L’Ayatollah Ali Khamenei l’aveva annunciato qualche giorno fa nel
primo messaggio inviato al nuovo presidente Usa Trump, dopo il Muslim
Ban e le nuove sanzioni contro 12 individui e 13 enti iraniani: “Il
popolo risponderà il 10 febbraio”.
Così è stato: stamattina nelle città iraniane migliaia di
persone sono scese in piazza per celebrare la rivoluzione khomeinista
del 1979 che cacciò lo scià sostenuto da Washington e aprì la strada
alla nascita della Repubblica Islamica. In tanti ne hanno approfittato per mandare il loro saluto a Trump e alle minacce di un nuovo isolamento di Teheran.
Da Teheran ha parlato il presidente Rouhani che ha attaccato il
linguaggio “minaccioso” e provocatorio della Casa Bianca: “Questa
manifestazione è la risposta alle false accuse dei nuovi governanti Usa,
il popolo dice al mondo con la sua presenza che si deve parlare
all’Iran con rispetto. Gli iraniani faranno pentire quelli che usano un
linguaggio minaccioso contro la nazione”.
Per le strade tanti colori e slogan, dal più comune “Morte
all’America”, quasi un marchio di fabbrica, agli inviti a visitare
l’Iran: “Popolo americano, sei il benvenuto in Iran”. Manifestazioni
anche online: su Twitter e Facebook si è allargato a macchia
d’olio l’hashtag #LoveBeyondFlags per chiedere di non bruciare le
bandiere Usa in piazza.
Martedì l’Ayatollah Khamenei aveva usato l’ironia per reagire
al divieto di ingresso negli Usa di cittadini iraniani, ma soprattutto
alle continue dichiarazioni anti-Teheran della nuova amministrazione:
“Siamo grati a questo gentiluomo – aveva detto – Ha mostrato il vero
volto dell’America. Quello che abbiamo detto per più di 30 anni, che
esiste una corruzione politica, economica, morale e sociale nel sistema
di governo degli Usa, è stato portato alla luce durante e dopo le
elezioni da questo gentiluomo”.
Un ritorno al passato, ai decenni che hanno preceduto lo scongelamento delle relazioni tra Occidente e Iran? Non proprio. Trump
è consapevole di non poter stracciare l’accordo sul programma nucleare,
fortemente voluto dal suo predecessore e da un’Europa a caccia di
business in un paese che dopo decenni di embargo si riaprirà al mondo.
Ma fonti interne parlano della volontà di ridefinire alcuni requisiti
dell’intesa, a partire da un maggiore potere a favore dell’agenzia Onu
per l’energia atomica nel monitorare le attività nucleari nel paese.
Dietro sta l’interesse di Trump a rafforzare, dopo anni di
lievi tensioni, i rapporti con Israele e Arabia Saudita che della guerra
all’Iran fanno la propria bandiera ideologica. Chiudere a
Teheran è impossibile o comunque troppo pericoloso, ma ridimensionarne
il potenziale politico è l’obiettivo della nuova Casa Bianca.
Un’eventualità che preoccupa il fronte moderato iraniano che a breve
dovrà affrontare le elezioni e che non intende arrivare alle urne con l'indebolimento di un accordo che i conservatori hanno attaccato.
Ma non va dimenticata la Russia, che con Teheran è colonna portante del fronte pro-Assad in Siria.
Trump non ha mai nascosto il favore verso il presidente russo Putin che
in tal senso potrebbe svolgere un ruolo di mediatore a favore di
Teheran. Lasciando a Trump gli sfoghi su Twitter.
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