Cari compagni,
come potete facilmente indovinare, sono dalla vostra parte, senza alcuna riserva, nella polemica che vi oppone al Pd e sento il dovere di dirlo apertamente. Ma non vi scrivo solo di questo: siamo
in un momento decisivo per le sorti della nostra democrazia e le scelte
che ciascuno di noi farà peseranno per molto tempo sul tipo di paese
che verrà fuori da tutto questo. E, quindi, conviene esser franchi ed
andare alla sostanza dei problemi.
Spero non ve la prendiate se inizio da
un rilievo critico: nella generosissima battaglia dell’Anpi in difesa
della Costituzione repubblicana, si avverte, però, una reticenza che
riguarda il giudizio sul Pd. Si esita a dire una cosa che è sotto gli
occhi di tutti: che il Pd è un partito di destra, dunque non è un possibile alleato, ma un nemico da battere.
Certo: lo so anche io che nella sua base
ci sono migliaia di militanti di sinistra che, in perfetta buona fede
pensano (si illudono) di militare ancora in un partito di sinistra, ma
ogni giorno la realtà li smentisce duramente.
L’abolizione dell’art 18, il jobs act,
l’appiattimento sugli Usa nelle avventure mediorientali, la “riforma”
della “buona scuola” ed ora questa riforma di evidente marca gelliana
della Costituzione, cosa sono? Sono forse politiche di sinistra?
L’insofferenza nei riguardi dell’Anpi, per non dire della rudezza di toni usati con la Cgil,
non vengono dal nulla, sono il riflesso epidermico della mutazione
genetica di quel che fu il Pci nell’attuale partito di destra. Una
mutazione generica di cui Renzi è solo il precipitato finale, ma non
l’intero processo. La scelta risale al 1989 con lo sciagurato appoggio
alla riforma maggioritaria del sistema elettorale, punto di partenza
dell’attacco ad una Costituzione che aveva nel sistema proporzionale la
sua principale garanzia. Poi è venuto tutto il resto, dall’ormai
dimenticato “pacchetto Treu” che dava avvio alla demolizione del diritto
del lavoro prodotto dalle lotte degli anni settanta alla disastrosa
politica fiscale di Monti – entusiasticamente appoggiata dal Pd di
Bersani – che ha precipitato il paese in una stagnazione dalla quale non
ci stiamo risollevando.
Certo, ripeto, ci sono moltissimi
militanti ed elettori che hanno ingoiato tutto nell’illusione che
fossero i necessari ripiegamenti tattici pera andare o restare al
governo, le inevitabili concessioni ad un tempo ostile, superato il
quale, il partito riprenderà sicuramente la sua ispirazione originaria. Illusioni dettate forse dal sentimento o forse da un’intima codardia di
fronte ad una situazione che, al contrario, richiede molto coraggio per
intraprendere strade radicalmente nuove. Il Pd è un partito che si regge
su questo inganno, le sue fortune si basato sulla consistente quota di
elettori di sinistra che abboccano a questo amo.
Non denunciare la natura di
destra del Pd, il non chiamare le cose con il loro nome, serve solo a
mantenere questo inganno di cui si finisce per diventare complici.
E qui c’è un addebito da fare all’Anpi:
troppo tardi vi siete decisi a separare il vostro cammino da quello del
Pd (anzi, è stato più il Pd a separare il suo cammino dal vostro e a
farlo nel modo rozzo che è gli è proprio); a troppi appuntamenti l’Anpi è
mancata, dal referendum contro il proporzionale del 1993 in poi. Ma
c’era la giustificazione di una trasformazione non ancora ultimata, la
speranza di una inversione di marcia. Ora questo alibi non c’è più ed il
Pd si manifesta in pieno nel suo definitivo approdo politico che lo
colloca a destra di Forza Italia, che mai osato di tentare quello che
Renzi ha fatto.
L’Anpi ha, con l’Arci e la Cgil, la
massima concentrazione di militanti che, magari non hanno più in tasca
la tessera di un partito, ma non hanno rinunciato, per questo, a
battersi per i valori che hanno sempre ispirato la sinistra, ma ha una
autorevolezza particolare che gli viene dalla sua storia.
Spetta dunque all’Anpi prendere
l’iniziativa di promuovere un rassemblement del popolo di sinistra oggi
disperso fra le più diverse collocazioni elettorali. La
battaglia per la difesa della Costituzione non finirà il 28 novembre,
continuerà qualunque sia l’esito del referendum. L’Anpi potrebbe essere
il punto di riferimento intorno a cui raccogliersi per proseguire, ma
questo richiede chiarezza di posizioni e decisione politica nel rompere
definitivamente con chi non ha più nulla da spartire con la sinistra e
con la memoria della Resistenza.
L’Anpi deve scegliere se essere
l’inutile celebratore del 25 aprile e delle varie ricorrenze rituali, o
essere un soggetto politico vivo che si batte ancora oggi per i valori
della Resistenza.
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