di Francesca La Bella
Provare ad analizzare la realtà libica non è mai semplice, ma nelle
ultime settimane, a seguito dell’avvio dei raid statunitensi contro lo
Stato Islamico a Sirte, la molteplicità di notizie ha reso ancor più
complicata l’osservazione.
Apparentemente, sembra, infatti, delinearsi
un quadro nel quale il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di
Fayez al Sarraj sta conquistando terreno a discapito sia dei gruppi
jihadisti sia degli altri attori nazionali grazie ad un vasto supporto
internazionale ed, in particolare, di Stati Uniti e Italia.
Sul fronte opposto, ma pur sempre in guerra contro le milizie del Califfato, troveremmo, invece, il
generale Khalifa Haftar e il governo di Tobruk che, radicati nella
regione della Cirenaica, avrebbero l’appoggio ufficiale dell’Egitto,
ufficioso della Francia ed “in fieri” della Russia.
Dopo più di cinque anni di guerra civile e le numerose evoluzioni che la questione libica ha subito viene
da chiedersi perché in questo momento le potenze occidentali, che a
lungo hanno scelto una linea di condotta attendista, mantenendo un
profilo di intervento celato, per quanto reale e incisivo, abbiano
scelto di rendere palese la loro presenza militare nel Paese.
La risposta non può essere né sicura, né univoca, ma diversi eventi
hanno indotto un mutamento di contesto che potrebbe, seppur
parzialmente, spiegare questo nuovo approccio alla vicenda libica.
A seguito della nomina del GNA ed al riconoscimento
dello stesso come unico governo legittimo, numerosi passi avanti sono
stati fatti da Sarraj per dare nuova linfa all’economia di esportazione
libica. Per quanto il raggiungimento di una esclusiva
ed effettiva capacità di controllo da parte del Gna della National Oil
Corporation libica (Noc), della Banca Centrale libica e dell’Autorità
libica per gli investimenti (Fondo sovrano libico-Lia) abbia consentito
al Governo di Tripoli di riattivare le relazioni economiche
internazionali, i deficit di sicurezza, l’offensiva dello Stato Islamico
contro i terminal petroliferi e le politiche indipendenti del governo
di Tobruk hanno, però, mitigato gli effetti positivi di questi
cambiamenti.
Ad oggi, invece, il contesto sembra sempre più favorevole a Sarraj e al suo governo. E’ notizia di pochi giorni fa la riapertura del porto di
Zueitina. Dopo che a inizio mese, nuovi scontri tra le Guardie
Petrolifere fedeli a Tripoli e l’esercito di Haftar, avevano indotto
ulteriori ritardi al riavvio della commercializzazione di petrolio, le
due fazioni sarebbero giunte ad un accordo. A tal proposito il
Noc avrebbe confermato di aver ricevuto il consenso di tutte le parti
interessate per l’ingresso nel terminal di Zueitina della nave greca
Nuova Hellas che, secondo gli accordi, dovrebbe trasportare circa
620.000 barili di petrolio verso la raffineria di Zawiya, per poi
completare l’operazione con alcuni carichi successivi.
Parallelamente la nomina di una
commissione ad interim per la gestione della Lia sembra aprire una nuova
fase anche in questo settore. Le dimissioni del presidente della Lia di
Tobruk Hassan Bouhadi e l’endorsement occidentale alla nuova strategia
di Sarraj sembrano, infatti, aver dato nuova legittimità all’organo che
gestisce i fondi sovrani (in parte ancora congelati) del Paese. L’istituzione
che detiene numerose partecipazioni anche all’estero (Finmeccanica,
Eni, Enel e Fiat Chrysler per citare solo le italiane) potrebbe, in
questo modo avere la possibilità di utilizzare, almeno parzialmente,
parte dei 67 miliardi del fondo per rilanciare gli investimenti del
Paese e garantire ai partner stranieri una maggiore solidità economica.
L’importanza della Libia come mercato
per l’Europa, sopratutto in ambito idrocarburi, è confermata da notizie
che, a prima vista, sembrano esulare da questo contesto. Ad agosto 2015
la scoperta del più grande giacimento di gas del Mediterraneo, Zohr, da
parte dell’italiana Eni al largo dell’Egitto, ha aperto nuove
opportunità di investimento per le imprese che, a seguito
dell’instabilità libica, avevano visto un calo delle proprie
esportazioni nell’area. Con un apertura prevista per il 2017,
l’amministratore delegato Eni, a inizio mese, avrebbe sottolineato il
ruolo fondamentale del giacimento per creare un ponte tra Egitto,
Israele, Cipro e, in futuro, Libia. Un affermazione molto
significativa sopratutto se si pensa che la stessa Eni sta valutando la
vendita del 40% della concessione ad una compagnia internazionale tra
l’italiana Edison, Total o British Petroleum (Bp) e che sia la compagnia
francese sia quella britannica hanno una consistente presenza in
territorio libico.
Anche in ambito geopolitico, nelle ultime settimane si è assistito ad una ridefinizione delle alleanze sul campo. A
fine luglio si sarebbe svolto al Cairo un incontro, sponsorizzato dal
governo degli Emirati Arabi Uniti tra Egitto e forze libiche che avrebbe
visto anche la presenza di rappresentanti francesi. Questo
meeting avrebbe avuto l’obiettivo di mediare tra Tripoli e Tobruk
chiedendo a Sarraj di modificare alcuni membri del suo Governo e
imponendo ad Haftar di concludere le proprie operazioni a Benghazi entro
un mese. Queste notizie, unite alla mancata condanna egiziana dei raid
statunitensi, ai quali si sono invece fermamente opposti Haftar e la
Russia, e alla ritirata delle forze francesi, ancora non confermata da
fonti ufficiali, da Benghazi verso Malta, potrebbero far pensare ad una
convergenza delle forze internazionali a favore di un reale governo di
unità nazionale.
In questo senso, se da un lato
il generale Haftar sembra essere sempre più isolato nel Paese e
l’appello alla Russia potrebbe essere percepito come un estremo
tentativo di trovare alleati in un contesto sfavorevole, la continua
ricerca di partner internazionali da parte di Sarraj mostra una
debolezza strutturale dello stesso Gna.
Secondo molti analisti, infatti, il
mancato investimento nella ricostruzione del Paese oltre alla percezione
che il GNA sia principalmente frutto di un’ingerenza internazionale,
indebolirebbero la legittimità popolare del governo e porrebbero una
seria questione di stabilità per il futuro del Paese. In quest’ottica,
le fratture che attraversano la Libia, se anche lo Stato Islamico
dovesse essere sconfitto, potrebbero riaffiorare con forza dando
legittimità ad una spartizione su base regionale del Paese. La
capacità delle forze occidentali di mutare le proprie alleanze a seconda
del contesto e la presenza fisica sul terreno libico, potrebbe, però,
consentire loro di preservare le proprie aree di influenza nonostante la
dissoluzione della Libia come Stato unitario.
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