Pil stagnante e debito pubblico ai massimi storici. Nessuna delle due notizie
dovrebbe sorprendere nessuno, perché tutto era ampiamente previsto e
prevedibile. Ci sono stati interventi congiunturali, montati da una
campagna mediatica, che non avevano caratteristiche di veri interventi
strutturali e non potevano avere che una efficacia momentanea.
Qui non ne usciamo con queste furbate da avvocato di paese, i problemi vanno affrontati alla radice ed il discorso è sgradevole ma semplice: con una pressione fiscale che supera di slancio il 50% non si va da nessuna parte e non c’è ripresa possibile; ma la pressione fiscale è inevitabile perché la nostra spesa pubblica è altamente anelastica e si mette in moto un circolo vizioso: se le tasse restano alte, i consumi si abbassano e le aziende chiudono, di conseguenza abbiamo un gettito fiscale più ridotto perché ci sono meno occupati, bisogna tappare la falla del minore gettito e fare ricorso a nuove emissioni di debito su cui, poi, bisognerà pagare interessi per cui bisognerà inasprire la pressione fiscale o emettere altri titolo di debito, non si scappa, ed il ciclo ricomincia.
Si, è vero che da diversi anni
registriamo un avanzo primario, ma poi la crescita del peso degli
interessi (che ormai ammontano ad oltre 80 miliardi l’anno) manda tutto a
gambe all’aria. Il tutto aggravato da una moneta che sembra fatta
apposta per comprimere e distruggere l’economia italiana: sfavorisce le
esportazioni e non consente di svalutare il debito.
Tirare la cinghia? Ma
da 5 anni non stiamo facendo altro e questi sono i risultati. Il governo
Monti, entusiasticamente sostenuto dal Pd di Bersani, ci riempì di
tasse per far calare il debito, risultato: trovò un debito al 119% del
Pil e lo lasciò al 132%. Poi venne il governo Pd di Letta che insistette
sulla stessa linea ad il debito crebbe, poi il governo Renzi che, mance
a parte, mantenne sostanzialmente la stessa pressione fiscale e questo è
il risultato. Anche se va detto che l’attuale legge di stabilità segna
un intervento positivo sull’Irap. Non è il solo Renzi il responsabile di
questa situazione, ma tutto il Pd che sta distruggendo questo paese.
Ma cosa si potrebbe fare di diverso?
La prima soluzione da adottare è far crollare la pressione fiscale di
colpo e non emettere altro debito. Come fare? La scelta è semplice:
ristrutturare il debito ora con un haircut o fare default fra qualche
anno (e nemmeno tanti anni). Ora bisogna trattare con i creditori
ottenendo la riduzione dei tassi e la dilazione dei pagamenti. Ma perché
i debitori dovrebbero accordarci le due cose? Risposta: perché gli
conviene.
Un default mette nei pasticci il
debitore, siamo d’accordo, ma mette in guai più grossi il creditore che
improvvisamente potrebbe trovarsi lui in condizioni di insolvenza.
Quello italiano è il terzo debito del mondo che ormai veleggia verso i
2.500 miliardi di dollari, se l’Italia dichiara default, in primo luogo
salta in aria l’Euro e, con esso, la Ue, in secondo luogo una bella
serie di banche, non solo italiane, ma anche tedesche, olandesi,
francesi si riducono in braghe di tela ed alcune devono semplicemente
dichiarare fallimento, con l’ulteriore conseguenza che anche altre
banche (penso, per esempio, al Banco di Santander o alle più importanti
fra quelle inglesi) si troverebbero nelle stesse condizioni, a catena,
perché i loro crediti presso le banche fallite sarebbero inesigibili e
via di questo passo in un crescente effetto domino.
Ma si potrebbe intervenire emettendo
subito liquidità per frenare l’ondata di fallimenti. Mica tanto facile:
in primo luogo, se salta l’euro non c’è neppure una Bce a poterlo fare e
non sarebbe facilissimo trovare un accordo fra le banche centrali dei
singoli paesi europei per metterci una pezza. Poi c’è il problema delle
dimensioni del debito: 8 anni fa, quando partì la crisi dei mutui
subprime, il Piano Paulson intervenne con 700 miliardi di dollari e, sei
mesi dopo, Obama dovette mettercene altri 900. Qui si tratta di tappare
un buco di 2.500 miliardi di dollari circa ed in una situazione in cui
non c’è ancora una ripresa mondiale dalla crisi del 2008 e c’è una banca
centrale cinese in affanno che difficilmente potrebbe mettere sul
piatto i 680 miliardi di dollari del dicembre 2008. Insomma ne verrebbe
fuori un cataclisma finanziario al cui confronto la crisi del 1929 (o
quella attuale) sarebbero un passeggero mal di pancia.
E, dunque, molto più ragionevole sarebbe
il consolidamento di almeno un terzo del debito a 20-30 anni con
interessi nominali all’1%. Vice versa, i nostri creditori
cercherebbero la via greca: “dateci le aziende pubbliche, gli
immobili, i monumenti, le opere d’arte, i porti, le autostrade ecc. in
pagamento degli interessi ed andiamo avanti per un po’”. Ed il Pd,
servo dei servi della finanza, sarebbe pronto a svendere il paese. Anche
per questo è vitale far cadere il Pd, spedirlo all’opposizione e,
possibilmente, frantumarlo, sostituendolo con un governo di salvezza
nazionale che tratti con l’adeguata durezza con i creditori per ottenere
la ristrutturazione del debito.
Una linea rischiosa? Certo, ma
l’alternativa è solo il default matematico dopo aver svenduto tutto
quello che potrebbe servire alla ripresa economica del paese. E con chi fare il governo di salvezza nazionale? Con chi ci sta.
L'analisi della situazione debitoria italiana fatta da Giannuli è condivisibile, on mi convince giusto l'automatismo per cui una pressione fiscale inferiore sulle imprese rilancerebbe automaticamente il PIL. Se di pari passo non venissero rilanciati anche i salari, non si vedrebbe alcuna ripresa dei consumi con annessa crescita del PIL.
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