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30/08/2016

Debito pubblico e Pil come previsto, ma la questione centrale è un’altra

Pil stagnante e debito pubblico ai massimi storici. Nessuna delle due notizie dovrebbe sorprendere nessuno, perché tutto era ampiamente previsto e prevedibile. Ci sono stati interventi congiunturali, montati da una campagna mediatica, che non avevano caratteristiche di veri interventi strutturali e non potevano avere che una efficacia momentanea.

Qui non ne usciamo con queste furbate da avvocato di paese, i problemi vanno affrontati alla radice ed il discorso è sgradevole ma semplice: con una pressione fiscale che supera di slancio il 50% non si va da nessuna parte e non c’è ripresa possibile; ma la pressione fiscale è inevitabile perché la nostra spesa pubblica è altamente anelastica e si mette in moto un circolo vizioso: se le tasse restano alte, i consumi si abbassano e le aziende chiudono, di conseguenza abbiamo un gettito fiscale più ridotto perché ci sono meno occupati, bisogna tappare la falla del minore gettito e fare ricorso a nuove emissioni di debito su cui, poi, bisognerà pagare interessi per cui bisognerà inasprire la pressione fiscale o emettere altri titolo di debito, non si scappa, ed il ciclo ricomincia.

Si, è vero che da diversi anni registriamo un avanzo primario, ma poi la crescita del peso degli interessi (che ormai ammontano ad oltre 80 miliardi l’anno) manda tutto a gambe all’aria. Il tutto aggravato da una moneta che sembra fatta apposta per comprimere e distruggere l’economia italiana: sfavorisce le esportazioni e non consente di svalutare il debito.

Tirare la cinghia? Ma da 5 anni non stiamo facendo altro e questi sono i risultati. Il governo Monti, entusiasticamente sostenuto dal Pd di Bersani, ci riempì di tasse per far calare il debito, risultato: trovò un debito al 119% del Pil e lo lasciò al 132%. Poi venne il governo Pd di Letta che insistette sulla stessa linea ad il debito crebbe, poi il governo Renzi che, mance a parte, mantenne sostanzialmente la stessa pressione fiscale e questo è il risultato. Anche se va detto che l’attuale legge di stabilità segna un intervento positivo sull’Irap. Non è il solo Renzi il responsabile di questa situazione, ma tutto il Pd che sta distruggendo questo paese.

Ma cosa si potrebbe fare di diverso? La prima soluzione da adottare è far crollare la pressione fiscale di colpo e non emettere altro debito. Come fare? La scelta è semplice: ristrutturare il debito ora con un haircut o fare default fra qualche anno (e nemmeno tanti anni). Ora bisogna trattare con i creditori ottenendo la riduzione dei tassi e la dilazione dei pagamenti. Ma perché i debitori dovrebbero accordarci le due cose? Risposta: perché gli conviene.

Un default mette nei pasticci il debitore, siamo d’accordo, ma mette in guai più grossi il creditore che improvvisamente potrebbe trovarsi lui in condizioni di insolvenza. Quello italiano è il terzo debito del mondo che ormai veleggia verso i 2.500 miliardi di dollari, se l’Italia dichiara default, in primo luogo salta in aria l’Euro e, con esso, la Ue, in secondo luogo una bella serie di banche, non solo italiane, ma anche tedesche, olandesi, francesi si riducono in braghe di tela ed alcune devono semplicemente dichiarare fallimento, con l’ulteriore conseguenza che anche altre banche (penso, per esempio, al Banco di Santander o alle più importanti fra quelle inglesi) si troverebbero nelle stesse condizioni, a catena, perché i loro crediti presso le banche fallite sarebbero inesigibili e via di questo passo in un crescente effetto domino.

Ma si potrebbe intervenire emettendo subito liquidità per frenare l’ondata di fallimenti. Mica tanto facile: in primo luogo, se salta l’euro non c’è neppure una Bce a poterlo fare e non sarebbe facilissimo trovare un accordo fra le banche centrali dei singoli paesi europei per metterci una pezza. Poi c’è il problema delle dimensioni del debito: 8 anni fa, quando partì la crisi dei mutui subprime, il Piano Paulson intervenne con 700 miliardi di dollari e, sei mesi dopo, Obama dovette mettercene altri 900. Qui si tratta di tappare un buco di 2.500 miliardi di dollari circa ed in una situazione in cui non c’è ancora una ripresa mondiale dalla crisi del 2008 e c’è una banca centrale cinese in affanno che difficilmente potrebbe mettere sul piatto i 680 miliardi di dollari del dicembre 2008. Insomma ne verrebbe fuori un cataclisma finanziario al cui confronto la crisi del 1929 (o quella attuale) sarebbero un passeggero mal di pancia.

E, dunque, molto più ragionevole sarebbe il consolidamento di almeno un terzo del debito a 20-30 anni con interessi nominali all’1%. Vice versa, i nostri creditori cercherebbero la via greca: “dateci le aziende pubbliche, gli immobili, i monumenti, le opere d’arte, i porti, le autostrade ecc. in pagamento degli interessi ed andiamo avanti per un po’”. Ed il Pd, servo dei servi della finanza, sarebbe pronto a svendere il paese. Anche per questo è vitale far cadere il Pd, spedirlo all’opposizione e, possibilmente, frantumarlo, sostituendolo con un governo di salvezza nazionale che tratti con l’adeguata durezza con i creditori per ottenere la ristrutturazione del debito.

Una linea rischiosa? Certo, ma l’alternativa è solo il default matematico dopo aver svenduto tutto quello che potrebbe servire alla ripresa economica del paese. E con chi fare il governo di salvezza nazionale? Con chi ci sta.


L'analisi della situazione debitoria italiana fatta da Giannuli è condivisibile, on mi convince giusto l'automatismo per cui una pressione fiscale inferiore sulle imprese rilancerebbe automaticamente il PIL. Se di pari passo non venissero rilanciati anche i salari, non si vedrebbe alcuna ripresa dei consumi con annessa crescita del PIL.

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