L'esercito turco sostenuto dall'aviazione ha lanciato l'operazione "Scudo dell'Eufrate" prima dell'alba di oggi con aerei da guerra e forze speciali.
Stando alle notizie battute dalle agenzie di stampa, l'esercito turco e le forze della cosiddetta “coalizione internazionale” a guida Usa (il cui coinvolgimento diretto però per ora non è confermato) hanno avviato questa mattina all'alba una offensiva contro lo Stato Islamico che controlla la città siriana di Jarabulus, vicino al confine turco.
Mentre decine di carri armati ed altri mezzi corazzati di Ankara, insieme a un numero imprecisato di militari delle forze speciali, hanno varcato il confine con la Siria, circa mille e cinquecento ribelli siriani manovrati da Ankara si preparano a partecipare all'offensiva per conquistare Jarabulus. I caccia e gli elicotteri da guerra turchi avrebbero già messo a segno alcune decine di bombardamenti in territorio siriano colpendo obiettivi di Daesh dopo che nei giorni scorsi l'artiglieria turca aveva bersagliato le postazioni delle Ypg curde, reduci dalla liberazione di Mambij.
E' lo stesso regime turco a informare che l'operazione ha l'obiettivo di impedire che le milizie curde conquistino Jarabulus e di "aprire un corridoio per i ribelli moderati", cioè per alcune formazioni jihadiste e salafite che per ora rispondono agli ordini e agli interessi della Turchia.
«Il troppo è troppo – ha detto Erdogan in un discorso trasmesso in diretta tv – ogni popolo ha diritto a difendersi, e non ci importa quello che dicono della Turchia».
Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha detto che l'offensiva iniziata questa mattina all'alba vuole sì colpire i jihadisti dello Stato islamico mettendo fine ai continui attacchi contro le sue località di frontiera ma anche (e soprattutto) le milizie del Partito dell'Unione Democratica (Pyd), la forza egemone all'interno della guerriglia curda siriana.
Da anni il regime turco prepara l'invasione della Siria, contro il cui governo ha sostenuto e armato quei jihadisti che hanno poi iniziato a spargere sangue e terrore ad Istanbul e nelle altre città del paese e che ora Erdogan afferma di voler combattere.
Inutilmente il 'sultano' ha a lungo chiesto a Washington e Bruxelles il consenso per inviare le sue truppe nel nord della Siria; un consenso più volte negato ma che ora sembra essere arrivato anche se l'ipotesi più credibile al momento sembra dire che Ankara abbia messo Washington davanti al 'fatto compiuto'. Dopo il maldestro e fallito golpe del 15 luglio, nel quale lo zampino degli Stati Uniti è acclarato e la cui repressione ha concesso al regime turco la possibilità di rafforzarsi, il governo statunitense sembra ora in una condizione che lo obbliga a concedere ad Ankara l'autorizzazione ad inviare le proprie truppe nella fascia settentrionale della Siria. Nel tentativo di tenersi a galla in un Medio Oriente in cui i competitori aumentano e dove le tradizionali pedine non ubbidiscono più ai propri ordini, Washington cerca di rimediare al passo falso del putsch di luglio – che ha paradossalmente avvicinato Ankara a Mosca, proprio ciò che gli Usa volevano impedire – concedendo il via libera all'esercito turco in cambio dell'impegno militare di Erdogan contro Daesh.
Il ragionamento di Obama e del suo stato maggiore sembra essere: visto che non siamo riusciti a eliminarlo, ora è meglio cedere ad alcune delle pretese di Erdogan piuttosto che perdere definitivamente la Turchia, bastione militare della Nato in Medio Oriente. Il messaggio inviato dall'altra parte dell'oceano dal regime turco – l'assedio alla base di Incirlik, in cui operano un migliaio di militari statunitensi – sembra essere arrivato forte e chiaro alle orecchie dei militari e dei politici statunitensi.
L’offensiva inizia proprio nel giorno dell’arrivo del vicepresidente Usa Joe Biden, giunto ad Ankara questa mattina per la sua prima visita in Turchia dopo il fallito golpe del 15 luglio. Nel corso della visita è atteso anche un confronto sulla richiesta di estradizione di Fethullah Gulen, magnate e imam rifugiatosi in Pennsylvania che Ankara accusa del tentato colpo di stato (con la complicità della Casa Bianca).
Ma il sì di Washington all'operazione “Scudo dell'Eufrate” apre altre contraddizioni nella già altalenante e maldestra politica estera statunitense nell'area, visto che l'obiettivo di Erdogan è allentare la morsa dei jihadisti ai propri confini – tentando così di conquistare una parte dell'opinione pubblica interna giustamente spaventata dal radicamento di Daesh in Turchia e dai sempre più sanguinosi attacchi jihadisti – ma soprattutto assestare un duro colpo alla guerriglia curda che, finora sostenuta e protetta dagli Stati Uniti, ha cacciato Daesh da numerosi territori liberando un gran numero di città e villaggi proprio nell'area che interessa ad Ankara.
Insomma, per tenersi buono Erdogan – ammesso che non sia ormai troppo tardi per recuperare un satrapo che non si è riusciti a sostituire – Washington concede carta bianca al contrasto militare da parte turca delle sue 'truppe di terra' in Siria, quella guerriglia curda delle Ypg che dopo aver preso il posto delle 'milizie moderate' presto squagliatesi o unitesi a Daeh ed al Qaeda dopo aver ricevuto armi e soldi occidentali, ora potrebbero essere abbandonate da Obama. Da vedere cosa farà la Russia, che finora ha sostenuto i curdi siriani contro i jihadisti e le minacce turche ma che all'interno di un processo, per quanto relativo, di ricucitura con Ankara potrebbe ridimensionare il suo appoggio alle Ypg del Rojava.
In un contesto di alleanze mutevoli e a geometria variabile, la Turchia si conferma, almeno per ora, la pedina più ambita per Stati Uniti e Russia all'interno di un pericoloso gioco al massacro che potrebbe far deflagrare completamente tutto il Medio Oriente.
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