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24/08/2016

Farsi belli con le “donne in gravidanza”, senza far nulla

Piccolo esercizio di analisi di un testo. Una cosa elementare, da scuola media, diciamo.

Titolo da Repubblica on line: “Pochi bebè, il piano del governo: bonus anche alle donne in attesa”.

Il lettore occasionale ne dovrebbe trarre alcune semplici conclusioni:

– abbiamo un governo che – finalmente – si preoccupa della diminuzione delle nascite (con tutti i problemi epocali che un fenomeno del genere comporta per un paese);

– abbiamo un governo che per l'immediato si propone di assegnare una cifra a tutte le donne in gravidanza (e quindi anche a quelle che vi entreranno nei prossimi mesi).

Sarebbe bello avere un governo del genere perché la riproduzione della popolazione è il problema dei problemi, in cui tutte le condizioni reali di vita entrano in gioco (reddito, tempo libero, lavoro, modalità di lavoro, trasporti, sanità, istruzione, ecc).

Ma è vero che abbiamo un governo del genere?

Facciamo finta di essere disinformati e di non sapere cosa ha fatto finora questo governo, in perfetta continuità con quelli precedenti. E quindi andiamo a leggere l'articolo, che riferisce di una trasmissione radiofonica in cui il ministro della famiglia, Enrico Costa, parla del suo “piano” da inserire nella legge di stabilità (che va presentata entro la metà di ottobre, per essere poi riveduta e corretta dalla Commissione europea...).

Una prima constatazione è d'obbligo: il “piano” per il momento è del ministro, non del governo. Ma ve bene lo stesso, l'importante è che qualcuno tiri fuori delle proposte concrete...

In cosa consiste questo “piano”?

Molte premesse, a cominciare dal dover assicurare la “stabilità delle misure”, uscendo dalla logica degli interventi spot, a tempo, per definizione incerti (spesso i diretti interessati, ossia le coppie o le donne single in gravidanza, non riescono neppure a sapere cosa avrebbero diritto di ottenere dallo Stato e dai servizi pubblici). E quindi si comincerebbe dal “razionalizzare, riorganizzare, riordinare" quanto già previsto da una legislazione confusa e confusionaria. Vabbeh, anche questo è la solita solfa, anche se comprensibile. Ogni nuovo ministro – Costa è in carica da sei mesi, grazie a un “rimpasto” per accontentare la pattuglia di Denis Verdini, entrata nella maggioranza – è per prima cosa costretto a metter ordine in quanto fatto da quei pasticcioni dei suoi predecessori. Ma abbiamo fiducia, prima o poi dovrà dire cosa – concretamente – vuol fare per favorire le nascite, dunque innanzitutto la condizione di vita delle donne in età feconda.

Prima delusione. Non vuole e non può dirlo perché vuole attendere il 13 settembre, data in cui ne parlerà al resto del governo. In ogni caso dovrà prima mettersi d'accordo con Angelino Alfano, che è per il momento il suo capopartito. Uff, la cosa sta andando un po' per le lunghe, cara Repubblica...

Ma il Costa è persona seria, sa che qualcosina deve pur dire per giustificare la sua chiamata in trasmissione, e quindi “fa alcune anticipazioni. In primo luogo l'idea che sta a cuore al ministro è di ampliare il bonus bebè anticipandolo a prima della nascita. Il bonus bebè potrebbe già essere dato alle donne al settimo mese di gravidanza. Sarebbe un premio alla natalità: spiega. Lo Stato mostra così l'attenzione e la presa in carico del neonato. Oggi in Italia il bonus è per bimbo nato di 80 euro mensili, complessivamente 960 euro all'anno per tre anni alle famiglie con un reddito che non superi i 25 mila euro.”

Traduciamo: questi benedetti 80 euro che spuntano come panacea per ogni problema sociale già vengono dati alle donne – da sole o in coppia – che stanno sotto quella soglia di reddito. L'unica “pensata” del ministro è... di far avere loro tre mensilità in più (39 invece delle attuali 36), cominciando ad erogarli dal settimo mese di gravidanza.

Tutto qui? E una donna o famiglia si dovrebbe sentire “incentivata a far figli” da 240 euro? Bastano appena per un mese di pannolini...

Beh, no, lui vorrebbe arrivare a un raddoppio (160 euro al mese? Non è scritto proprio così), ma sa bene che le risorse sono – eufemismo – un po' scarse, quindi si tiene basso...

Fosse per lui, comunque, almeno estenderebbe il bonus (80 euro) a prescindere dalla soglia di reddito, alle neo mamme under 30, perché “Da tempo siamo di fronte a donne che fanno figli in età sempre più avanzata e a forte decrescita demografica. Siamo di fronte a interventi slegati tra loro che agiscono in prima battuta sul reddito e non sono per tutti. Le misure che faremo aiuteranno le giovani madri che ad esempio hanno la preoccupazione di perdere il lavoro a causa della maternità”.

Piccola vertigine... La migliore ipotesi che si può fare è che il ministro non conosca affatto la situazione delle donne italiane (il che però ne avrebbe sconsigliato la nomina al “dicastero della famiglia”). Sembra infatti convinto che con 80 euro si possa dar sollievo a donne che hanno perso il lavoro ma devono far crescere un figlio... E per far questo li darebbe anche alle donne o famiglie che guadagnano più di 25.000 euro l'anno.

Vi capiamo, sembra decisamente confuso, ma la citazione è letterale.

Noi pensiamo che 25.000 euro annui siano un reddito assai basso, specie per una coppia con figli. Quindi non ci scandalizza affatto che si possa estendere il bonus oltre questa soglia. Quello che ci fa incazzare come tori nell'arena è sentir dire – da un ministro della Repubblica – che con una elemosina equivalente a due euro e mezzo al giorno si “aiuta” crescere figli anche se “si perde il lavoro”.

Potremmo chiudere qui l'analisi del testo, ma Repubblica e il ministro insistono, tirando fuori l'“idea” di un un voucher per gli asili nido, in sostituzione della detrazione del 19%. Non la costruzione di asili nido pubblici e semigratuiti (come in Francia e Germania, visto che c'è appena stato un vertice a tre...); non la regolarizzazione delle operatrici da sempre precarie e minacciate di licenziamento; non la tutela delle donne dal licenziamento in caso di gravidanza (minaccia che ormai viene fatta esplicitamente anche alle professoresse della scuola pubblica); non la salvaguardia sul lavoro (con l'esclusione delle madri, ad esempio, dai turni di notte e da quelli festivi). Niente di niente. Almeno sul piano delle “misure stabili”, quelle che cambiano effettivamente la vita. Solo la promessa di 80 euro per altri tre mesi, forse, e qualche voucher con cui far prosperare gli esosi asili privati.

A pensarci bene, la cosa più probabile che possa avvenire è la perdita anche della detrazione del 19%...

Ultima perla: gli “sconti sui pannolini, magari agendo sull'Iva”...

Proposte miserabili, dunque, ma tutt'altro che certe. I complici di Repubblica chiudono infatti in questo modo: Sulla stima dei soldi a disposizione il ministro tiene le carte coperte: "Sulle risorse non posso dire nulla".

Volete ancora la traduzione? “Io partecipo alle trasmissioni e prometto piccole cose, ma le decisioni le prende qualcun altro”. Lo avevamo capito da un pezzo, non c'è bisogno di continuare. Sparite...

E non solo il governo, naturalmente...

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