Più che il paradiso per i consumatori finora la cosiddetta “sharing economy” (termine usato per indicare una vasta gamma di fenomeni che pero’ non hanno molto in comune) ha rappresentato un paradiso per i padroni. Contratti ultraprecari, paghe basse, licenziamento facilissimo: questa la realtà per i lavoratori di aziende come Uber, la ditta statunitense che fornisce un servizio alternativo di taxi, il tutto tramite una app per il telefonino.
Condizioni lavorative a cui sembrava difficile ribellarsi, per l'appunto a causa della grande precarietà dei contratti offerti da queste aziende, che rendono molto facile alle imprese licenziare i riottosi. Ad Uber basta “disconnettere” un autista dal suo sistema per liberarsi di lui.
Da alcune settimane però arrivano notizie più incoraggianti dall'Europa, nel caso specifico da Londra.
Prima notizia: uno sciopero selvaggio durato una settimana dei lavoratori di Deliveroo, un’azienda che offre servizi di consegna, è terminato martedì 16 agosto con una vittoria per gli autisti. Il servizio di Deliveroo funziona tramite una app: il cliente va sul sito internet, sceglie un ristorante nei dintorni e invia l'ordine. L'idea, quindi, è molto simile a quella dell’azienda italiana Pizzabo.
La differenza però è che gli autisti non sono impiegati dei ristoranti ma lavorano per l'azienda Deliveroo con un contratto di lavoro autonomo "zero hours" (a zero ore), usano i propri mezzi (bici e moto) pagando di tasca propria ogni riparazione, non hanno la malattia coperta (neanche per un infortunio avvenuto durante il lavoro) e l'azienda non paga contributi.
Allo stesso modo operano Uber e molte altre aziende che costituiscono la cosiddetta "sharing economy", ma che sarebbe molto meglio chiamare "gig economy" (economia basata sul lavoro a cottimo o a "gig"). Deliveroo è nata a Londra nel 2013 e ha aperto successivamente operazioni in molte altre città. Nel 2015 è stata valutata per 600 milioni di dollari. Attualmente ha circa 3.000 autisti a Londra.
Gli autisti della Deliveroo fino a quest'estate venivano pagati 7 sterline l’ora, più una sterlina per ogni consegna. Non molto, considerando che la media per un autista è di due consegne all’ora e che le riparazioni e l'assicurazione venivano pagati dai lavoratori. Il minimo legale in Gran Bretagna è stato recentemente aumentato a 7.20 sterline l’ora (sopra i 25 anni), ma il 'living wage’ per Londra, cioè il minimo orario che serve per vivere una vita dignitosa nella capitale (dove il costo della vita è assai più alto rispetto al resto del paese), è di 9.40 sterline. Il living wage, pero’, è indicativo e non è obbligatorio per legge adeguare ad esso le paghe, nonostante una forte campagna che chiede l'introduzione dell'obbligo di pagarlo.
Quest'estate l'azienda ha annunciato cambiamenti nei contratti degli autisti in alcune zone della città che avrebbero comportato un peggioramento significativo nelle loro condizioni di lavoro, vincolando la paga oraria al numero di consegne eseguite; quindi passando da un contratto a zero ore a una retribuzione a cottimo. L'azienda voleva dare 3.75 sterline a consegna comportando una riduzione significativa nella retribuzione dei facchini, precipitata sotto il minimo legale (che però è consentito in quanto gli autisti lavorano con contratto autonomo). Rivendicando la decisione, l'azienda ha detto che stava cercando di dare ai suoi lavoratori “più flessibilità e la libertà di scegliere.”
Quando gli autisti, in gran parte non sindacalizzati, hanno sentito le proposte hanno cominciato a discuterne fra di loro e da queste discussioni è emersa la volontà di organizzarsi contro il nuovo contratto. Ci sono qui particolari importanti da sottolineare: diversamente da Uber, gli autisti di Deliveroo hanno dei punti di incontro, dove possono chiacchierare con altri colleghi e scambiarsi i numeri di telefono. Potrebbe anche essere significativo il fatto che i lavoratori di Deliveroo si riconoscono facilmente tra loro perché indossano la stessa uniforme e spesso si incontrano per strada tra una consegna e l’altra.
