Cari amici, in morte di Nolte, su cui si sono letti diversi articoli sui vari quotidiani (interessante quello di Antonio Carioti sul Corriere della Sera) permettetemi di proporvi queste pagine che gli dedicavo nel mio “Abuso pubblico della storia” Guanda 2009. A.G.
Insieme a Furet ed a Renzo De Felice (di
cui parleremo nel contesto italiano) Ernst Nolte è (stato) il maggior
referente del revisionismo storiografico europeo. Allievo di Martin
Heiddegger, raggiunse la fama internazionale nel 1963 con “Der Faschismus in seiner Epoche” ,
uno dei primi studi comparati sul fascismo dedicato, oltre che al
fascismo italiano, al nazismo ed all’Action Francaise di Charles
Maurras. Il libro era costruito intorno ad una intuizione: pur
nella profonda diversità dei casi nazionali, il fascismo è stato un
fenomeno epocale tendenzialmente unitario, caratterizzato da
una contaminazione di elementi ideologici nazionalisti con elementi
socialisti e destinato ad avere successo solo nei contesti in cui operi
un forte movimento marxista.
Nolte proseguì lungo questa linea di
ricerca per circa un ventennio, pervenendo gradualmente a conclusioni
assai divergenti dalla storiografia corrente in materia di nazismo.
Abbiamo già ricordato l’Historikerstreit che, a metà degli
anni ottanta, lo vide impegnato sul tema della “colpa” del popolo
tedesco per l’olocausto ed i crimini nazisti. La sua ricerca culminò nel saggio sulla guerra civile europea
nel quale spiegò il fascismo come reazione alla rivoluzione russa,
individuando nell’antibolscevismo il vero nucleo centrale del pensiero
nazionalsocialista. Lungo questo indirizzo, Nolte perveniva alla
conclusione che i crimini nazisti erano da relativizzare in quanto da
porre in relazione a quelli del comunismo: il gulag sarebbe una sorta di
prius del lager.
Nolte si spinge molto più in là di Furet nel teorizzare la continuità fra giacobinismo e bolscevismo,
risalendo man mano agli anabattisti di Tommaso Muntzer, alle
jacqueries, alle rivolte degli schiavi come Spartaco, persino ad alcune
pagine della Bibbia. E’ quello che definisce “l’eterna sinistra” che
identifica con un atteggiamento sostanzialmente pauperista incapace di
comprendere che la diseguaglianza sociale è la base del progresso civile
(e qui è evidente la parentela ideologica con l’individualismo
proprietario di Burke). E, dunque, i bolscevichi sono proposti come
antagonisti della civiltà europea ed assimilati all’islamismo (come
peraltro Burke aveva assimilato i giacobini all’islamismo). E’ curioso
notare che, invece, Pipes fa l’operazione contraria facendo discendere
l’ Islam radicale da Lenin.
Di rilievo, nel modello esplicativo
noltiano è la caratterizzazione dell’ottobre russo come rivoluzione non
partecipata, essendosi trattato sostanzialmente di un colpo di stato con
una base assai esigua di consenso, che, in qualche modo, poneva le
premesse per la successiva repressione. Stranamente, questo stesso
carattere di rivoluzione non partecipata non è individuato nella
rivoluzione inglese del 1689 che, invece, è indicata una volta di più
come modello positivo.
Nolte riprende da Schmitt la
nozione di “nemico assoluto” riferendola all’appello di Lenin sulla
trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria che
avrebbe dato il via alla guerra civile europea.
Giustamente, Losurdo fa notare che anche
le potenze occidentali rivolsero frequenti appelli al popolo tedesco
ad insorgere contro il proprio governo – accusato di essere assolutista e
sanguinario – ed il presidente Woodrow Wilson presentò l’entrata in
guerra degli Usa come una crociata per la democrazia e la liberazione di
tutti i popoli “compreso quelli germanici”. Ed, infatti, la propaganda
degli imperi centrali insistette molto sul tema della “congiura
internazionale massonica” ai propri danni. Peraltro, il debito
intellettuale di Nolte verso Schimitt si evidenzia anche nel concetto di
“guerra civile fredda” che si sarebbe conclusa con il 1989 .
