Come si sa, Mario Draghi ha scelto la strada del rimedio estremo: prestiti a interessi zero
in rate da 80 miliardi al mese, nella speranza di riattivare il ciclo
consumi-profitti-investimenti-occupazione. Ma possiamo già dire con
tranquillità che così non sarà, salvo un breve momento di miglioria
passeggera.
E non sarà così perché i signori
banchieri (e finanzieri in generale) continueranno ad investire il
denaro in altri impieghi finanziari, concedendo i crediti per aziende e
famiglie con il contagocce e comunque con interessi esosi. E questo per
la semplice ragione che nelle attuali condizioni dei “mercati”
finanziari (se è lecito chiamare “mercati” le bische) il denaro tende a non uscire dal gioco
finanziario: la Banca X acquista denaro a bassissimo interesse dalla
Bce, (poniamo lo 0,25% e, adesso, a costo zero) e lo re-investe per
acquistare titoli della finanziaria Y al 2,75% mettendosi in tasca la
differenza, la finanziaria Y usa il denaro così ottenuto per comprare
oro nella previsione di un suo aumento dalla società Z che a sua volta
compera titoli di stato giapponesi perché pensa che l’oro non salirà ed è
più vantaggioso investire nel debito di Tokyo. E così all’infinito. Il
segnale è l’assenza di inflazione in presenza di immissione di
liquidità: una sindrome economica già studiata e si chiama “momento Minsky” dal nome dell’economista che la analizzò formulandole la legge sottostante.
Nel tempo della globalizzazione neo liberista
il denaro tende stabilmente a non uscire dai circuiti finanziari, con
la conseguenza che le immissioni di liquidità non fanno che gonfiare la
bolla credito-debito attraverso il meccanismo degli interessi. Ma con
una deadline: i crack a catena dei più deboli quando risulti loro
impossibile pagare gli interessi, perché la loro esposizione scoraggi
anche l’investitore più spericolato a rifinanziare il debito in
scadenza.
Quello che non va è il sistema, in permanenza del quale la crisi si cronicizza. Non c’è una via di uscita?
Non è esatto, se il sistema permane e con esso la crisi, una via di
uscita c’è: una guerra generalizzata. La guerra è un grande consumo di
risorse a fondo perduto ed impone una ricostruzione che risucchia
risorse finanziarie. Che poi il conflitto debba avvenire in forme
classiche e come conflitto generalizzato fra grandi potenze, con uso o
meno di armi nucleari a bassa intensità, o, piuttosto, attraverso una
generalizzazione dei punti di crisi fra piccole e medie potenze o di
guerriglie o guerre “anfibie” o forme di guerra coperta (come nel caso
di Daesh), questo è altro discorso da esaminare in apposita occasione (e
lo faremo). Quel che conta è che la permanenza dell’iper-capitalismo
finanziario è orientato in questa direzione.
Ora Draghi riuscirà a tappare la falla
per un po’ ed a guadagnare una manciata di mesi, forse addirittura un
paio di anni (dopo i quali, peraltro, sulla sua poltrona ci sarà un altro
banchiere), ma quando la scadenza si ripresenterà avremo finito le munizioni.
Infatti, dopo una bordata del genere ed a interessi zero c’è solo il
passaggio agli interessi negativi, ma, anche questo non correggerebbe i
comportamenti.
E di fronte a tutto questo c’è una
protesta popolare sacro santa ma che non trova altro sbocco che
l’impotente scelta populista. Chi manca all’appello è la sinistra,
una vera sinistra che non sia quella di nome dei lacchè
socialdemocratici o dai retori parolai della sinistra alla Tsipras, alla
Vendola o Ferrero. Non è un gran rimedio dirlo, ma almeno rendiamocene
conto.
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