Hanno così cominciato uno sciopero selvaggio che è riuscito ad avere molta visibilità e supporto, raccogliendo anche più di 10.000 sterline di fondi donati da solidali per coprire i pagamenti persi. Dopo una settimana l'azienda ha ceduto. Il nuovo contratto non sarà più obbligatorio per le determinate zone ma volontario e quei contratti peggiorativi che erano stati firmati non hanno più validità. Una sconfitta, quindi, per la logica del 'gig economy'.
Nel frattempo Uber dopo i taxi si è lanciata sulla consegna del cibo, lanciando proprio a Londra UberEats, la sua piattaforma di consegna pensata per rivaleggiare con Deliveroo. Inizialmente la società statunitense aveva lanciato un'offerta contrattuale vantaggiosa per strappare autisti ai concorrenti: 100 sterline alla firma del contratto e 20 sterline di paga oraria. Peccato che nei mesi successivi UberEats abbia ridotto la paga per 4 volte e abbia cambiato anche la modalità di paga, passando dal salario orario a quello a cottimo (3.22 sterline per consegna). Come scrive il sito inglese Novaramedia, un accordo perfino peggiore di quello proposto da Deliveroo, anche perché in questo caso la gran parte dei costi sono a carico dei lavoratori e non gli è garantita nessuna assicurazione.
E così, seguendo l'esempio dei loro colleghi di Deliveroo, anche gli autisti di UberEats hanno scioperato, chiedendo di ricevere un salario almeno pari al “living wage” londinese, insieme al rimborso dei costi. L'azienda ha risposto “deattivando” (ossia licenziando) Imran Siddiqui, il portavoce eletto dai lavoratori, ma questo non ha fermato le proteste degli autisti, che almeno in parte si stanno organizzando tramite il sindacato United Voices of the World (mentre i lavoratori di Deliveroo sono stati supportati dal sindacato Independent Workers of Union). La partita, insomma, è ancora aperta.
In generale, come sottolinea il quotidiano britannico Telegraph, lo sciopero dei lavoratori Deliveroo (così come di quelli di UberEats) ha dimostrato che questo tipo di impresa non può che basarsi sullo sfruttamento estremo dei lavoratori, visto che i margini di profitto potenziali sono estremamente bassi.
Joe Haynis su Novaramedia sottolinea i 3 punti deboli delle imprese della “gig economy” che i lavoratori di UberEats e di Deliveroo hanno evidenziato con le loro lotte.
Primo: la tecnologia degli smartphone, che Uber e Deliveroo usano per il proprio modello di business, permette anche ai lavoratori di organizzarsi, scambiandosi informazioni simultaneamente.
Secondo: il fatto che gli autisti non siano lavoratori dipendenti ma autonomi significa che ad essi non si applica nessuna delle varie leggi anti sindacali varate in Gran Bretagna negli ultimi decenni. Questo significa che possono interrompere il lavoro e scioperare quando vogliono. Il caso del portavoce licenziato dimostra però anche quanto sia facile per un'impresa come Uber licenziare i lavoratori, senza che vi sia nessuna legge che la obblighi a riassumerli.
Terzo e ultimo: i lavoratori sono molto arrabbiati e stanno imparando come far male ai padroni: a causa dello sciopero alcuni ristoranti hanno dovuto chiudere il servizio di consegna tramite UberEats, provocando un danno di migliaia di sterline all'azienda.
Lungi dall'essere la dimostrazione di una presunta radicalità del lavoratore precario, questi episodi di lotta dimostrano però che quando i livelli di sfruttamento diventano troppo alti il capitale si trova davanti ad una resistenza dei lavoratori.
Una lezione da tenere a mente per il futuro, visto che questa economia a cottimo è in continua espansione.
Marion Jones e Panofsky
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