Continuano nel nord della Siria le operazioni militari turche dopo l'invasione iniziata due giorni fa ad opera di circa 20 carri armati e altrettanti mezzi blindati di Ankara, coadiuvati dall'artiglieria pesante e dai caccia turchi. In territorio siriano sono intanto penetrati una parte dei circa 5000 combattenti di ciò che rimane del cosiddetto Esercito Siriano Libero ma anche di formazioni ancora più direttamente legate al regime di Erdogan come quelle turkmene o alcune fazioni islamiste.
Notizia di oggi è che la Turchia ha inviato altri quattro carri armati in Siria oltre ad altre forze speciali (in totale sarebbero un migliaio i militari turchi presenti in Siria che secondo alcune fonti potrebbero diventare addirittura 15 mila) per rafforzare l'offensiva contro lo Stato Islamico nella città di Jarabulus e soprattutto quella contro le Unità di Protezione del Popolo curde (Ypg) che al momento dell'inizio dell'invasione turca erano arrivate a pochi chilometri di distanza dalla città controllata da Daesh e ora nel mirino dei bombardamenti delle forze armate di Ankara.
Dopo che Jarabulus è stata parzialmente conquistata dall'Esercito Siriano Libero e da alcuni gruppi jihadisti supportati dai commandos e dall'artiglieria turca sono avvenuti scontri a fuoco tra i cosiddetti 'ribelli siriani moderati' e alcune unità delle Ypg curde.
Inoltre, come avvenuto già ieri, l'artiglieria turca continua a bersagliare le postazioni delle Forze Democratiche Siriane, composte per lo più da combattenti curdi e da alcune milizie arabe e assire. Ieri le forze turche hanno aperto il fuoco sui membri delle Ypg dopo che l'intelligence di Ankara ha accusato le milizie curde di avanzare verso Jarabulus nonostante la promessa di Washington di imporre il ritiro delle Forze Democratiche Siriane.
La Turchia ha "tutti i diritti di intervenire" se i curdi non si ritireranno rapidamente a est dall'Eufrate aveva precedentemente dichiarato il ministro della Difesa turco Fikri Isik.
"Al momento non si sono ritirati, seguiamo con grande attenzione questo processo (...) il ritiro è importante per noi", ha aggiunto Isik parlando alla Ntv.
Ieri il segretario di stato Usa John Kerry aveva telefonato al ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu assicurando di aver “convinto” le milizie curde a ritirarsi ad est del fiume Eufrate, cioè di fatto in territorio iracheno, a dimostrazione dell'estrema debolezza e subalternità del governo statunitense rispetto alla strategia aggressiva di Erdogan, che ha di fatto imposto l'invasione del nord della Siria agli Stati Uniti che per anni avevano opposto il loro veto alle pretese turche.
La dichiarazione di Kerry segna di fatto una esplicita presa di distanza da parte degli Usa nei confronti dei curdi di Siria, da tempo sostenuti da Washington contro le milizie jihadiste e anche per bloccare la strategia turca in Siria. Ma il fallito golpe del 15 luglio in Turchia – sostenuto maldestramente dalla Casa Bianca – e la conseguente reazione di Erdogan che ha accelerato la ricucitura con Mosca e Israele, segna un cambiamento radicale della linea statunitense in Medio Oriente, a partire dal tentativo di Washington di ridimensionare il ruolo delle milizie curde in Siria per non indispettire ulteriormente una Turchia alla ricerca di un ruolo indipendente ed egemone nei confronti dei tradizionali padrini statunitensi.
I curdi per ora non hanno rilasciato dichiarazioni di commento rispetto al voltafaccia statunitense ma accusano Ankara di voler utilizzare Aleppo come pedina di scambio in occasione di futuri negoziati politici sul futuro della Siria. "Le forze alleate della Turchia stanno attaccando Aleppo da sud e da sudovest – ha spiegato all'agenzia Ria Novosti Rejzan Hedu, dirigente del Partito dell'Unione democratica (Pyd), commentando l'invasione turca della Siria – Adesso le forze turche sono entrate nella provincia da Nord e non si fermeranno finché non raggiungeranno al-Bab (a nordest di Aleppo). A quel punto Aleppo cadrà sotto il loro controllo. La Turchia negozierà in maniera aggressiva avendo Aleppo come pedina di scambio nelle sue mani".
Anche la dichiarazione del portavoce delle Ypg Xelil non menziona il tradimento (più che prevedibile...) di Washington: "Lo Stato Turco non può decidere la nostra posizione a seconda dei suoi interessi. Le nostre forze resteranno dove sono e non si ritireranno". Una smentita delle affermazioni di Kerry che però non viene neanche nominato. Nel frattempo, nel tentativo di spezzare l'assedio e bloccare il tentativo turco di imporre una zona cuscinetto nel nord della Siria che impedisca la continuità territoriale tra i cantoni curdi di Jazire, Kobane e Afrin, le Forze Democratiche Siriane potrebbero sferrare un nuovo attacco contro Raqqa, la "capitale" di Daesh in Siria.
Una situazione contraddittoria e complicata per Washington, che come detto intende rallentare l'avvicinamento di Ankara alla Russia, a Israele e – ipotizzano alcuni analisti – addirittura all'Iran – ma al tempo stesso non possono del tutto abbandonare le milizie curde che di fatto hanno rappresentato negli ultimi due anni le 'forze di terra' della coalizione internazionale anti jihadista a guida statunitense.
Ma in un quadro reso ancora più complicato dalla spregiudicata iniziativa turca anche la Russia potrebbe ora ridimensionare fortemente il sostegno accordato nell'ultimo anno ai curdi siriani. Mentre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry si sono incontrati a Ginevra per rafforzare la collaborazione sullo scenario siriano il capo di Stato maggiore russo, generale Valery Gerasimov, incontra ad Ankara il suo omologo turco, generale Hulusi Akar. I contatti tra esponenti dell'establishment turco e russo sono sempre più frequenti e la sensazione è che Erdogan abbia ricevuto una sorta di via libera russo all'operazione nel nord della Siria a scapito ovviamente delle milizie curde che pure Mosca continua ufficialmente a sostenere contro Daesh.
Ad approfittare della situazione potrebbe essere la Cina: un portavoce del Ministero della Difesa di Pechino ha affermato che le forze armate cinesi addestreranno quelle siriane. La scorsa settimana un alto ufficiale militare cinese, il generale Guan Youfei, ha fatto visita a Damasco dove ha incontrato il ministro della Difesa siriano annunciando di voler rafforzare la cooperazione militare. "L'esercito cinese fornirà alla parte siriana addestramento medico e di assistenza infermieristica", ha detto il portavoce Wu Qian, sottolineando che l'iniziativa mira ad "alleviare la crisi umanitaria in Siria".
Pechino ha già garantito a Damasco attrezzature sanitarie e medicinali "per aiutare a ridurre la sofferenza del popolo siriano", ha aggiunto il portavoce, ricordando che "da tempo Cina e Siria si aiutano a vicenda e la Cina sta premendo per una soluzione politica del conflitto siriano e abbiamo sempre sostenuto l'indipendenza della Siria". Ma ovviamente la collaborazione non si limita agli aspetti sanitari e medici di una situazione sempre più intricata.
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