Qualcuno, in occidente, soprattutto tra i media di regime, presenta il terrorismo di matrice islamista un po’ come le scienze biologiche pre-lamarckiane e pre-darwiniane “spiegavano” l’origine della vita: per generazione spontanea. Se pesco un muggine e poi lo lascio fuori della finestra, dicevano gli scienziati medievali e rinascimentali, dopo qualche giorno ne nasceranno delle mosche. Ci vollero le scoperte di Linneo, gli esperimenti di Redi e di Lamarck, gli studi di Darwin, per togliere ogni base d’appoggio alle visioni mistiche sull’origine della vita.
I moderni teorici della generazione spontanea, i tuttologi televisivi, gli odierni aristotelici “à la” Salvini (qualche anno fa, si sarebbe detto “à la” Fallaci) assicurano che se lascio che l’Islam si diffonda per il mondo (soprattutto, dio ce ne scampi, in casa nostra!), da lì nascerà il terrorismo: per generazione spontanea. Se lascio che continui il flusso di migranti in fuga dai paesi che noi stessi bombardiamo, allora non fermeremo più il terrore, dicono loro, tacendo sul fatto che i giovani kamikaze sono nati e cresciuti nei ghetti di Parigi e di Londra. Oggi, i fatti quotidiani sembrano voler prendere il posto di un moderno Charles Darwin, per spiegare a quei maestri di filosofia sociale padana (o fiorentina) che, forse, centinaia e centinaia d’anni di rapine, massacri, deportazioni, saccheggi di beni e materie prime, operati dai paesi “civili” ai danni di quella parte di mondo cui ogni sviluppo è stato scientemente interdetto, hanno infine prodotto quella “evoluzione” di cui ogni giorno siamo testimoni.
Che gruppi terroristici di matrice islamista – o che si autodefiniscono seguaci dell’Islam – non siano sorti per generazione spontanea dalla religione maomettana, ma siano stati e siano tutt’oggi sponsorizzati da precise e ben conosciute forze e potenze internazionali, i signori della cultura main stream si guardano bene dal dirlo. Il loro compito è tutt’altro. Che quelle forze e quelle potenze, per le proprie mire finanziarie e geopolitiche, ricorrano all’utilizzo strumentale di gruppi la cui comune base religiosa agisce da collante e da fondamento ideale per un processo “evolutivo” nient’affatto spontaneo, anche di questo si evita per lo più di parlare.
A due giorni dagli attentati di Bruxelles, c’è comunque qualcuno che si prende la briga di significare, insieme al dolore per le vittime, anche nomi e cognomi (per la verità, qui si fa un solo nome) di chi favorisce lo sviluppo, tutt’altro che spontaneo, delle formazioni terroristiche.
La russa RT scrive oggi di essere entrata in possesso di nuove prove dei contatti di Ankara con tali formazioni.
Opuscoli su come rovesciare il presidente siriano Bashar al-Assad stampati in Turchia e passaporti abbandonati dai terroristi con le pagine piene di timbri d’ingresso in Turchia: questi alcuni degli elementi rinvenuti da una troupe televisiva di RT nelle cittadine di Ash Shaddadi, Kamishlié, Tall Abyad e altre, importanti centri petroliferi nel nordest della Siria, da poco liberate dall’occupazione dell’Isis per mano delle milizie curde. Tra gli altri documenti abbandonati dai terroristi in fuga, anche relazioni sulla quantità di petrolio estratto e venduto quotidianamente. Gli abitanti delle cittadine, costretti a lavorare per l’Isis, hanno raccontato alla troupe di RT di come gli intermediari nel traffico del greggio di Al Raqqa e Aleppo menzionassero spesso la Turchia. I miliziani curdi che hanno partecipato alla liberazione di Ash Shaddadi e degli altri centri, hanno mostrato a RT anche i passaporti trovati in tasca agli islamisti uccisi nei combattimenti; membri dell’Isis fatti prigionieri hanno dichiarato di esser riusciti facilmente a entrare in Siria, dato che la frontiera turca, su quel versante, non è affatto sorvegliata o, se lo è, le guardie di confine lasciano passare senza difficoltà. Altri abitanti delle città, hanno detto che “se la Turchia avesse chiuso il varco al confine con lo Stato Islamico, impedendo così l’arrivo di uomini e armi, i terroristi sarebbero rimasti privi di un forte sponsor e non avrebbero potuto curarsi o rinfrancarsi in Turchia”. Addosso ad altri prigionieri, sono state rinvenute chiavette usb con foto “turistiche” da loro scattate a Istanbul, prima di varcare la frontiera e unirsi all’Isis. Dopo la fuga precipitosa da Ash Shaddadi, pare che abbiano abbandonato anche gli abiti neri e addirittura rimasugli di rasatura, per assumere un aspetto non “combattentistico”.
