di Francesca La Bella
La notizia è della scorsa estate, ma in questi giorni sono giunte le conferme: a partire da gennaio 2018 gli Emirati Arabi Uniti (Eau) e il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg) introdurranno l’Imposta sul Valore Aggiunto (Iva) al 5% sulla vendita della maggioranza dei beni all’interno dei loro Paesi.
L’accordo, pur concedendo un anno per la transizione per far fronte
alle numerose problematiche connesse all’introduzione della tassa,
prevede l’applicazione perlopiù simultanea ed omogenea nei diversi Paesi
del Ccg per evitare fenomeni lesivi della competitività tra i membri.
Alcune eccezioni sono, però previste. Per quanto riguarda gli Eau, ad
esempio, l’implementazione della norma non dovrebbe riguardare una
lista, non ancora diffusa, di 150 beni di prima necessità e alcuni
settori sensibili come educazione, sanità, energie rinnovabili, acqua,
trasporti e tecnologia. Nonostante questo, secondo quanto dichiarato dal
sotto-segretario alle Finanze Younis al-Khouri, si prevede un flusso
nelle casse statali di circa 12 miliardi di dirham (3,3 miliardi di
dollari) già nel primo anno di applicazione e di 20 miliardi di dirham
(5,4 mld di dollari) nel secondo.
Gli analisti ritengono che la scelta di introdurre
l’Iva sia da considerare diretta conseguenza delle problematiche
connesse con l’instabilità del prezzo del petrolio e la necessità di
differenziazione dell’economia interna dei Paesi del Ccg. Questa analisi
trova conferma nelle parole dello stesso Ministro dell’economia Sultan
Al Mansouri che, secondo quanto riportato da The National, quotidiano
statale di Abu Dhabi, avrebbe dichiarato che la nuova tassa
potrebbe consentire di mantenere gli investimenti nei settori sociali
anche senza i proventi petroliferi del passato. In questo senso
è molto interessante leggere le interconnessioni tra fenomeni
apparentemente distanti ed indipendenti. La trattativa per la firma
dell’accordo di blocco dell’estrazione petrolifera si è, infatti, mossa
di pari passo con il tentativo dell’Arabia Saudita di rafforzare la
cooperazione all’interno della Penisola Arabica attraverso la nascita di
una Unione del Golfo, progetto decaduto a dicembre durante la 37esima
riunione Ccg proprio a causa dell’opposizione di Oman e Uae.
Nonostante l’accordo per la
stabilizzazione del prezzo del petrolio a livello mondiale, il processo
di strutturazione di un’alleanza che permettesse agli attori coinvolti
di mitigare gli effetti negativi del ristagno dell’economia e dei
sommovimenti interni sembra, dunque, non essere andata a buon fine e i
singoli Paesi potrebbero cercare di perseguire questo stesso obiettivo
percorrendo strade diverse. A livello internazionale, la
politica di allargamento della sfera di influenza di Abu Dhabi passa sia
per la partecipazione diretta nei conflitti dell’area, come nel caso
dello Yemen dove, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa
nazionali, a fine gennaio, l’aviazione emiratina avrebbe abbattuto un
drone di fabbricazione iraniana, sia per la costruzione di nuove basi
militari nell’area come nel caso del Somaliland. La costruzione della base, futuro punto di partenza per gli
attacchi aerei da parte della coalizione araba contro i ribelli sciiti
Houthi nello Yemen, ha ricevuto l’approvazione del Governo locale in
quanto fonte di investimenti e di opportunità lavorative, suggellando
una nuova alleanza a cavallo del Golfo di Aden. Il progetto rischia,
però, di avere anche un risvolto negativo: percepito dai vicini d’area del Somaliland come un’inopportuna ingerenza negli affari africani, potrebbe incrinare i rapporti tra Uae ed alcuni Paesi del Corno d’Africa come Gibuti ed Etiopia.
A
livello interno, invece, il filo conduttore delle scelte del Governo
sembra essere il tentativo di mantenere ad ogni costo la pace sociale.
In questa prospettiva risultano nuovamente illuminanti le parole del
Ministro dell’Economia che nella lunga intervista a The National
dichiara che “un recente studio dimostra che le politiche di
austerità possono fare più male che bene. Il consenso tra gli economisti
di tutto il mondo è che le politiche di austerità aumentano
l’instabilità e minano la crescita”. L’introduzione dell’Iva, l’accordo
petrolifero, la differenziazione economica e gli investimenti
infrastrutturali trovano, così, una cornice di lettura coerente:
a fronte di una destabilizzazione generale dell’area, la ricerca della
solidità economica interna, mira al mantenimento della pax sociale in
modo che non venga messo in discussione lo status quo nazionale e
regionale.
Nessun commento:
Posta un commento