di Michele Giorgio – Il Manifesto
Ahmad Mansour se l’è vista brutta negli ultimi anni.
All’inizio del 2011, dopo aver firmato una petizione che chiedeva
riforme democratiche ai ricchi regnanti di Dubai, Abu Dhabi e degli
altri Emirati, fu travolto da una campagna diffamatoria online
orchestrata dall’apparato di sicurezza. Twitter, Facebook, televisione e
radio diffusero informazioni false su di lui. Lo fecero passare per un
degenerato nemico dello Stato. Poi ad aprile venne incarcerato per quasi otto mesi per aver “insultato i governanti”. Infine a novembre fu condannato a tre anni
per lo stesso “reato”. Le proteste internazionali lo salvarono dalla
prigione. Da allora Mansour prosegue, tra mille ostacoli e minacce, la
sua attività a difesa dei diritti umani. Sa che i servizi di
sicurezza lo tengono costantemente sotto controllo. Così quando qualche
settimana fa ha ricevuto un sms sospetto con l’invito a cliccare su un
link, ha deciso di rivolgersi al Citizen Lab (un gruppo di esperti di
sicurezza dell’Università di Toronto). Un eccesso di cautela che si è rivelato provvidenziale.
Se avesse cliccato quel link, gli hanno spiegato, il suo
iPhone 6, grazie a uno spyware (un programma di spionaggio), sarebbe
diventato uno strumento perfetto per sorvegliarlo in tutto: gli
spostamenti, i messaggi inviati e ricevuti, le telefonate. E, sorpresa tra le sorprese, dietro
allo spyware utilizzato dalla polizia politica degli Emirati per
tenerlo sotto controllo, c’è il Nso Group, una società israeliana
specializzata nella vendita di software spia che impiega ex membri
dell’unità 8200 dell’intelligence militare incaricata di intercettare le
comunicazioni elettroniche: email, social network e telefonate. Lo scopo principale della 8200, ha scritto in passato la stampa israeliana, è
quello di «controllare ogni aspetto della vita dei palestinesi». Registra qualsiasi dettaglio «dannoso» alle loro vite – preferenze
sessuali, problemi finanziari, malattie e relazioni extraconiugali – per
servirsene, a tempo debito, «per estorcere o ricattare le persone».
Tra le telefonate intercettate con più regolarità ci sarebbero proprio
quelle a sfondo sessuale. «Nell’intelligence i palestinesi non hanno
alcun diritto – spiegò Nadav, un sergente al quotidiano britannico Guardian,
dopo il dissenso espresso due anni fa da 43 membri dell’unità 8200 –
Non è come per i cittadini israeliani che, se si vogliono raccogliere
informazioni su di loro, è necessario andare in tribunale». I dati
raccolti servono in molti casi a far diventare determinate persone spie
dell’occupante, minacciando di rivelare fatti personali delicati.
L’attivista degli Emirati Mansour perciò doveva diventare un
libro aperto e ricattabile per i suoi controllori e la Nso ha messo a
disposizione dei servizi di sicurezza degli Emirati, ufficialmente
ancora “nemici” di Israele, il software giusto, Pegasus. Il mondo è
rimasto all’oscuro per settimane. I possessori di un iPhone o di un iPad
hanno installato su suggerimento della Apple un aggiornamento di
emergenza, iOS 9.3.5, senza sapere che risolve tre punti deboli,
sfruttati da Pegasus, del sistema operativo del gigante di Cupertino.
La vicenda di Mansour e la vulnerabilità nel sistema di sicurezza
della Apple hanno acceso i riflettori su questo settore dell’economia
israeliana che viaggia a gonfie vele. Il Nso Group, con sede a
Herzliya – ora di proprietà della società statunitense Francisco Partners
Management – opera in completa segretezza. Non ha nemmeno un sito web
ed è una delle 27 società di sorveglianza elettronica con sede in
Israele, secondo i dati contenuti in un recente rapporto della Ong
britannica Privacy International. In Israele la percentuale di tali imprese è dello 0.33 ogni 100.000 persone (negli Stati Uniti è dello 0.04.).
Tutte queste società affermano di lavorare contro il crimine e il
terrorismo. Parole magiche di questi tempi, specie perché arrivano da
Israele indicato come “modello di sicurezza” dall’Europa e dagli Usa
mentre gli attivisti dei diritti umani lanciano l’allarme sulla scarsa
attenzione nei confronti dell’abuso di tale tecnologia da parte di
governi che intendono colpire oppositori e dissidenti.
Le competenze di Israele derivano in parte dal suo esercito che investe generosamente nella cosiddetta cyberguerra. L’unità 8200 è considerata un laboratorio per le future start-up.
Dopo aver lasciato il servizio militare, i suoi membri sfruttano le
loro conoscenze per fondare aziende o per farsi assumere da quelle
esistenti, più di 300, che per la maggior parte producono programmi per
proteggere le istituzioni pubbliche dagli attacchi informatici. «Il 10
per cento di queste aziende invece lavora a tecnologie che consentono
l’infiltrazione dei sistemi informatici», spiega Daniel Cohen, esperto
israeliano di cyberguerra. Secondo Privacy International, tali
imprese hanno fornito la tecnologia per monitorare Internet e la
telefonia mobile alla polizia segreta in Uzbekistan e Kazakhstan, così
come alle forze di sicurezza colombiane, Trinidad e Tobago, Uganda,
Panama e Messico.
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