Di fronte a catastrofi di questa portata (al momento in cui scrivo i morti sfiorano i 250! E molti sono bambini) riesce difficile dire qualsiasi cosa.
Le vite perdute, le sofferenze di chi resta e ha perso tutto: parenti, amici, casa, ambiente sociale, le distruzioni dei beni artistici sono cose che tolgono la voglia di dire ogni parola. Quel che più pesa è il senso di impotenza nell’aiutare chi è rimasto. Certo: donare sangue, sottoscrivere, anche cercare in qualche modo di partecipare ai soccorsi (ma con cautela per non essere più di impiccio che di aiuto), ma è poco, disperatamente poco rispetto all’entità della tragedia.
Eppure dobbiamo forzarci e fare l’unica cosa possibile: capire perché questo paese resta maledettamente indifeso rispetto a catastrofi naturali inevitabili, ma che possono essere limitate nei loro effetti, mentre questo non avviene.
“L’Aquila non ha insegnato niente”: questo il titolo, per una volta condivisibilissimo, dell’Huffington Post. La prevenzione resta totalmente assente.
Il terremoto ha preso tutto di sorpresa? Malissimo, vuol dire che la necessaria opera di monitoraggio è stata fatta con i piedi ed in una zona notoriamente sismica. Non esistono terremoti che non hanno avvisaglie e sbucano all’improvviso.
Questa volta a colpire è il livello molto alto del centro del sisma, sono a 4 km di profondità e vogliamo spiegazioni su questo. Poi, al solito, la Protezione civile che funziona male ed in ritardo.
Di questo deve rispondere in primo piano l’autorità politica centrale e locale. Lasciamo passare i giorni del lutto, ma dopo i conti occorrerà farli. Vogliamo sapere perché il sistema di controllo geologico funziona così male, perché non si è fatto nulla per realizzare misure di prevenzione e consolidamento del patrimonio immobiliare, perché la protezione civile è questo pachiderma così poco funzionale.
Ma, per ora, la solidarietà umana con i sopravvissuti ed il lutto per quelli che non ci sono più prevale su tutto. Questi sono i giorni del dolore, dopo verranno quelli dell’ira.
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