di Michele Giorgio – Il Manifesto
Damasco alza la voce
dopo le stragi di Bruxelles, così come aveva fatto dopo gli attentati
di Parigi. E punta l’indice contro l’Europa e i Paesi occidentali che,
denuncia, hanno condotto «politiche sbagliate». Gli attacchi
all’aeroporto e alla metropolitana della capitale belga, ha scritto in
un comunicato il ministero degli esteri siriano, «dimostrano che il
terrorismo non ha confini e che gli attacchi sono il risultato di
politiche sbagliate…(è stato) legittimato il terrorismo, definendo
‘moderati’ gruppi terroristici che non sono altro che filiali
dell’ideologia estremista wahhabita».
Evidente il riferimento alla nemica Arabia Saudita, dove
domina il wahabismo, corrente tra le più rigide dell’Islam, sorella del
salafismo che anima l’Isis, al Qaeda e varie formazioni armate radicali
che i Paesi occidentali, la Turchia e le petromonarchie del Golfo,
definiscono “moderate”. Proprio la Francia colpita duramente lo
scorso novembre, ha imposto la presenza ai negoziati di Ginevra, in
corso tra governo e opposizioni siriane, di Jaysh al Islam, un gruppo
ideologicamente vicino all’Isis sponsorizzato dagli alleati sauditi.
La “moderata” Riyadh, custode degli interessi occidentali nel
Golfo, dal 1975 ha speso annualmente 2-3 miliardi di dollari per
diffondere il wahabismo nel mondo islamico, secondo una ricerca
dell’accademico britannico Yahya Birt. Nel 2003 una commissione
d’indagine del Senato Usa riferì che nei precedenti 20 anni l’Arabia
saudita aveva speso 87 miliardi di dollari per promuovere nel mondo la
sua versione dell’Islam con la costruzione di migliaia di moschee e il
finanziamento di scuole wahabite, dal Pakistan al Nord Africa, fino a
Balcani.
Decenni di “promozione” del wahabismo e, di fatto, del
salafismo anche in Europa, tra giovani musulmani tenuti ai margini dalle
società occidentali, non potevano non avere anche un sbocco violento.
La guerra civile siriana è stata il motore della diffusione del
jihadismo più estremo, con il pretesto della lotta per «portare la
libertà a Damasco» e «abbattere il dittatore Bashar Assad».
Come se a Riyadh fossero rispettati i diritti umani e i principi della
democrazia e nelle carceri non languissero migliaia di prigionieri di
coscienza.
Intanto in Siria i discepoli, ben armati e finanziati, del wahabismo e
del salafismo combattono contro l’esercito governativo, avvalendosi
della partecipazione di foreign fighter giunti dall’Europa. Isis e al
Nusra (il ramo siriano di al Qaeda) peraltro non mancano di darsi
battaglia per il controllo del territorio meridionale siriano. Le
“Brigate dei martiri di Yarmouk” e il gruppo Muthanna (formazioni
affiliate all’Is) tre giorni fa hanno strappato ai rivali di al Nusra e
di Ahrar al Sham – alleati del “moderato” Esercito libero siriano – i
villaggi di Teseel e Adawan nella provincia di Daraa.
L’Isis rafforza le sue posizioni nel sud della Siria compensando le
perdite territoriali subite nel nord del Paese in questi ultimi mesi non
certo per l’intervento militare di Usa e Paesi europei, piuttosto
grazie ai bombardamenti dell’aviazione russa e al sacrificio sul terreno
di migliaia di soldati siriani e dei libanesi di Hezbollah e di altre
formazioni sciite. Se la storica Palmira, come sembra, sarà
strappata all’Isis il merito sarà soltanto delle truppe regolari
(formate anche da sunniti), della milizia popolare filo governativa e
degli uomini di Hezbollah. Non certo per i proclami contro lo Stato
Islamico fatti da Riyadh all’unico scopo di ingraziarsi l’Occidente.
Ed è paradossale che coloro, come i combattenti di Hezbollah, che in
Siria muoiono affrontando l’Isis e al Nusra siano stati dichiarati
“terroristi” dall’Arabia Saudita e dalle altre monarchie del Golfo.
A chi sosteneva che dopo il ritiro (parziale) russo anche Hezbollah
avrebbe ridotto il suo coinvolgimento in Siria, il leader del movimento
Hassan Nasrallah lunedì sera ha replicato che la milizia sciita rimarrà
in appoggio all’esercito governativo siriano fino a quando non sarà
trovata «una soluzione politica» al conflitto. Nasrallah ha spiegato la
sua idea di soluzione politica consiste nel raggiungere un compromesso
che preservi Bashar Assad e trovi un posto per l’opposizione. Ma, ha
aggiunto, «L’Arabia Saudita e la Turchia stanno ostruendo la strada
verso la soluzione politica ... Pertanto, non mi aspetto progressi nel
processo politico».
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