Negli Stati Uniti, paese dove la popolarità viene analizzata come in nessun altro, e da molti più anni rispetto agli altri paesi, c’è un paradosso conosciuto. Paradosso che, secondo diversi analisti, ha significato un vero rompicapo per trent’anni. Si chiama il paradosso di Reagan e si riferisce al periodo in cui l’ex attore di Hollywood era presidente. Il paradosso consisteva nel fatto che Reagan tanto più attivava politiche che non piacevano, alla maggioranza degli americani, tanto più diventava popolare nei sondaggi. E’ accaduto, guardando ai nostri lidi, anche a Berlusconi. Del resto, non è difficile rendersi conto che una maggioranza elettorale spesso non coincide con la maggioranza della popolazione attiva. Ma soprattutto, e queste sono le regole della comunicazione politica, saper valorizzare il personaggio in situazioni controverse aumenta la popolarità di un presidente anche se la maggioranza della popolazione attiva ritiene che questi faccia scelte sbagliate. Del resto, status, prestigio e stima possono essere indipendenti dai comportamenti materiali. Basta che il personaggio si riconosca come tale, sia percepito come originale e positivo. E questo, anche se a sinistra non piace sentirselo dire, è accaduto sia a Reagan che, anni dopo, a Berlusconi.
Luigi De Magistris vive invece un altro paradosso della comunicazione politica, tutto italiano. Quello di essere tanto più popolare, tanto più nascosto dall’agenda politica. Il fatto non si spiega solo con la blindatura dei media più influenti, il cui massimo del brivido consiste oggi nel riportare polemiche infantili da Twitter. E nemmeno solamente con l’esistenza di uno scontro, tra 5 stelle e Pd, che egemonizza la cronaca politica. De Magistris è popolare, entra nel linguaggio mainstream e fa audience sui social media, a prescindere dalla (peraltro noiosissima quanto pericolosa) renzizzazione della tv e dagli infiniti scontri, che audience comunque ne fanno, tra Pd e 5 stelle. Il vero problema, che può benissimo essere superato ma che esiste, è che la popolarità di De Magistris è territorializzata in modo culturalmente scomodo per la politica italiana. Non va sottovalutato il fatto che De Magistris è sindaco di Napoli. Insistere troppo sulla popolarità di De Magistris, oggi appunto sindaco di Napoli, evidenzierebbe quindi un movimento politico che, simbolicamente, andrebbe dal sud al nord. Nella politica italiana si tratterebbe di un vero scandalo per questo, come accade per gli scandali che si vogliono evitare, la popolarità del sindaco di Napoli subisce un processo di, diciamo, neutralizzazione. Durante il fordismo, i movimenti politici ritenuti innovativi in Italia sono nati a Nord per poi espandersi, magari anche velocemente, verso il sud. Anche se il ’68 viene fatto nascere, cronologicamente, con l’occupazione dell’università di Palermo, l’allora predominio culturale è tutto del nord “emancipato”. Se guardiamo a periodi più recenti la politica a sud è stata sinonimo di occupazione del potere. Movimenti come quello di Leoluca Orlando, dei primi anni ’90, per quanto importanti, e nati attorno all’esperienza di governo di Palermo, o dello stesso Vendola che ha avuto la roccaforte in Puglia, non hanno mai toccato la doppia cifra in termini di voti nazionali.
De Magistris esprime quindi una popolarità post-coloniale, che inverte la concezione che vuole i movimenti che innovano a nord per radicarsi anche al sud, che ha dei precedenti, ma che ha toccato grosse vette di attenzione grazie alla sedimentazione della sua immagine della seconda metà degli anni duemila: quella legata alle inchieste da magistrato nei confronti, tra gli altri, di Clemente Mastella e Romano Prodi. Poi dalla sedimentazione di quel periodo, con il passaggio dell’Italia dei Valori, l’esperienza napoletana. Esperienza che è stata un successo politico ma anche la neutralizzazione dell’effetto immagine fuori dai confini locali. Per un motivo ben preciso: De Magistris è uscito dalla prova dell’ordalia del primo mandato da sindaco a Napoli, non è rimasto travolto dalla drammatica complessità della metropoli campana. Al contrario ha invertito il declino in significativi processi territoriali nella gestione dei beni pubblici, come l’acqua, nel governo della rete della prima infanzia e nel riuso degli spazi urbani. A quel punto, per i media italiani, e l’occupazione del potere nei media conta addirittura meno della forza degli stereotipi culturali, questa vicenda non poteva che essere occultata: diventava infatti impossibile giocare allo sfascio, alla ennesima rappresentazione della rivoluzione del sud, tradita o fallita. Questo è un paese, nonostante le trasformazioni, culturalmente ancora coloniale dove le innovazioni si devono pensare al nord, la conservazione al centro e i disastri si fanno al sud. E in effetti l’esperienza napoletana ha smentito questo schema coloniale nonostante il sud abbia, in termini di Pil, perso quanto la Grecia dall’inizio della crisi nel 2008.
Altro elemento post-coloniale, ed importante, dell’esperienza napoletana di De Magistris è quello di non presentarsi al paese in termini rigidamente identitari. Ma in quelli dell’esperienza che racconta sé stessa, chiede ad altri di raccontare la propria, e che si mette in rete. Non a caso quindi Napoli si è incontrata con un’altra esperienza post-coloniale, e al governo, quella della Barcellona di Ada Colau. E’ un’idea di recupero, riuso e valorizzazione del territorio che è totalmente aliena dal modello dell’egemonia moneta-mattone, banca e immobiliare che ha spadroneggiato nel governo delle città per lunghi decenni. Per questo la popolarità post-coloniale di De Magistris subisce un processo di neutralizzazione mediale. E’ un paradosso ben diverso da quello di Reagan o di Berlusconi. Utile però a mettere in crisi i modelli coloniali ancora presenti in questo paese e sui nostri territori.
Redazione, 29 agosto 2016
Martedì 30 agosto Luigi De Magistris e l’Ex Opg Je so’ pazzo a Livorno in piazza Cavallotti
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