Come nel caso di Furet, anche Nolte manifesta una notevole disinvoltura metodologica
sulla quale non è inutile soffermarsi. A proposito del tema della
rivoluzione mondiale, osserviamo che si trattò del progetto di Lenin e
Trotzkj che pensavano la situazione matura per la vittoria
rivoluzionaria nell’Europa occidentale – soprattutto in Germania – nel
giro di pochi anni. Non è questa la sede per entrare nel merito della
fondatezza di quella ipotesi e delle ragioni del suo insuccesso, di
fatto essa andò rapidamente incontro alla sconfitta e, già nell’ottobre
1923, con il fallimento dell’ “ottobre tedesco”, usciva definitivamente
di scena. Dopo un brevissimo interludio durato meno di due anni, la
prospettiva della rivoluzione mondiale venne abbandonata dai comunisti
russi – salvo che per il maldestro tentativo cinese del 1927 – e gli
interessi del nuovo stato sovietico si affermarono come prevalenti e,
per riflesso, l’Internazionale Comunista ed i suoi partiti divennero una
appendice della politica estera sovietica. Come comprese subito
Trotzkj, il “socialismo in un solo paese” non era la momentanea
accettazione di uno stato di fatto sfavorevole, ma il definitivo
abbandono della prospettiva internazionalista. Man mano, il gruppo
dirigente stalinista concepì l’eventuale espansione del socialismo come
la progressiva estensione della sfera di influenza sovietica. Quello che
accadde dopo il 1946, con l’emergere di due blocchi reciprocamente
demarcati, era la prosecuzione logica di quell’impostazione.
Dunque, la vittoria dei vari movimenti
fascisti e l’affermarsi di regimi autoritari di destra (Italia 1922,
Germania 1933, Portogallo 1926-32, Spagna 1936-39) sostanzialmente segue
la fine del tentativo rivoluzionario leninista e va ben oltre il limite
della reazione ad esso. Anche in Italia, il fascismo vinceva dopo la
sconfitta dell’occupazione delle fabbriche e spiccava il volo, non dopo
un nuovo assalto rivoluzionario, ma dopo il fallimento dello “sciopero
legalitario” dell’agosto 1922. Ma, se nel caso italiano si può anche
ipotizzare una sorta di movimento inerziale, per cui il fascismo
giungeva al potere sullo slancio di quanto accaduto due anni prima,
questo non può essere decentemente sostenuto nel caso tedesco, dove i
nazisti dettero l’assalto ad un regime democratico, in assenza di
qualsiasi tentativo insurrezionale comunista. Semmai, in occasione del
“plebiscito rosso” godettero dell’appoggio dei comunisti tedeschi (una
macchia indelebile della Kpd sulla quale si sorvola troppo facilmente).
Tanto meno la teoria di Nolte risulta idonea a spiegare il caso portoghese,
dove non c’è mai stata una congiuntura rivoluzionaria (ma Nolte il
Portogallo non lo prende neppure in considerazione). E, notiamo
incidentalmente, il caso portoghese contraddice anche l’idea che il
fascismo sorga da una contaminazione fra cultura politica nazionalista
con elementi di socialismo, chè, di socialismo, nel fascismo salazarista
non c’è neppure l’ombra.
