Ecco come sono cominciate le baruffe maremmane di Capalbio, di cui oggi Saviano si occupa, con un pezzo giornalistico più urticante che utile. Cosa ne ricaviamo? Dal punto di vista politico, un disastro. Un sindaco del Pd non si rivolge al suo partito per trovare una soluzione, che forse il suo partito ha altro a cui pensare. Si rivolge ai vip in costume sulla spiaggia. I vip vanno in ordine sparso davanti ai microfoni: non si sono documentati?, diamine!, sono in vacanza.
Insomma, tutti parlano per sentito dire. E i giornali pubblicano quello che è stato detto per sentito dire. Ne esce un quadro desolante: un sindaco impreparato, nomi noti che parlano a vanvera, giornali che fanno del caso uno scoop ferragostano.
Dei 50 richiedenti asilo? Per l'imprenditore furbetto sono soldi. Per il sindaco spaurito sono voti in perdita. Per i vip chiacchiere da ombrellone. La verità? Per tutti sono corpi da trasportare e accatastare da qualche altra parte, problemi da rimuovere, e soprattutto persone che nessuno vuole incontrare. Ci basta vederli in tv.
Giustamente si è irritato il presidente della Regione Toscana, anche lui del Pd: "ho sentito cose che non mi piacciono" ha tuonato. Infatti, in questi giorni è sembrato che Capalbio fosse un comune del Veneto leghista, non della Toscana rossa.
A questo punto, la domanda è: se invece che creare soluzioni per gestire al meglio la questione dell'accoglienza, magari coinvolgendo proprio i vip, si mette in scena un piagnisteo pietoso, si cerca di scansare il problema, si affastellano giustificazioni capziose, qual è la differenza tra un sindaco leghista e uno del PD?
O per meglio dire: quando critichiamo aspramente le politiche delle destra xenofoba, cosa succede invece, nel concreto, in un comune gestito dal centrosinistra? La verità è scomoda: la presenza dei richiedenti asilo dà fastidio al turismo.
Ma allora, che lo hanno eletto a fare un sindaco che non è capace di far convivere la ricchezza proveniente dalle risorse del suo territorio, con le esigenze di partecipazione della sua comunità all'emergenza nazionale dei flussi migratori? E che cosa si crede che i sindaci leghisti non abbiamo esattamente gli stessi problemi?
L'accoglienza o l'intolleranza non sono figure retoriche astratte che cadono dal cielo: sono pullman che arrivano carichi di persone che sono sopravvissute a problemi molto più gravi di quelli che incontrano qui. Sono persone ridotte ai minimi termini: mangiare, dormire, passare il tempo. Ma sono persone, hanno progetti e speranza e una incrollabile voglia di vivere. E magari fretta di andarsene per raggiungere parenti e amici in altri paesi europei, la stessa fretta che abbiamo noi di vederli finalmente partire.
A volte penso che loro ci guardino e pensino: questi sono matti, si agitano per così poco? E se fossero stati sotto le bombe, se avessero visto morire figli, fratelli o genitori sotto le macerie, sulle sabbie del deserto, sugli scogli del Mediterraneo; se avessero dovuto scalzi mettersi in fuga dalle pulizie etniche; diventare ostaggi di trafficanti di uomini, se avessero dovuto scansare cadaveri prima di riuscire a sbarcare, come se la sarebbero cavata?
E qui ci vuole ancora una verità: il bellicoso sindaco leghista come il piagnucoloso primo cittadino del pd chiedono allo Stato di cavargli le castagne dal fuoco, cioè di allontanare dai confini del proprio comune i problemi che l'immigrazione comporta. Il governo, dal canto suo, glieli assegna, perché il numero è tale che bisogna distribuirli. Nessuno, però, si è occupato dell'unica vera scelta politica da fare: il modello di accoglienza.
Non siamo ancora riusciti a uscire dal perimetro dell'emergenza, non abbiamo un vero e proprio modello di accoglienza. Come quello, per esempio, suggerito giorni fa da Milena Gabanelli.
Chi si aspettava che Capalbio potesse essere un'occasione propizia c'è rimasto male. Capalbio non è la piccola Atene, solo un'Italia piccina. Forse anche perché invece che sentirsi il leader di un comune di cittadini attivi, il sindaco ha preferito la ridente località di villeggiatura. In cui, dopo la figuraccia, c'è rimasto niente da ridere.
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Volendo trovare una spiegazione "strutturale" e definitiva:
Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una soprastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita.
Non è la coscienza che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca soprastruttura.
Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere costatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, in una parola le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo.
Marx, Prefazione a "Per la critica dell'economia politica", gennaio 1859 – Opere complete, Vol. XXX, pagg. 298-299
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