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19/08/2016

Democrazia costituzionale

Un importante contributo al dibattito in vista del referendum confermativo sulle deformazioni costituzionali ci è venuto, in questi giorni, da un intervento di Roberto Esposito pubblicato nelle pagine culturali di “Repubblica”.

Esposito prende le mosse da quello che lui definisce, all’interno dei sistemi politici occidentali, come l’emergere di un deficit di legittimazione nella frattura che si è aperta tra valori e norme.

Ci troviamo, in sostanza, in una non generica crisi di valori e si ricordano così i passaggi fondamentali dei tre maggiori teorici dello Stato: da Hobbes e la legittimazione del potere statale attraverso il patto tra gli individui che lo istituiscono, a Weber e le sue tre forme di legittimità: la tradizione dell’eterno ieri, il dono di grazia del capo carismatico e la fiducia razionale nelle leggi e, infine, lo Schmitt del principio di autorità che deve prevalere sulla “pura legalità”.

Su questi basi Esposito giudica il dibattito italiano sulle riforme costituzionali inadeguato alla profondità del problema così come questo si presenta nell’incerta “modernità” che stiamo vivendo.

Una “modernità” contesa tra definitività della secolarizzazione e ritorno agli integralismi d’ogni tipo.

Ci troviamo così ben oltre il tema del bilanciamento dei poteri e del cortocircuito tra assetto costituzionale e sistema elettorale (che pure rappresenta un rischio che si corre tra deformazione costituzionale e Italikum).

Secondo Esposito e su questo punto si può davvero concordare, non si può ridurre la legittimità alla governabilità.

A essere in gioco è la relazione tra potere costituente e potere costituito.

Un punto che, nel ventennio dell’infinita “transizione italiana”, è stato fatto passare come il contrasto tra costituzione formale e costituzione materiale, da risolversi a vantaggio della costituzione “materiale” così come questa appariva saldata al principio presidenzialista.

Esposito conclude con quello che, almeno a giudizio di chi scrive, potrebbe essere considerato come un punto di partenza: “Esaurite le sue fonti tradizionali, la legittimazione non è un dato, ma un processo. Essa non serve solo a giustificare i significati già costituiti, ma anche a integrarli con le nuove esigenze che salgono dalla società”.

Da sinistra, allora, il NO alle deformazioni costituzionali non può che ripartire da questa idea della rilegittimazione e del recupero di senso e direzione etica e politica nel rapporto tra norme e valori.

Crisi economiche, innalzamento dei muri, terrorismi non debbono farci dimenticare che la crisi democratica nasce dell’interno stesso del sistema (come sostiene del resto lo stesso Esposito) e che la risposta che ci viene fornita è quella di un pauroso arretramento verso il restringimento della stessa prospettiva di costituzionalità della democrazia.

Non a caso, inizialmente, si era tentata la strada – addirittura – del plebiscito in funzione della legittimazione del regime.

La risposta della sinistra del “NO” deve essere quella proprio della democrazia costituzionale repubblicana, quella della “Repubblica che riconosce”, della centralità dei consessi elettivi e del parlamento in particolare.

Non possiamo però fermarci lì : avremo una campagna elettorale piena di “ingerenze umanitarie” che instilleranno dalle pagine dei giornali della City, della BCE, di Wall Street la paura della “instabilità”.

Bisogna saper affermare che l’instabilità sta dentro a questo sistema e non c’entra nulla con l’esito referendario.

Quella della democrazia “occidentale” è una crisi endemica che trova il suo costante alimento sul piano generale nell’arresto di un processo di globalizzazione fondato sulla crescita delle disuguaglianze e sulla guerra come espressione dell’allargamento dei confini di una presunta democrazia, mai come in questo caso maledettamente sottintesa.

Sul piano interno la crisi della democrazia nasce e si sviluppa nel collocarsi delle forze maggioritarie del sistema fuori dalla Costituzione come sta avvenendo da troppo tempo.

Soprattutto il recupero del rapporto tra norme e valori attraverso difesa e applicazione della Costituzione non può che essere un passaggio di avanzamento di un progetto di ripresa democratica.

Al momento dell’Assemblea Costituente l’idea – forza della sinistra era quella della democrazia progressiva.

“L’idea di uno Stato democratico avanzato basato sul riconoscimento non solo delle libertà e dei diritti politici, ma anche dei diritti sociali, della proprietà pubblica e cooperativa accanto alla proprietà privata, e della programmazione economica. Una democrazia liberale molto diversa da quella prefascista, aperta a trasformazioni di contenuto socialista (le "riforme di struttura") e alla possibilità che la classe operaia, mostratasi la più aderente all'interesse nazionale nella lotta al fascismo e nella guerra di liberazione, si affermasse come classe dirigente del paese.”

Il punto d’approdo della democrazia progressiva sul piano teorico stava però all’interno del concetto di egemonia . “Nel sistema egemonico, esiste democrazia tra il gruppo dirigente e i gruppi diretti, nella misura in cui lo sviluppo dell'economia e quindi la legislazione, che esprime tale sviluppo, favorisce il passaggio (molecolare) dai gruppi diretti al gruppo dirigente.» (Note sul Machiavelli – Gramsci)”.

Naturalmente sono questi esempi di riflessione “storica” e non certo proposizioni immediate, ma indicano il terreno politico – culturale sul quale muoverci per fornire un’identità al “NO” che non sia semplicemente collocata sull’immediatezza del politicismo di basso profilo così come questo viene avanti da parte dei proponenti delle deformazioni costituzionali in questione.

E’ necessario fornire una prospettiva di avanzamento della democrazia: serve anche distinguerci dal basso profilo di chi intende usare il referendum come semplice clava per i propri scopi di potere.

Una sinistra che dica NO proponendo un’aggregazione basata sul recupero della capacità indispensabile per riflettere sulla frattura tra norme e valori e quindi sulla crisi complessiva della democrazia liberale potrebbe rappresentare davvero un passo avanti rispetto alla palude nella quale ci stiamo trovando.

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