20/03/2016
Visti da Bruxelles, siamo tutti profughi
L’Unione Europea è un mostro. Ossia, un animale che pretende di essere fantastico (la retorica sul “manifesto di Ventotene”, tradito ogni giorno) pur facendo ogni giorno cose orrende. Peggio ancora: che pretende di dettare regole di comportamento politico-sociale pur non rispettandone nessuna. Priva di una Costituzione qualsiasi, si è sagomata nella deriva dei trattati commerciali, inestricabili aggregati di cavilli, furbizie, dettagli, interessi nazionali e soprattutto delle imprese multinazionali.
In questo modo, come si può constatare ormai senza sforzo, ogni decisione è figlia di calcoli di brevissimo termine spacciati per “manuali di buona pratica”. Facile, dunque, che il più forte faccia prevalere i propri interessi a scapito di quelli dei più deboli, sempre sapientemente divisi tra loro, costruendo alleanze a geometria variabile altrettanto di corto respiro.
Una riprova clamorosa la si è avuta in questa settimana ormai conclusa. Un osceno accordo con la Turchia e un irrituale briefing con i giornalisti convocato dal presidente della Bce, Mario Draghi, per far capire a tutti che lui e la sua istituzione – “l’unica che funziona” – chiedono sopratutto “chiarezza sul futuro dell’Unione”.
Un presidente di banca centrale non può che riferirsi al suo campo di attività, il sistema bancario continentale. Dunque, sta in realtà parlando della faticosa “unione bancaria” senza cui tutte le sue invenzioni non convenzionali – che appaiono spesso ai mercati come autentici colpi di genio – non possono suscitare gli effetti sperati. Ossia un refolo di crescita più avvertibile e il trasferimento dello stimolo monetario all’economia reale.
E non è più un segreto per nessuno che il completamento dell’unione bancaria consiste essenzialmente nella costituzione di un fondo di garanzia unico sui depositi bancari. In pratica, come avviene all’interno dei singoli paesi, un fondo che assicuri i correntisti per cifre fino a 100.000 euro, sottraendoli così – per questa quota – alle conseguenze di eventuali o prevedibilissimi fallimenti bancari.
Per i tedeschi, dotati di un sistema bancario tanto forte quanto “irregolare” secondo le regole dettate agli altri dalla stessa Germania sotto la maschera della Ue, questo somiglia a una prima “condivisione dei rischi finanziari” con i partner europei, specie i disastrati soci mediterranei. Una prospettiva che riuscirebbe indigesta a qualunque leader nazionale, figuriamoci a una cancelliera già sotto pressione xenofoba come Angela Merkel.
E qui, nel delicatissimo snodo tra scelte politiche e processi reali di enormi dimensioni, si misura il nanismo istituzionale dell’Unione. Durissima con i deboli, come ha sperimentato la Grecia di Tsipras, e morbidissima con qualsiasi infame le possa risolvere o attenuare un problema urgente.
Qui si saldano insomma i problemi sul piano finanziario – avvolti nelle nebbie tecnocratiche spacciate per “razionalità oggettiva” – e quelli del flusso di profughi in fuga dalle guerre che anche l’Unione ha determinato. Con una differenza sostanziale: i problemi finanziari si possono sempre occultare ai piani alti di Bruxelles e Francoforte, tagliando e cucendo soluzioni inventate alla bisogna, mentre le colonne di disperati che attraversano i Balcani o si accalcano alle frontiere macedoni (per ora, prima di trovare altre vie) sconvolgono plasticamente equilibri sociali, politici, culturali malamente costruiti intorno a un progetto di Unione nato per rideterminarli dall’alto dei cieli finanziari.
Il cortocircuito è evidente. Anzi, lo diventa soltanto ora. Di fronte ai profughi l’Unione è disposta a pagare un kapò col kepì, sorvolando su stragi di curdi e di giornali, ma sperando segretamente che il dittatore Erdogan si logori da solo. Di fronte agli impegni derivanti da una “vera unione” (bancaria, fiscale, economica) retrocede invece difendendo le (poche) isole ancora ricche in un crescendo di impoverimento generale. Anche all’interno dei paesi economicamente più sviluppati.
Non è difficile far arrivare a un prefetto-commissario – come a Roma – le direttive per compatibilizzare i conti di una metropoli con le “buone pratiche” neoliberiste. Più complicato, molto più complicato, come per fortuna si è visto ieri a Roma, realizzare quel programma omicida senza che si sollevi la marea umana che dovrebbe esserne la vittima designata. L’austerità è un programma col “pilota automatico”, non un incidente di percorso.
Vista dai piani alti di Bruxelles, insomma, noi delle periferie urbane e i disperati in marcia o sui barconi, siamo comunque tutti profughi.
Untermenschen, avrebbero detto un tempo a Berlino. Ma già una volta gli è andata malissimo.
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