
portò nell’appena nato stato ebraico migliaia di ebrei yemeniti. Secondo
quanto riferisce l’Agenzia ebraica, resterebbero in Yemen solo una
50ina di ebrei. Di questi, una quarantina risiederebbe nella capitale
Sanan’a vicino all’ambasciata statunitense e avrebbe scelto di non
compiere l’aliyah, l’emigrazione in Israele.
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