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05/07/2016

Ue, la nube nera causa 23 mila morti l’anno

Le centrali a carbone esistenti sul territorio dell’Unione europea – circa 280 – fanno pagare un pesante tributo in termini sanitari e dovrebbero essere chiuse tutte il prima possibile. Lo sostiene un rapporto redatto e diffuso da diverse ong ed organizzazione ambientaliste secondo il quale in Europa il carbone causa 23mila morti premature e decine di miliardi di euro in costi sanitari ogni anno.

Intitolato “La nube nera dell’Europa: come i paesi che utilizzano il carbone avvelenano anche i loro vicini”, il rapporto di WWF, Climate Action Network, Heal (Alleanza per la salute e l’ambiente) e Sandbag analizza gli impatti sulla salute di 257 centrali europee su 280 nel 2013.

Il carbone rappresenta il 18% delle emissioni di gas a effetto serra dell’Ue nel 2014. Le emissioni prodotte dalle centrali a carbone hanno provocato nel 2013 22.900 morti premature, ma anche decine di migliaia di casi di malattie cardiache, bronchiti, tumori e affezioni di diverso tipo. “Oltre la metà delle morti premature nell’Ue dovute al carbone possono essere attribuite a 30 centrali”, precisa il rapporto.


Gli impatti sanitari del carbone hanno generato nel 2013 “un costo globale dai 32,4 ai 62,3 miliardi di euro”, sottolinea il rapporto che smentisce così anche “il mito secondo il quale il carbone sia una fonte di energia a buon mercato”, rileva Anne Stauffer, vice direttrice di Heal.

I cinque paesi maggiormente sottoposti all’inquinamento prodotto dai paesi vicini, che si aggiunge a quello prodotto in casa, sono la Germania (3.630 morti premature in totale), l’Italia (1.610), la Francia (1.380), la Grecia (1.050) e l’Ungheria (700).

I cinque Paesi le cui centrali hanno causato il maggior numero di morti al di là delle proprie frontiere sono la Polonia, (4.690 morti premature all’estero), la Germania (2.490), la Romania (1.660), la Bulgaria (1.390) e il Regno Unito (1.350). Le polveri sottili costituiscono “l’elemento più tossico dell’inquinamento prodotto dal carbone”: circa 19.000 morti, cioè l’83% del totale.

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