Soprattutto l’ipotesi di Nolte non funziona nel caso spagnolo,
dove il Fronte popolare (di cui facevano parte due partiti “borghesi”, è
bene ricordarlo) andò al potere grazie ad una regolarissima vittoria
elettorale e su un programma che non prevedeva alcuna “guerra di
sterminio” della borghesia. La guerra civile fu scatenata da Francisco
Franco su istigazione del fascismo italiano, che temeva un peggioramento
della propria posizione nel Mediterraneo. Come documenta per la prima
volta e molto convincentemente Morten Heiberg , le origini del colpo di
stato falangista erano molto precedenti all’assassinio di Calvo Sotelo
(invocato come motivo scatenante) e addirittura alla stessa vittoria
elettorale del Fronte Popolare. D’altra parte, i comunisti erano del
tutto minoritari nello schieramento di sinistra e videro crescere il
loro perso proprio grazie allo scatenamento della guerra civile da parte
franchista. Peraltro, essi non spinsero mai verso un esito
rivoluzionario ed, anzi, si impegnarono sino all’ultimo a preservare
l’”alleanza antifascista” con settori della borghesia.
Dunque, non sembra che la tesi di Nolte resista ad una verifica storica fattuale.
Ma non resiste molto neppure dal punto di vista della filologia
ideologica; come documentò lo storico israeliano Zeev Sternhell , il
fascismo trova le sue radici nella crisi ideologica a cavallo fra
l’Ottocento ed il Novecento, molto prima della rivoluzione russa.
D’altro canto, anche Furet mosse critiche analoghe a Nolte (nonostante i
cordialissimi rapporti intrattenuti per oltre venti anni) segnalando
come i fascisti non avevano alcun bisogno della rivoluzione bolscevica
per il loro dichiarato antiparlamentarismo.
Infatti, il fascismo non fu solo
reazione antirivoluzionaria ed ebbe caratteri primari originali che
vanno ben oltre la semplice reazione anticomunista. Peraltro,
come Furet, neanche Nolte è stato del tutto originale nelle sue tesi.
La riduzione del fascismo a mero movimento di opposizione al comunismo è
già presente nell’elaborazione di Maurice Bardeche (ideologo del
fascismo francese, cognato di Robert Brassillach) che, già nel 1962,
aveva iniziato a sottolineare l’assenza di un minimo comun denominatore
teorico dei vari fascismi . Successivamente, in una sua opera dedicata
ai fascismi sconosciuti (dalla Guardia di Ferro di Codreanu ai Lupi
d’Acciaio lituani, dal movimento del norvegese Quisling alle Croci
Frecciate ungheresi) , valutatene le rimarchevoli differenze, l’autore
concludeva:
In realtà, i regimi che si chiamano fascisti sono regimi di salute pubblica che hanno preso forme differenti seguendo la forma e l’imminenza del pericolo, cioè seguendo le circostanze, e solo alcuni tra loro hanno un contenuto politico che tutti i popoli possono adattare al proprio carattere. Dovremmo dunque studiare, da una parte, le reazioni di salute pubblica attraverso le quali i popoli hanno cercato di difendere la loro libertà dal bolscevismo e, dall’altra, l’umanesimo politico sul quale si sono appoggiati in quell’occasione, ciò che costituisce propriamente il messaggio culturale che questi regimi hanno trasmesso a tutti gli uomini (b p. 9-10).
Il fascismo perdeva ogni suo
tratto distintivo per diventare una forma particolarmente militante di
antibolscevismo: una operazione tesa a rimettere in gioco, a un quarto
di secolo dalla sconfitta, la destra fascista in un più ampio fronte
anticomunista . Dunque una operazione dichiaratamente politica
non particolarmente preoccupata delle esigenze dell’analisi storica che,
al contrario, segnala il carattere originario dei movimenti fascisti. E
se proprio di reazione ad una rivoluzione si può parlare, a proposito
del fascismo, non è della rivoluzione russa che si deve parlare, ma di
quella francese di 128 anni prima. In fondo, la definizione del fascismo
come “anti '89” è venuta dallo stesso fascismo.
La stessa varietà ideologica dei diversi
fascismi (debitamente documentata sia da Nolte che da Bardèche o da
altri autori ) non depone affatto su un “minimo comun denominatore”
quali “Comitati di salute pubblica”, ma conferma le remote radici
nazionali di ciascuno a prescindere dalla rivoluzione di Ottobre.
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