E’ il caso di rammentare come, negli anni ’80, gli allora combattenti talebani in Afghanistan abbattessero gli aerei civili con razzi generosamente forniti dagli Stati Uniti. Ma, si sa: erano “partigiani” in lotta contro il male assoluto! E’ appena il caso di ricordare come diverse regioni e aree caucasiche, insieme a Siria o Iraq, fossero da tempo sia base d’addestramento di formazioni terroristiche che dicono di rifarsi all’Islam, sia obiettivo primario dei loro attacchi. Russia meridionale, Daghestan, Cecenia, non da ora hanno dovuto subire attentati e continuano a subirli, nella quasi totale indifferenza dei media occidentali. Nessun “Je suis Beslan” o “Je suis Volgograd” o “Je suis Grozny” ha fatto da cassa di risonanza per le centinaia di vittime civili di quelle regioni, quasi a confermare le parole con cui il giornalista britannico Neil Clark ha commentato la disperazione con cui i media occidentali hanno accolto la condanna a Savchenko: “se agisci contro la Russia, non sei colpevole”. Quando ogni arma rivolta contro l’Unione Sovietica era ritenuta giusta per abbattere “l’impero del male”, i gruppi terroristici afghani o ceceni erano immancabilmente descritti come “indipendentisti”: le vittime civili sovietiche morte per mano di quei “partigiani per la libertà” non entravano nel conto del dolore occidentale.
Ieri, scriveva Interfax, il capo dei Servizi di sicurezza ucraini, Vasilij Gritsak ha parlato di molti russi tra i fiancheggiatori dell’Isis che utilizzano l’Ucraina come territorio di transito per raggiungere la Siria. “Su 25 elementi arrestati nelle ultime operazioni, 19 erano cittadini russi”, ha detto Gritsak, che ha tenuto a sottolineare di non aver notizia di arresti in massa di combattenti dell’Isis da parte dei Servizi speciali russi. Come dire: vedete chi c’è dietro al terrorismo? Quest’ultima sua affermazione fa il paio con quanto da lui stesso dichiarato il giorno degli attentati di Bruxelles: “non mi meraviglierei se comparissero elementi della guerra ibrida della Russia, anche se si punta il dito sull’Isis”.
E’ ancora RT che evidenzia oggi il doppio standard in uso tra i media occidentali nel dar conto degli attentati terroristici in paesi della UE, da una parte, o in Russia, dall’altra. L’agenzia russa, notando come alcune tv occidentali, nel dar notizia degli attentati all’aeroporto Zaventem di Bruxelles, abbiano erroneamente mandato in onda immagini dell’attentato all’aeroporto moscovita di Domodedovo, nel 2011 (37 morti e 170 feriti), ricorda come, in quell’occasione, in occidente si fosse dichiarato che era stata la Russia stessa, con le proprie azioni nel Caucaso settentrionale, a provocare quella tragedia. Il giornalista di RT, Daniel Bushell, non può fare a meno di rilevare come, dopo gli attentati di Bruxelles, poche reti occidentali abbiano legato quelle esplosioni agli interventi UE in Medio Oriente. “Perché negli atti terroristici in Belgio, a Parigi o in California”, si chiede Bushell, “si vede una tragedia, il che, naturalmente, è indiscutibile; mentre delle esplosioni provocate dai kamikaze a Mosca, si incolpa la Russia stessa?”
RT riporta poi l’opinione di un ex ufficiale delle forze di sicurezza britanniche, Charles Shoebridge, secondo il quale “i sempre più frequenti attacchi terroristici costituiscono un problema di sicurezza interna europea. E, naturalmente, anche della politica estera europea. Oggi in Belgio, come a suo tempo in Francia, nel Regno Unito e in altri paesi, molti si chiedono quanto fosse ragionevole quella posizione cui, fino a tempi relativamente recenti, fino alla metà del 2013, si attenevano paesi quali Belgio, Francia, Regno Unito, che consentiva ai propri cittadini di recarsi, praticamente senza ostacoli, in paesi come la Siria, a ingrossare le fila dei jihadisti, acquisire esperienza e formazione, per poi di tornare e, in alcuni casi, compiere atti di terrorismo. Le circostanze esatte di questi attacchi”, ha detto ancora Shoebridge “sono ancora ignote, ma se verrà fuori che hanno a che fare con la situazione siriana – ed è molto probabile – la gente, ovviamente, porrà delle precise domande. Così come domande sulla politica volta a destabilizzare gran parte del Medio Oriente, sia esso la Libia o la Siria. Francia, Regno Unito e i paesi che li hanno seguiti, tra cui il Belgio, hanno funzionato da incubatori e santuari di gruppi quali “Stato islamico”, “Al-Nusra”, “Al-Qaeda” e così via. Tale politica è stata condotta nel corso degli ultimi 5-10 anni. E ora, anche se tardivamente, verranno alla luce sempre più domande su quanto fosse ragionevole”.
Anche se, viene da dire, difficilmente la politica di Bruxelles, Parigi o Roma darà a breve una risposta che corrisponda agli interessi dei popoli.
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