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23/03/2016

La borsa non crede alle lacrime

Il cinismo è la vera cifra del capitalismo, è risaputo. Ed anche ieri – tra immagini, filmati, dichiarazioni bellicose, morti e feriti – le borse hanno dato plastica prova di quanto il profitto sia “socialmente responsabile”, ossia in qualche misura sensibile a ciò che non coincide strettamente con la propria logica.

Solo un attimo di fibrillazione, a inizio seduta per le piazze europee, quando si è diffusa la notizia delle stragi di Bruxelles. Il tempo di calcolare quali comparti dell’economia ci avrebbero rimesso di più (compagnie aeree, turismo, alberghiero, ecc), e poi via, come se niente fosse, con gli occhi incollati a indici che non prezzano lo scorrere del sangue.

Basta guardare i valori di chiusura, con Milano a chiudere sul +0,01% (dopo aver perso e recuperato da oltre il 2%) e gli altri listini del Vecchio Continente tutti in territorio positivo (con la sola eccezione di Madrid).

Anche il temutissimo spread tra i titoli di stato dei vari paesi europei e quelli tedeschi non ha registrato alcuna scossa emotiva, restando (per i Btp italiani) incollato a quota 104. Idem per l’euro, che solo per qualche ora ha perso valore rispetto al dollaro per poi tornare intorno al consolidato 1,12.

La tempesta c’è stata solo per le società che vivono di mobilità, specie quelle specializzate il low cost (la dimensione di massa del turismo non è certamente garantita dalla top class...). E quindi giù Air France, Lufthansa, British Airways, Ryanair, Aeroports de Paris, Easy Jet, i grandi alberghi, le compagnie di viaggio, le crociere, ecc.

Idem per New York, ancor meno interessata alle vicende belliche lontane da casa e che non coinvolgono imprese quotate a Wall Street. Piccole oscillazioni in più o meno, ma per motivi molto specifici, che nulla hanno a che vedere con le dinamiche di guerra.

Persino il petrolio ha perso qualche centesimo (lo 0,17%, a 42,45 dollari), pur essendo manifestamente il Medio Oriente l’epicentro di ogni “guerra al terrorismo” immaginabile, con le monarchie del Golfo sempre più esplicitamente indicate – persino sui giornali mainstream, ora – come il vero padre-padrone dell’Isis.

Il fatto che la finanza non creda alle lacrime, però, non significa affatto che il passo avanti nell’escalation verso un conflitto molto più guerreggiato sia privo di effetti economici rilevanti. Un prevedibile rallentamento drastico della libera circolazione – degli esseri umani, come si è visto con i flussi di profughi, e in misura minore delle merci – inciderà comunque sulla capacità di produrre ricchezza. Ci saranno perdite sul Pil di tutti i paesi, specie quelli che dal turismo traggono una quota rilevante (Italia, Francia, Spagna, Grecia, ecc).

Ma questo coinvolge solo marginalmente la speculazione finanziaria. Che guarda alle quantità di liquidità emesse dalle banche centrali e non degna di uno sguardo il sangue che scorre per le strade. Neanche quando, come nella stazione Maelbeek della metropolitana – a 100 metri dal palazzo dell’Unione Europea, in mezzo agli uffici delle lobby – le bombe sfiorano o colpiscono qualcuno che lavora negli uffici del capitale più volatile.

In fondo, a prendere la metropolitana sono gli impiegati, mica gli amministratori delegati.

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